Oro fra Balcani e Magreb

Copertina

Copertina – Atena di fronte al Drago a guardia del Vello d’Oro, mentre sta rigurgitando Giasone. Kylix attica proveniente da Cerveteri. Diametro 29,7 cm. Ceramica dipinta a figure rosse attribuita a Douris (480-470 BC). Musei Vaticani. Particolare, da Web.

La pesca dell’oro e il vello d’oro della Colchide fra storia e leggenda

Uno dei primi riferimenti sulla pesca dell’oro si trova negli scritti di ERODOTO. L’Autore narra di una località dell’estrema India Orientale, descritta per altro fantasiosamente, nella quale il metallo veniva recuperato dal lavaggio delle sabbie. Ed ancora descrive un’isola presso le coste tunisine, l’isola di Cyrani, dove le ragazze pescavano l’oro  facendo scorrere sulle sabbie aurifere del fondo o delle rive di alcuni laghetti piume d’uccello unte di bitume. Si trattava evidentemente dell’oro sotto la forma del floating gold che era recuperato applicando un metodo precursore dei moderni processi di flottazione.
Fra le rive aurifere più note e famose nell’antichità c’erano quelle della Colchide, il mitico regno di Eeta, per i Greci. Qui PLINIO ricorda i favolosi ritrovamenti di oro ed argento fatti da un certo Savlacus, discendente del Re. Ancora, secondo STRABONE e APPAIANO, l’oro veniva recuperato facendo scorrere le acque dei rivi su pelli di montone. In questo modo le pagliuzze in sospensione con i sedimenti rimanevano intrappolate nella fitta peluria del vello. Ma non tutti concordavano con questa teoria. Ad esempio il mitografo PALEFATO (IV secolo BC) sosteneva che il vello d’oro dei Colchi (Copertina e Figura 1) era solo un libro scritto su pelli nel quale era illustrato un metodo per ottenere l’oro mediante la chimica. Una tesi simile fu sostenuta più tardi (II-III secolo) da CARACE di PERGAMO, secondo cui il vello d’oro era il metodo di scrivere in lettere auree su pergamena. Ma non fu per questo che gli Argonauti intrapreso il loro viaggio (Figura 2).
A prescindere da questi miti, la ricchezza mineraria della Colchide (ferro, argento e oro) era già nota ai Greci. E fu proprio questo il motivo per cui vi fondarono alcune loro colonie. Erano Phasis, alla foce del fiume Rioni e Dioskuria in fondo alla baia di Soukhoumi.  Oggi abbiamo confermata di questa ricchezza dai molti oggetti aurei ritrovati in vari siti archeologici (LORDKIPANIDZE, 1986). Sono le tombe di Vani con le centinaia di reperti fra i quali sontuosi diademi, orecchini (Figura 3 e Figura 4), pendenti per tempie, bracciali e collane con fini lavori in filigrana e granulazione. Ed ancora sono i ritrovamenti di Phasis (VI secoloBC.), quelli della Valle di Kvirila ed il tesoro di Gonio (III-II secolo BC).

Georgia e Iberia caucasica

Analoga ricchezza di gioielli, suppellettili ed ornamenti aurei, fra cui armi, mobili e finimenti per cavalli, si ritrova nei corredi funebri aristocratici delle confinanti Georgia e Iberia caucasica (tombe di Akhalgori del IV secolo BC e di Armaziskhevi del II e III secolo AC; Figura 5).
Per quanto riguarda le aree estrattive dell’antichità se ne conoscono in Galizia, in Lusitania, ai confini con l’Arabia, ed in Etiopia. Sono le miniere descritte da DIODORO SICULO nella prima metà del I secolo BC.
Perfino la Bibbia riporta indicazioni sulla presenza e transito di oro. Ad esempio, ai tempi di Re Salomone giungevano a Gerusalemme, ogni anno, 666 talenti d’oro pari a circa 56.637 Kg. A questo si aggiungeva quello che derivava al Re …dai mercanti, dal traffico dei commercianti, da tutti i Re dell’Arabia e dai governatori del paese… (Lib. I  dei Re, 10,14-10,16). Ancora, il Tabernacolo degli israeliti nel deserto fu adornato con 29 talenti e 730 sicli d’oro versati da 603.550 uomini del Sinai (Lib. dell’Esodo, 38,24-26).
Per dare un ordine di grandezza, il talento degli Israeliani, detto del Santuario, equivaleva a 85.04 Kg circa. A sua volta era suddiviso in 3000 scicli del Santuario” ciascuno del peso di 28.35 g circa. Invece lo siclo commerciale pesava circa la metà (JERVIS,1881).
Infine, ad insegnare l’arte orafa agli Ebrei sarebbero stati i Fenici. Presso questi ultimi l’oreficeria fu un’attività estremamente sviluppata e fondata su una tradizione locale di elevato livello che trova a Ugarit nel XIV-XIII secolo BC le sue testimonianze più esplicite. La produzione era improntata soprattutto su realizzazioni in tecnica a sbalzo, a granulazione e sull’impiego simultaneo di materiali diversi. In genere erano oro e pietre preziose, turchese e agata. Ne venivano realizzati orecchini (Figura 6), pendenti e collane con soggetti di ispirazione egizia, nonché le famosissime e caratteristiche coppe a motivi floreali o scene di caccia. Erano prodotti concepiti  essenzialmente per l’esportazione.

