Copertina – Pestarena, media Valle Anzasca (VCO), il simbolo dell’A.M.M.I (Azienda Minerali Metallici Italiani) sul tetto dell’ingresso al Pozzo Maggiore della miniera.
L’Ossola nel settecento
Nel Settecento, il generale Vincenzo Ferrero d’Ormea, governatore di Novara ed inviato speciale di Carlo Emanuele III di Spagna, fu incaricato di relazionare sullo stato dei territori annessi a seguito del Trattato di Aquisgrana (1748). Nella seconda metà dell’Ottocento, Il manoscritto era conservato dall’Ing. Giandomenico PROTASI che ne consentì la visione al BIANCHETTI (1878 e 1987).
L’Ossola (Figura 1) appariva come un cupo e desolato ambiente di confine investito dalle guerre di successione di Spagna, Polonia e Austria. Oltre a ciò era ripetutamente corrosa dalle frequenti piene del fiume Toce (Figura 2) e dai suoi affluenti (situazione ancora di attualità, Figura 3). Le valli tributarie erano sterili, aspre e strette. Vi erano praticate povere colture: rape, segale e patate che venivano bruciate dal gelo d’inverno e dal sole d’estate. In realtà le patate sono state introdotte nella regione solo fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, quindi prima la situazione era ancora più misera. La coltura più diffusa era la segale, addirittura con due semine l’anno, delle quali una consociata con grano saraceno. In Ossola non fu mai coltivato l’orzo, pochissimo il frumento e l’avena. Fra i cereali secondari ebbero una certa rilevanza il miglio ed il panìco, almeno fino all’avvento della patata, che soppiantò anche l’uso delle castagne (MORTAROTTI, 1985).
La valle era popolata da …gente legata alla terra, rozzamente vestita, poverissima; abita catapecchie sferzate dal vento; si ciba di radici, farina di vinacce, rottami di castagne. I giovani hanno volti sparuti, capelli scomposti sul capo. Conoscono solo gli animali del bosco, il passare del tempo, l’oggi uguale al domani... (RIZZI, 1979).
A rincrudire ulteriormente la situazione erano poi i continui balzelli, dazi e privilegi feudali imposti su tutto e sui quali si intrecciavano le frequenti liti fra poveri, sobillate da schiere di avvocati e notai intriganti e senza scrupoli. I dazi più frequenti erano quelli del pane, della mercanzia (compreso quello della stadera), quello antico del vino (o della spina), quello delle pelli verdi, etc. Beneficiaria di tutti era la framiglia Borromeo in grazia di differenti investiture o acquisti.
La Valle Anzasca nel Settecento
Del tutto analogo era l’ambiente della Valle Anzasca (Figura 4 e Figura 5)) seppure godesse dell’esenzione di alcuni dazi in forza del decreto di Aranjuez (del 5 maggio 1655) col quale Filippo IV di Spagna confermava la valle nel possesso delle sue antiche immunità.
Tuttavia, l’ambiente era talmente povero che gli uomini validi erano costretti ad emigrare, anche stagionalmente, per integrare gli insufficienti redditi derivanti dall’agricoltura e dalla pastorizia.
La povertà della valle era …talmente notoria a quei Paesi circonvicini che non haveva bisogno di prova, e se fossero stati astretti sostener carichi, al sicuro sarebbe detta Valle restata del tutto inhabitata, come seguirebbe quando gli uomini di quella non andassero per il Mondo chi in una parte chi in un altra, guadagnando il vitto per se et loro famiglie… (BIANCHETTI, 1878). Queste furono le conclusioni del rapporto fatto dal Cesati, inviato particolare del Magistrato nel 1652.
Già l’accesso in Valle Anzasca era sconfortante. Avveniva attraverso una stretta e ripidissima mulattiera, lungo la quale sarebbero transitati difficilmente pure gli eserciti. La scena era dominata da fianchi vallivi nudi e versanti scoscesi (Figura 6 e Figura 7), da rari alberi infruttiferi punteggiati da qualche castagno. Questi ultimi erano diffusi solo alla fine del Settecento (DE SAUSSURE, 1794). Solo lungo i versanti meglio esposti esistevano pochi terrazzi a fasce miseramente coltivati (Figura 8).