Oro e metalli fenici

Varie fonti attestano che i Fenici, insieme agli Egiziani, sono stati i primi navigatori a percorrere rotte inusuali e sconosciute (Figura 7 e Figura 9). In questo modo avevano dato vita ad una vasta rete commerciale mediterranea di tradizione antico-orientale già dall’X-IX secolo BC (Figura 8). Oggetto principale dei loro commerci fu un’ampia gamma di prodotti di cui avevano la disponibilità. Erano soprattutto oggetti di artigianato rari e costosi (Figura 10 e Figura 11) in cambio di materie prime delle quali in patria erano sprovvisti. Fra queste ultime, naturalmente, comparivano pietre preziose e metalli vari fra cui l’oro, necessari all’artigianato orafo. Di questi materiali si rifornivano in Arabia, nelle regioni del Mar Rosso e, attraverso Cartagine, dall’interno dell’Africa (BONDÌ, 1988, NIEMEYER, 1991).
Molti viaggi per mare conclusisi con la fondazione di alcune loro colonie sono proprio da porre in relazione al controllo che esercitavano su diverse aree minerarie. L’influenza fenicia si estese fra Cipro  e la Spagna. A Cipro si interessarono, almeno a partire dal 1000 BC, delle ricche miniere di rame. In Spagna impiegarono in miniera schiavi e prigionieri indigeni, sotto la direzione di esperti antico-orientali.
Conoscevano poco i metodi di lavorazione e l’uso dei metalli, ma intuirono subito l’importanza commerciale e strategica dei nuovi prodotti dall’incontro degli artigiani-metallurghi arabi. E tutto ciò fu la molla dell’espansione fenicia.
Con grande sicurezza varcarono le Colonne d’Ercole, i confini del mondo noto (Figura 12). Tutto il loro processo di espansione e di irradiazione può essere seguito attraverso le rotte verso i siti minerari più ricchi e sfruttabili economicamente Dall’Arabia (oro) all’Anatolia (argento, ferro, stagno e piombo), dalla Sardegna alla Spagna e, secondo la tradizione greca, verso le miniere aurifere di Taso e/o suoi dintorni. …Solo dopo essersi assicurati lo sfruttamento delle miniere iberiche, dice Diodoro (Siculo) essi provvidero a stanziarsi stabilmente nelle isole del Mediterraneo centro occidentale e in Nord Africa. […] E’ evidente il disegno strategico che sta alla base (delle differenti tipologie d’insediamento fenicio.) I litorali punteggiati da un numero elevato di scali sono quelli delle regioni minerarie dove il controllo in esclusiva delle coste è funzionale alla sicurezza dell’approvvigionamento e della distribuzione dei metalli. Si conferma cosi, sulla base dell’evidenza archeologica, che l’obiettivo primario dell’espansione fenicia è proprio la ricerca delle materie prime e che l’intera organizzazione del flusso coloniale è concepita in funzione di essa… BONDI’, 1988.