Bannio era il capoluogo della Valle. Vi si riuniva …il Consiglio Generale, da secoli il reggimento democratico che decide i principali affari della Valle Anzasca. Ogni comunità vi manda i suoi deputati a discutere ed a votare. Così almeno recitano gli antichi statuti (…). Il marchese d’Ormea non ne trova che un corpo marcio e corrotto. I deputati sono per lo più persone rozze e idiote, che il Sindaco Generale e i suoi partigiani riescono regolarmente a turlupinare. Un branco di capipopolo, faccendoni e disonesti, ha condotto la valle alla rovina, trascinata in liti dispendiose ed assurde per poter mangiare liberamente e con tutta franchezza alle spalle dei poveri. Sindaco Generale è Francesco Antonio Gorino Chitola, un notaio di Vanzone dipinto come un despota losco e intrigante. Non tiene registri regolari ma semplici noterelle informi; spende a capriccio, tra mille raggiri, a privato vantaggio. (…) In Vanzone sono il Sindaco Generale Francesco Antonio Gorino, Giuseppe e Stefano Albasini, Franco Gorino, Giacomo Governore e Giambattista Prucia […] che muniti di mandato per intervenire ai Consigli Generali, regolano a loro talento gli interessi di quei miseri abitanti… (RIZZI, 1979).
Miniere e ambiente
La gestione delle risorse minerarie dei territori allodiali e feudali dei Borromeo (Valle Anzasca compresa) rimase appannaggio della famiglia in forza della concessione fatta dal Duca Giò Galeazzo Maria Sforza il 17 luglio 1481. Ed anche la legge abrogativa di tali diritti emanata il 29 fiorile anno VI (18 maggio 1798) dalla Nazione Cisalpina produsse la sola perdita della signoria di Vogogna.
Il diritto sulle miniere Borromee rimase di fatto ancora in favore del feudatario.
Il governo milanese aveva tentato, già nel Seicento, qualche timida ingerenza in materia, ma solo occasionalmente e senza molta convinzione. Infatti aveva tenuto un comportamento distaccato anche verso quei ricercatori che operavano al di fuori dei territori borromei e quindi nella sua diretta pertinenza.
Dunque, nel Milanese seicentesco …la facoltà di lavorare o far lavorare… le miniere era concessa sulla base di una quindicina di principî o Capitoli regolati dal Regio Fisco e dal Tribunale della Giurisdizione territorialmente competente, sentito anche il Magistrato. Le norme erano sempre le medesime dal Quattrocento, ispirate a quelle del privilegio Borromeo. Di ciò si trova conferma, ad esempio, nella concessione per una miniera d’oro sul Carcoforo, in Valsesia, del 1683.
Uno di questi Capitoli disciplinava i rapporti fra i minatori e l’ambiente esterno. In particolare riguardava l’approvvigionamento della legna e dell’acqua indispensabili nei cantieri. Era, difatti, concesso di servirsi del legname …de Boschi in tutti li luoghi, ove sarà più bisogno tanto per armare le Crosi, come per fare gl’edificij, & ogn’altra cosa necessaria (…) eriggere fornelli, e qualsivoglia artificio, tanto a mano, come sopra acque…. (Figura 9, Figura 10 e Figura 11). L’unico onere era quello del risarcimento dei proprietari qualora fossero privati. Al contrario non erano previsti indennizzi per l’approvvigionamento da un bosco derelitto.
Questa opportunità causò contenziosi fra le compagnie minerarie ed i valligiani. L’esbosco selvaggio operato in aree a maggiore densità di cantieri o per la contestuale produzione di carbone, avrebbe innescato e/o favorito valanghe, frane e dissesti. Non a caso alcune Comunità, fra le quali quella di S. Carlo, riservarono all’approvvigionamento dei minatori alcuni ben definiti boschi di proprietà pubblica, riscuotendone i relativi oneri.
La ricerca mineraria
Analoga regolamentazione riguardava la ricerca mineraria ufficiale. Nel milanese era il Tribunale centrale che, nel Seicento, concedeva la facoltà di praticare le “diligenze” (cioè la ricerca mineraria). E solo dopo che erano state accertate le capacità, tecniche ed economiche, dei richiedenti. Molto più semplice e rapida era l’autorizzazione nei territori soggetti al diritto feudale. In questo caso era sufficiente rivolgere l’istanza o la notifica agli Agenti Borromei ed iniziare a lavorare. Soprattutto dopo il pagamento del relativo diritto che variò nel tempo fra 1/3 ed 1/10 dell’utile ricavato. Tuttavia i controlli erano blandi e sommari anche nel caso dei feudatari che non avevano neppure interesse a rivelarsi particolarmente fiscali. In tale situazione non mancarono casi di sfruttamento fortunati e sfuggiti al controllo Borromeo. Avutane notizia, i feudatari cercarono di porvi rimedio con la creazione di loro rappresentanti-delegati. Questi Caporali furono investiti di ampi poteri quali la facoltà di affitto delle miniere e del controllo delle produzioni minerarie e metallurgiche. Ma ancora il risultato non sempre fu all’altezza del problema, per l’azione di personaggi che ben presto anteposero il loro interesse a quello dei feudatari. La mutata attenzione connessa al difficile ambiente naturale favorì l’insorgere di una diffusa clandestinità sia nei confronti della coltivazione mineraria che della metallurgia. Questo stato di cose si modificherà molto lentamente e, comunque, neppure completamente come confermerà il cittadino Antonio Cadorna il 4 fruttidoro anno IX Repubblicano (23 agosto 1801): …quest’ultimo travaglio (amalgamazione e distillazione, n.d.A.) egli è il più di tutti interessante e geloso, che quindi dagli intrapprenditori, si suol fare nelle più dense tenebre e lungi da occhio qualunque indagatore….
L’espansione industriale
Il Settecento fu il secolo dell’espansione dell’industria mineraria legata ai giacimenti auriferi primari della Valle Anzasca. Lo sviluppo fu non poco favorito da un mutamento nella politica gestionale del diritto feudale sulle miniere da parte della famiglia Borromeo. L’attività estrattiva prese impulso in gran parte della valle e soprattutto nel distretto estrattivo di Pestarena (Figura 12).
L’amministrazione centrale, ancora legata alla Spagna, invece continuò ad interessarsi solo marginalmente all’attività, seppure fosse molto attenta a fiscalizzare ogni risorsa. Molto più forte era l’attenzione a non interferire con i privilegi di nobiltà e clero sui cui consensi si reggeva la presenza straniera in Italia.
Il gettito dell’attività estrattivo-metallurgica rappresentò nel decennio 1735-1744. il 24% delle rendite Borromeo.
Il passaggio dell’Alto Novarese (fino alla sponda destra del Lago Maggiore) al Regno Sardo, nelle mani di Carlo Emanuele III, non provocò immediate ripercussioni sull’andamento dell’attività, anche se la nuova amministrazione si dimostrò più interessata alla materia.
L’attività mineraria rimaneva una grande attrazione anche per tutti quei casi in cui il tenore in oro non era remunerativo, ma egualmente costituivano speranza di fortunati ritrovamenti. I lavori continuarono ad essere un richiamo per molti disperati residenti o immigrati e fonte di lucro per i concessionari. È proprio in questi anni che comincia l’ascesa monopolistica di alcune delle figure più in vista della società anzaschina sulla gestione diretta dell’attività, grazie ad un fitto intreccio di accordi, parentele e subaffitti reciproci, ed alla presenza fisica costante ed attenta sui cantieri.
L’utile economico prodotto dallo sviluppo repentino e smisurato dell’attività estrattiva rimase appannaggio di una ristretta cerchia di personaggi locali. Il solo Antonio Gorini Chitola avrebbe ricavato da diverse operazioni eseguite nel 1765 non meno di 2283 lire. Questi redditi furono connessi alla creazione di un indotto a servizio e sostegno delle maestranze impegnate nello sfruttamento minerario ed nella trasformazione metallurgica.