Immagine citata nel testo

Figura 8 – Ipotesi grafica di un porto commercile frequentato dai Fenici (da digimparoprimaria.capitello.it)

l’oro di Tartesso era in realtà lo stagno

Fra i principali centri commerciali fenici bisogna ricordare la città di Tiro.  Sembra che fosse dedita soltanto all’importazione di prodotti pregiati già dal VI secolo BC. L’area di influenza commerciale di Tiro era straordinariamente vasta. Si estendeva da Edom, l’attuale Palestina (pietre preziose) a Damasco (minerali), dall’Arabia Meridionale (oro e gioielli) a Tartesso (argento, piombo, ferro e stagno, questo secondo OMERO era ancora un prodotto molto costoso) all’Afghanistan (lapislazzuli).
Tartesso (in particolare) è stata un avamposto del commercio mediterraneo. È divenuta importante centro di smistamento nel periodo di transizione fra l’Età del Bronzo e quella del Ferro, fino a che, nel 500 BC, fu distrutta dai  Cartaginesi. Tradizionalmente è localizzata alla foce del Guadalquivir. Va detto che recenti ipotesi, basate sullo studio degli isotopi dei minerali fenici, la collocherebbero in Sardegna… Ma siamo ancora nel campo delle ipotesi
In ogni caso, la prima nave fenicia che superò i confini del mondo (le Colonne d’Ercole ossia lo stretto di Gibilterra) compì un’impresa fondamentale e memorabile. Il viaggio lungo-costa in direzione nord la portò in una ricca città alla foce del Guadalquivir, a Tartesso. 
Per la sua posizione, la città era divenuta un nodo mercantile fondamentale per le navi provenienti dall’Inghilterra e dalla Bretagna e si era arricchita col commercio dello stagno di quella regione e del Limousine (Francia). Quado, durante l’Età del Bronzo, le miniere spagnole e francesi cominciarono ad esaurirsi l’approvvigionamento fu ricercato attraverso le isole antistanti la Gran Bretagna. Il traffico si intensificò con lo stesso ritmo con cui si esaurivano le altre miniere.
I Tartessi intuirono che la prosperità dei loro commerci dipendeva dal monopolio delle miniere di stagno delle isole inglesi, delle quali custodivano gelosamente il segreto. L’incontro casuale coi Fenici fu pertanto estremamente profiquo: questi scambiavano tutto con qualunque genere di consumo e specialmente denaro.
La nuova prosperità era destinata, però, a finire e l’occasione fu fornita dal casuale approdo, a Tartesso, di una nave greca. In verità i Tartessi erano stanchi del monopolio fenicio, per via che senza concorrenza il prezzo dello stagno languiva. Cosicchè il nuovo arrivo fu salutato con grande interesse soprattutto per l’offerta del minerale ad un prezzo estremamente conveniente. La vendetta dei Fenici seguì immediatamente la conoscenza del fatto e fu tremenda. Tartesso fu rasa al suolo. Si poneva, però, il problema del rifornimento di stagno, minerale indispensabile per l’epoca. Così intorno al 450 a. C. un tale Himilco fu incaricato di navigare verso nord, rintracciare le miniere e trovare una rotta di collegamento con le colonie fenicie. Dopo un paio di mesi di navigazione l’esploratore raggiunse le Isole Scilly (dette anche Isole dello Stagno), compiendo la sua missione.

Oro, stagno e metalli dal Mar Rosso

Sotto il regno di Salomone, Tiro e Israele organizzarono spedizioni congiunte sul Mar Rosso. La meta fu Ophir, identificabile con l’attuale Somalia o Yemen. Da qui ritornarono con oro, argento, avorio, legnami pregiati,  pietre preziose ed altri prodotti. Le navi, governate e condotte da ciurme fenice, verosimilmente avvezze a percorrere tale rotta, impiegavano circa tre anni a compiere il viaggio.
Durante la prima metà del primo millennio BC, oltre ai Fenici, praticavano professionalmente la mercatura anche Minei e Sabei. Questi controllavano il commercio in tutta l’Arabia meridionale fino al Mar Rosso e dall’Africa Orientale fino all’India. Esportavano e commerciavano incenso, oro e spezie almeno fino al II secolo BC sia via mare che lungo le piste carovaniere. Anche gli Arabi meridionali controllavano le rotte del Mar Rosso e dell’Oceano Atlantico lungo le coste galliche, britanniche, africane-atlantiche e mediterranee . Anch’essi esportavano verso l’oriente oro, argento, pimbo, avorio, ferro e soprattutto stagno.
Al primo secolo BC risale un’invenzione fondamentale, che condizionerà sostanzialmente tutte le attività di tipo manifatturiero Fu la noria, o meglio il mulino diraulico (Figura 13). STRABONE ne parla come di una meraviglia del palazzo reale di Mitridate nel Ponto (SISINNI e LIPPA, 1991) già nel 18 BC.