Allo stesso tempo le documentazioni evidenziano come, in conseguenza di una realtà sociale ormai consolidata, fosse in atto un’arrogante, ma non generalizzata, aggressione dell’ambiente osteggiata, seppure in maniera disorganica ed inefficace, da parte della stragrande maggioranza degli Anzaschini e dei Macugnaghesi costretti a subire le imposizioni dei minatori sostenuti dagli imprenditori stessi (che sovente ricoprivano anche cariche di governo locale). La situazione sfociò in una lunga vertenza fra i quartieri di Pestarena e Stabioli e la Compagnia delle Miniere (costituitasi fra Francesco Gorini Braga, Stefano Albasini, il capitano Testone e Giuseppe Albasini, ai quali si aggiunsero più tardi Gio.Batta Paruzza e Giacomo Antonio Gorini),
Le documentazioni, seppure ci siano giunte incomplete, consentono comunque una ricostruzione interessante della vicenda.
Figura 1 – Particolare della carta delle Alpi Lepontine: il Lago Maggiore e l’Ossola. Dalla Cronaca di Johannes Stumpf (1548).
L’esposto del 1766
La Comunità di Pestarena ricorse all’Autorità del Vice Intendente quale regio Delegato, denunciando che in almeno quattro situazioni, i minatori (Minerali) invadevano i pascoli con gli scarti dell’estrazione del minerale e della costruzione degli edifici di servizio. Ciò avveniva sia sui pascoli comunali che si quelli privati, senza pagamento di alcun indennizzo e rendendoli infruttiferi. Così facendo …si scemano solitamente l’alimento del loro Bestiame, in cui consiste il Principale e quasi unico sostegno del Paese… (Arch. Priv. S. ALBASINI). Gli abitanti di Pestarena, danneggiati, pretendevano a titolo di indennizzo, …dal detto S.r Cap.no Testone lire seicento Imp., dalli sud.i Ss.ri Governorio, e Rabbaglietti Compagni lire novecento Imp., dal riferito S.r Domenico Cadorna lire cento cinquanta Imp., e dalli menzionati Sig.ri fratelli Vanzina lire cento Imp. di Comporzione come da lista sopra etc…(Arch. Priv. S. ALBASINI). L’ammontare complessivo del danno fu dunque stimato in 1750 lire. Contestualmente veniva richiesta una citazione in tribunale dove, in contraddittorio, fossero stabilite delle regole di comportamento future a salvaguardia di ulteriori danneggiamenti.
Seguì una seconda denuncia che dettagliava più accuratamente gli …abusi, usurpazioni, pericoli, e danni, che sucederanno nel guasto delle strade, Beni, pascoli, e Boschi tanto privati che Comunali, e per qualonq. causa dipendente dal loro rispetivo Travaglio e Traffico etc. per li quali pure li anzd.i Minerali Padroni, e Traficanti dovran essere corresponsali, e contabili… (Arch. Priv. S. ALBASINI). Le responsabilità furono individuate nelle persone del capitano Testone, dei fratelli Antonio e Giovanni De Paulis, di Domenico Cadorna, dei soci Zambonini e Maffiola, di Pietro Giordano, dei soci Giacomo Governore e fratelli Rabaglietti e di G.B. Molgatino. Tutti personaggi che hanno fatto la storia estrattiva della Valle Anzasca.
Il problema si evidenziava più ampio di quanto apparisse in un primo momento. La nuova istanza non si limitò al risarcimento dei danni già patiti e denunciati ma bisognava …parimenti in avanti inibirsi nel tagliare i boschi d’essa Comunità e di lei membri dispoticamente per l’addietro tagliati; perlocchè avendo per l’avenire gli Minerali o Traficanti di d.i boschi non possino, nè debbino far alchuna incisione, o taglio, senza prima convenire colla med.a Comn.tà, o di lei Quartieri ed indicationi etc. la quantità che la ne abisognerà, il sito, ove dovranno prenderli, ed il prezzo da stabilirsi, qualora essa Comn.tà e di lei uniti etc. siano al caso di passare alla vendita delli medesimi senza loro pregiudizio… (Arch. Priv. S. ALBASINI).
Conseguenza immediata fu che il regio Delegato proibì agli accusati Testone, Gorini, Cadorna e Governore l’approvvigionamento del legname già dal 13 dicembre 1766.
L’immediato ricorso
Nei primi giorni del successivo gennaio, gli industriali predisposero un accurato e lungo ricorso che confutava puntualmente le accuse loro mosse. Oltre al taglio non autorizzato di piante in momenti e boschi differenti, erano imputati dell’edificazione abusiva di alcuni edifici, fra i quali una fucina ed un mulino, dell’occupazione di pascoli, del danneggiamento di una strada (Testoni) e della produzione di carbone (Gorini e Governore-Cadorna).
La prima difesa furono cavilli ed eccezioni. Fu ricusata la fonte delle accuse poiché i rappresentanti Procuratori dell’Università di Macugnaga D.D. Antonium Marca de Prato f. q. D. Joseph nec non Joseph Ant. Lanti f. q. D. Antonij ambos ex Macugnagha non erano competenti per territorio né per elezione. Infatti le loro nomine risultavano eseguite in ...diffetto del sufficiente numero de vocali atti à costituir le due delle tre parti delle persone vocali in d.a Università mentre non contasi in d.a asserita Procura che N. 27 Persone in concorso di perlomeno cento Persone vocali come nel tempo estivo in cui dicesi Fatta tale Procura, sogliono ritrovarsi in Patria... (Arch. Priv S. ALBASINI). Inoltre la maggior parte dei citati vocali erano dello stesso quartiere del Del Prato e quindi territorialmente non potevano decidere della questione. Pertanto, in osservanza delle consuetudini, non potevano trattare degli interessi e dei beni relativi agli altri quartieri di Pestarena e di Stabioli. Conseguentemente venne richiesto …all’Ill.mo Sig.r Regio dellegato ordinare, e dichiarare sull’accenato diffetto di d.a asserita Proccura e di asolvere intanto li Eccipienti dall’osservanza del presente Giudizio colla condanna delli SS.ri Aversanti nelle spese e ciò anche ad effetto che al caso di qualonque sentenza che si puotesse riportare dalli Eccipient.. (Arch. Priv S. ALBASINI).
Naturalmente le specifiche e circostanziate accuse vennero giustificate e minimizzate. Così il pericolo di valanghe (nevali) incipiente sui Stabioli a causa del disboscamento non sarebbe stato reale poiché nella frazione rimaneva stabilmente un solo abitante, il settuagenario Giangiacomo Jachetti, dato che tutti gli altri si trovavano all’estero.
Inoltre, il terreno coltivo su cui il Governore avrebbe costruito una fucina era in realtà sassoso. E poi, in questo caso, come in altri di quelli citati, sarebbe stato solo un trasferimento di sede con minimo ampliamento della costruzione. Analogamente per gli altri tre edifici si sarebbe trattato della ricostruzione di quelli danneggiati dall’alluvione del 16 maggio 1755 (BIANCHETTI, 1878).
Riguardo all’approvvigionamento di legname sarebbe sempre avvenuto nel modo classico, Non sarebbero stati tagliati abeti per ricavarne e vendere assi, anche per la mancanza in valle delle segherie e di strade adeguate ad un trasporto economico. Al contrario, il carbone sarebbe stato prodotto solo nei siti convenuti.
Si può supporre che alcune delle imprese minerarie avessero prodotto utili interessanti poiché, a posteriori, veniva proposto di rivedere gli indennizzi sulla base della fortuna di alcune miniere. Fra l’altro uno dei richiedenti era stato anche uno dei firmatari degli accordi. Lo stesso personaggio che aveva ricevuto un premio per il taglio di alcune piante a Pestarena. Infine, il Testoni non avrebbe realizzato un nuovo molino e la relativa strada, ma anzi avrebbe sistemato quella esistente per il comodo anche degli abitanti. Tutto ciò doveva far decadere le accuse.
L’inconclusione della vicenda
La tracotanza dei minerali nei confronti dell’ambiente, delle proprietà private e delle altre attività derivava da una lettura personale ed originale del privilegio Borromeo in materia di attività mineraria. I diritti di cercare e scavare minerali, costruire edifici di servizio e l’uso dei boschi, furono interpretati come trasferimento diretto agli affittuari, discendente dell’autorizzazione del feudatario.