Gli ori Ostrogoti

Non bisogna tuttavia dimenticare la rielaborazione del gusto ellenistico in forme espressive e comunque originali che seppero operare i barbari Ostrogoti. Fu frutto della loro oreficeria policroma, con uso di pietre dure (Figura 14 e Figura 15). È stata la rielaborazione della tradizione germanica rimodellata al contatto dell’Impero. L’area è quella del Mar Nero e della penisola balcanica dove dimorarono.
Caratteristico del gusto ostrogoto nel campo dell’oreficeria fu …l’uso del colore vivace ed intenso nella decorazione. Esso veniva ottenuto con una complicata lavorazione, consistente nel creare sulla superficie dell’oggetto un reticolo di cellette in lamina metallica, per lo più d’oro, entro cui venivano inserite pietre dure, ovvero colate paste di vetro multicolori, ma con prevalenza del rosso, che contrastando con l’oro della lamina creava un effetto sontuoso… (DELOGU, 1986).

I Longobardi

Decisamente minore rilevanza ebbero l’oreficeria e la gioielleria in genere presso i Longobardi, popolo guerriero di lingua germanica proveniente dalla Pannonia. I Longobardi penetrarono nella penisola italica attraverso le Alpi Giulie.
Caratteristica originale è che gli artigiani, che contemporaneamente erano anche guerrieri, seguivano comunemente i gruppi migranti. E, soprattutto, godevano di una speciale considerazione. Fra questi i fabbri e gli orafi, come suggeriscono gli individui sepolti con i loro strumenti per la lavorazione dei metalli (GIOSTRA, 2000;  LUSUARDI SIENA E GIOSTRA, 2003; DEL VIGO, 2016). Corredi longobardi composti da armi e dagli strumenti da oreficeria sono stati ritrovati in Austria (Poysdorf, Figura 16 e Figura 17) nella Repubblica Ceca (Figura 18  e Figura 19) ed in Friuli (Grupignano). Questi utensili erano piccole incudini, teste di martello e tenaglie in ferro, stampini per la fusione del metallo, recipienti in bronzo, piccole bilance, pesi in pietra e raspe in arenaria (DEL VIGO, 20116).
Solo in un secondo tempo, a cominciare dal 600, e soprattutto le donne, mutarono il loro costume acquisendo anche un più diffuso, ma sempre molto limitato, impiego di gioielli ed accessori d’oro: fibule (abbandonando completamente quelle in bronzo; Figura 20), orecchini a pendente (Figura 21) o cestino, anellini e, accessorio ancora più raffinato e lezioso, una fascia in broccato d’oro che cingeva la fronte, mentre per gli uomini furono soprattutto le armi ad arricchirsi di ornamenti aurei (Figura 22 e Figura 23). L’assimilazione all’ambiente locale si manifestò soprattutto con l’acquisizione di forme marcatamente esteriori dal mondo bizantino. Una di queste fu l’uso di un anello recante per castone un sigillo con busto virile ed il nome del proprietario (Figura 24) accompagnato dalla dicitura VIR ILLUSTRIS. Era un simbolo di rango e di potere, forse più politico, ma atto a risaltare la persona autorizzata a portarlo e soprattutto ciò che essa rappresentava, che non la sua effettiva ricchezza (DELOGU, 1986). Ulteriore involuzione è rappresentata da altri simboli, le crocette longobarde (Figura 25), che inizialmente ritagliate da lamine auree furono sostituite, a cominciare dall’VIII secolo, da analoghe in ferro placcate in argento ed ottone, segno non tanto di decadenza, quanto di ritorno ad una tradizione più spiccatamente germanica.
Ma tutto ciò non è certo comparabile con lo sfarzo, il gusto e la raffinatezza delle popolazioni più antiche.