La vicenda rimane comunque nebbiosa. Non è facile stabilire, oggi, quali fossero le reali responsabilità dei minatori. Un’altra possibilità è che sia stato un tentativo di rivalsa popolare sia nei confronti della classe economicamente e politicamente egemone, sia verso gli immigrati tirolesi. Questi erano immigrati in valle a seguito dell’esaurimento delle loro miniere d’argento (Figura 13). Qui accettavano lavori che i valligiani non volevano e, forse, non sapevano fare. Ma sfruttavano pur sempre una ricchezza altrui. E ciò suscitava l’invidia ed il dispetto dei valligiani, talvolta anche costretti a sottostare alle prepotenze di una minoranza insofferente e prevaricatrice le cui responsabilità non potevano però essere addebitate agli imprenditori e/o alla generalità degli addetti.
Parziale conferma delle accuse rivolte dall’università di Macugnaga si trova nelle note contabili (Archivio Privato S. ALBASINI) in cui compare effettivamente un pagamento di L. 15 ad Antonio Jachetti quale indennizzo per la legna tagliata durante l’anno, ad uso della miniera del Fornale e dei suoi mulini. Ancora, il 20 agosto di quello stesso anno fu acquistata una certa quantità di carbone dal Governore per un ammontare di 4. lire e 5. soldi. In precedenza figuravano altre spese a favore del Quartiere di Stabioli per consumo di Bosco destinato al forno ed ai Molini. Infine, per un Molino localizzato sotto Stabioli, la Compagnia pagava al Quartiere 12 lire al mese nel 1769.
In ogni caso emerge una ricaduta positiva anche sulle comunità.
Per quanto concerneva la diatriba fu momentaneamente deciso di soprassedere sia per consentire di informare il feudatario, sia per permettere ai rappresentanti Del Prato e Lanti di regolarizzare la loro posizione.
Le scuse per procrastinare i verdetti sono evidentemente sempre state una realtà.
L’epilogo…
…Alle ore 4. a 5. di notte circa… del 21 gennaio 1767, nella Sala del Pretorio del Reggio Borgo di Pallanza (Arch. Priv. S. ALBASINI) si tenne la seconda udienza della lite dei boschi. In quell’occasione, di fronte al Vice Intendente con funzione di Regio Delegato, furono ridimensionate le pretese da parte dei rappresentanti della comunità di Macugnaga. Proposero che rimanesse in atto l’inibizione del taglio di piante solo entro un’ampia zona di rispetto (Bando) a monte degli abitati. Si sarebbe estesa fra la Piana dell’Oro (che si trova fra il Ponte di Vaud e Lavanchetto), il quartiere di Pestarena, le Casine dell’Alpetto di Pestarena ed i confini del quartiere della Burga dirimpetto alla Casera de Vitini (Arch. Privato S. ALBASINI).
Si trattava di un forte cambio di posizione che fu notato e sottolineato dallo stesso Vice Intendente. Oggi ci induce il sospetto che possa essere stato condizionato dal coinvolgimento dei Borromeo o dagli stessi imprenditori nella loro qualità di rappresentanti politici. La cosa appare tanto più strana in considerazione il fatto che gli accusatori erano sembrati favorevoli al ricorso a Pallanza poiché, a loro giudizio, non avevano trovato un adeguato riscontro a Vogogna. Si conferma indirettamente l’impressione del d’Ormea che a …Vogogna si imbatte in un ceto di burocrati faziosi, che s’impingua dissanguando il popolo (…) e di avervi trovato ben diciassette avvocati, un numero stragrande per un piccolo borgo. Il loro unico scopo è rovinare i clienti, spingendoli a litigi e spogliandoli di ogni sostanza. Una mischia di itriganti e di sobillatori, dividendo il popolo, gli toglie i magri frutti sufficienti alla valle per vivere non più di tre mesi l’anno…(BIANCHETTI, 1878, 1987). Rimaneva aperto solo il problema di approvvigionamento delle piante di abete (Peccia) della dimensione di una gamba necessarie al funzionamento de marinelli (i mulinetti per l’amalgamazione).