Stabio, canton Ticino, Svizzera

Civezzano, provincia autonoma di Trento, Italia

Kotlářská, 60200 Brno, Moravia Meridionale, Repubblica Ceca

Poysdorf, Bassa Austria, Austria

Cl Golfo Tartesico, 11540 Sanlúcar de Barrameda, provincia di Cadice, Spagna

 

Ipotetica localizzazione della città di Tartesso

Isola Di Mozia, Marsala, provincia di Trapani 91025, Italia

Museo della Fondazione Whitaker

Marsala, provincia di Trapani, Italia

Limenas, Macedonia Orientale e Tracia, Grecia

Ras Shamrah, Ugarit, governatorato di Latakia, Siria

Akhalgori, Mtskheta-Mtianeti, Georgia

Poti, Mingrelia-Alta Svanezia, Georgia

Colonia greca di Phasis

Gonio, Agiaria, Georgia

 

Tesoro di Gonio

Vani, Guria, Georgia

 

Necropoli di Vani

Sukhumi, Abcasia, Georgia

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Questo articolo fa parte di una serie di scritti presenti sul sito relativi all’oro, alla sua natura e presenza in Italia Settentrionale, con particolare riferimento ai giacimenti ed alle miniere della Valle Anzasca (VCO).

…In Macugnaga Valle Anzasca vi sono delle Bocche … d’oro e li loro Molini … lavorano quotidiana.te col Mercurio…

Altri articoli sono:

  1. Oro, storia di una leggenda
  2. Oro: baratto, simbolo, moneta, bene-rifugio, oggetto d’arte
  3. L’oro dei faraoni
  4. Le arruge di Spagna dalla Naturalis Historiae
  5. Nicolis DI ROBILANT: relazione sull’oro alluvionale del “Piemonte” (1786) 
  6. L’oro di Roma
  7. L’oro fra Balcani e Magreb
  8. L’oro della Bessa e dei Cani (prossima pubblicazione)
  9. Miniera sul Monte Carcoforo (Valsesia). Concessione dell’11 dicembre 1683 (di prossima pubblicazione)
  10. Facino CANE, residui di legno e strumenti di ferro. Storia e leggenda (prossima pubblicazione)
  11. Un percorso di archeologia industriale nell’oro della Valle Anzasca
  12. Medioevo e primi minatori in Valle Anzasca
  13. Amalgamazione e distillazione dell’oro in Valle Anzasca
  14. L’oro della Valle Anzasca nel Seicento
  15. Un dissesto ambientale in Valle Anzasca (VCO) nel 1766: paura o gelosia?

ed inoltre:

  1. Oro e mercurio nel Tigullio
  2. La Cava dell’Oro di Monte Parodi (SP): storia mineraria dell’argento ligure
  3. L’oro dei monaci della Val d’Aveto
 

Note di aggiornamento

2023.01.23

Il mosaico che rappresentazione la noria romana più antica, nota.
Si tratta di un mosaico trafugato ad Apamea, città della Siria. Città greca prima e romana poi, Apamea è sorta su precedenti insediamenti dell’Età del Bronzo. Fu fondata, in origine, intorno al 300 BC da Seleuco I Nicatore, diadoco di Alessandro Magno e primo sovrano seleucida. Divenne poi città greca e quindi romana. Fu distrutta dal terremoto nel 115 BC. Quindi fu completamente ricostruita sotto Traiano che la completò con le tipiche opere pubbliche: acquedotti, stabilimenti termali e un teatro.

Il mosaico in oggetto fu trafugato nel 2011 durante scavi illegali. Nel tentativo di venderlo al mercato nero furono pubblicate online alcune foto del mosaico. 
Lo studio di alcuni ricercatori della Facoltà di Archeologia dell’Università di Varsavia ha ipotizzato che sul mosaico sia rappresentata la più antica ruota idraulica romana.

Il dottor Marek T. OLSZEWSKI ha affermato che il mosaico rubato mostra il primo esempio di ruota idraulica finora conosciuto e risale probabilmente alla prima metà del IV secolo AC, forse al tempo dell’imperatore Costantino il Grande (306/337 d.C.)

Immagine citata nel testo
Frammento del mosaico con il particolare della ruota idraulica e lo scivolo delle terme (foto Luigi SEDITA)
Immagine citata nel testo
Una delle norie ancora oggi visibili nella città di Hama, Siria (foto Luigi SEDITA)

Nel campione di mosaico studiato, i ricercatori concludono che presenta una ruota di legno installata su una struttura piramidale, per attingere l’acqua dal fiume Oronte per alimentare uno stabilimento balneare romano che consisteva in una piscina e uno scivolo. Il luogo in cui si trova il mosaico è sconosciuto ed è oggetto di un’indagine in corso da parte dell’Interpol

Dal post di Luigi SEDITA sulla pagina FB di Immagini d’Arte dai Musei

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