In definitiva, l’ ordinanza emessa (la sentenza), sembra più favorevole ai Borromeo ed ai Minerali riportando la situazione all’andazzo precedente. Va ricordato che i rappresentanti della Comunità non avevano potuto regolarizzare la loro posizione per l’assenza della maggior parte dei votanti, ancora impegnati fuori della Valle.
Il 20 febbraio successivo fu tenuta una nuova udienza di fronte al R. Pretore della provincia dell’Alto Novarese. Vii presenziarono sia gli imprenditori che i due deputati della Comunità, la cui posizione non era ancora stata regolarizzata. Non si conosce l’esito della discussione poiché il documento pervenutoci riguarda solo la parte preliminare-introduttiva (Arch. Privato S. ALBASINI). Tuttavia, da un altro spezzone di documento (Arch. Privato S. ALBASINI), senza data, sembrerebbe che il ricorso sia stato giudicato nullo ed invalidato per l’ancora sussistente regolarità della delega dei Rappresentanti della Comunità.
In tutta questa vicenda, non manca il larvato risentimento di chi non era impegnato nello sfruttamento minerario e vedeva di malocchio tanti forestieri arricchirsi, o quanto meno vivere, grazie alle risorse della sua terra, Situazione che si ripresenterà, in maniera più grave, un centinaio di anni dopo (DEL SOLDATO, 1988). Non dimentichiamo l’aggravante che nei gruppi di immigrazione non mancavano elementi inclini a …peccati, risse, delitti, ed omicidi... (Arch. Privato S. ALBASINI), tanto che per averli costantemente sotto controllo il Testone pensò di aprire un’osteria …acciò sotto li di lui occhi fossero più rattenuti… (Arch. Privato S. ALBASINI). L’iniziativa fu ripresa da altri imprenditori (Figura 14) del settore ancora nel secolo successivo, ma con fini soprattutto speculativi. Non mancava certo anche una forte dose di risentimento nei confronti di quella classe dirigente che con pochi scrupoli e forte della sua posizione di predominio, sobillava liti fra poveri a proprio tornaconto, come denuncia, fra l’altro, la ricordata relazione di Vincenzo Ferrero d’Ormea.
La situazione illumina anche sul valore effettivo dell’industria mineraria anzaschina settecentesca (ed anche più recente) la quale, a parte casi molto rari, pare aver basato la propria opulenza (goduta comunque da un numero estremamente ristretto di persone rispetto al complesso degli addetti) sulla gestione del sub-affitto e dell‘indotto che non sull’attività estrattivo-metallurgica diretta.
Conclusioni
Nel Settecento si sviluppano in maniera esponenziale le attività estrattive in valle. Questo pullulare di nuove esplorazioni si colloca e va relazionato ad un contesto storico-sociale assai particolare che non ha mancato di influenzarlo anche profondamente.
È il secolo della grande immigrazione dal Tirolo conseguente alla profonda crisi che ha colpito le locali miniere d’argento. È il il tempo dell’inserimento, in un ambiente nuovo e per molti versi ostile, delle numerose famiglie che giungono in valle spinte dal bisogno o dalla disperazione. Una grande motivazione a questa spinta immigratoria è soprattutto la speranza di facili fortune unita alla consapevolezza della propria tradizionale capacità tecnica. Sono forti dell’esperienza mineraria acquisita in patria e sono disposti a svolgere anche le mansioni più faticose. Gli uomini in miniera e le donne addette ai trasporti. Ma sono anche disponibili ad accettare qualunque tipo di contratto, per sfavorevole che sia.
Tutto ciò si colloca nel delicato rapporto fra attività estrattivo-metallurgica, ambiente e popolazione non impegnata nel settore che caratterizza la valle in quel momento. Da una parte una classe egemone, faccendiera ed intrigante, forte di un certo predominio, anche culturale, che strumentalizza la legge e la cosa pubblica fuori da ogni controllo superiore (tantomeno da parte del feudatario che si accontenta del sicuro reddito fisso, delle affittanze). Dall’altra parte si contrappone una popolazione sottomessa, suo malgrado, che tenta con poca convinzione di reagire. Nel mezzo si trovano i tirolesi che pur di inserirsi in quell’ambiente così estraneo (e non solo in senso fisico e sociale) fanno forza sulla loro capacità di mestiere.
Questa è l’ottica nella quale inquadrare il significato dell’attività mineraria e l’impatto che essa ha comportato sull’ambiente. Cosicché anche il valore dei giacimenti, in senso strettamente geo-economico, ne resta pregiudicato. Certo non sono mancati i rari ritrovamenti fortunosi necessari a mantenere vivo l’interesse e la speranza dei minatori, ma nella maggior parte dei casi, a fronte di un impegno duro, incerto e pericoloso, l’utile in definitiva si riduceva alla semplice sopravvivenza.
La vera fortuna era spartita fra i pochi intestatari delle concessioni che percepivano, comunque, il canone d’affitto e rimanevano in attesa della ricca scoperta per subentrare in prima persona nella coltivazione. Ma soprattutto guadagnavano sull’indotto che avevano avuto l’astuzia di creare intorno al richiamo dell’oro: fornitura di viveri, attrezzi e materiali di consumo, quando non addirittura dei capitali (Figura 15), oltre alla certezza di avere assicurata la manutenzione dei cantieri.
In questo contesto è evidente a chi spettasse il favore del verdetto nel contenzioso insorto attorno alla questione dei boschi non appena comparvero in prima persona i personaggi eminenti della Valle e si profilò il paventato interessamento del feudatario.
Un ricordo particolare ed un grazie va ad Alessandro ZANNI che molti anni fa aveva incoraggiato ed incentivato le mie ricerche storico-minerarie in Valle Anzasca. A parte i suggerimenti ed i consigli mi aveva fatto conoscere alcuni personaggi che avevano lavorato in miniera (primo fra tutti Angelo JACHINI) ed aveva fatto da tramite con l’amico Saverio ALBASINI per consentirmi di esaminare, trascrivere e studiare i documenti del suo archivio, inerenti alle attività mineraria praticate dalla sua famiglia .
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DEL SOLDATO, M. (1996, marzo). L’oro della Valle Anzasca. Un percorso di Archeologia Industriale. Il Coltello di Delfo (37), 41-46.
DEL SOLDATO, M. (1998). Présentation d’un CD ROM: L’or du Monte Rosa. In s. l. Dieudonné-Glad. (A cura di), Actes du Colloque de Poitiers, 28-30 septembre 1995, Les métaux dans l’antiquité: travail et restauration (p. 193-196). Montagnac: Université de Poitiers, Département d’Archeologie et Histoire de l’Art.
DEL SOLDATO, M., & ZANNI, A. (1991). Oro, boschi pascoli in Valle Anzasca. L’eco di un dissesto ecologico nel Settecento. Bollettino Storico per la Provincia di Novara, LXXXII (1), 175-213.
MORTAROTTI, P. (1985). L’Ossola nell’età Moderna. Domodossola.
RIZZI, E. (1979). Immagini dell’Ossola nel 700. Riv. Oscellana, 9.
Documenti di riferimento
Archivio di Stato di Milano (in seguito A.S.M.), Commercio p.a., cart. 206. Decreto di concessione alla fratelli Antonio e Carlo Bertolini & Compagni di una miniera d’oro nella regione Carcoforo (Valsesia) con indicazione di tutti i Capitoli del Regolamento.
A.S.M., Commercio parte moderna, cart. 216.
A.S.M., Commercio p.a., cart 220 “Lago Maggiore”. Concessione fatta da duca Giò. Galeazzo alla Cav.r Giò et Vittaliano Conti Borromee di poter far cavar metalli nelle sue giurisditioni. 17 luglio 1481.
A.S.M., Commercio p.a., cart. 220. 26734. – IR XV RUB 8 Miniere Agogna Campioni
A.S.M., Commercio p.a., cart. 220 Fc. Valle Anzasca. 2 Agosto 1725
Archivio Privato S. ALBASINI, Losanna, vari documenti datati e databili fra il 1766 e il 1767