Oro: baratto, simbolo, moneta, bene-rifugio, oggetto d’arte

copertina

Copertina – Agglomerato di oro nativo, naturale e cristallino. Foto da Web.

L’oro simbolo in natura

L’oro si trova comunemente allo stato nativo, in piccolissime quantità, sotto forma di polvere (Figura 1), grani, pepite (Figura 2), cristalli (Figura 3), patine (Figura 4 e Figura 5), etc., tutte forme amalgamabili col mercurio. Più raramente si trova in laminette talmente sottili (Figura 6) che non risentono dell’elevata massa volumica (19.32 Kg/mc) e possono galleggiare sull’acqua. Sotto quest’ultima forma (floating gold), rarissima, l’oro non è amalgamabile.
In natura l’oro assume colorazione gialla brillante: È lucente, duttile, settile e malleabile, caratteristiche che hanno sicuramente attirato, incuriosito ed affascinato i primi cercatori. A queste doti si devono aggiungere l’inalterabilità, la facilità di rigenerazione dai suoi composti, la semplicità e le potenzialità di lavorazione (fino ad assumere le più delicate impronte), la durezza (se in lega con piccole dosi di rame che lo rendono anche resistente all’usura), l’omogeneità (per cui può essere ridotto in pezzi tutti esattamente uguali per peso, composizione e valore) ed infine la rarità di reperimento (almeno in quantità che permettano una qualche utilizzazione e siano economicamente sfruttabili). Per tutte queste ragioni, è facile comprendere come ben presto abbia acquisito valore tale da divenire ambito oggetto di possesso, oltre che preziosa merce di scambio. Sono queste stesse caratteristiche peculiari che, trascendendo dalla natura di materia prima, hanno reso l’oro il bene rifugio per eccellenza, il mezzo, cioè, capace di costituire la riserva di valore a protezione di qualunque evento catastrofico.

Anche argento e rame…

Anche argento (Figura 7) e rame (Figura 8) si trovano, ma raramente, allo stato nativo. Ciò avviene per riduzione chimica spontanea da alcuni loro composti. E questo ne spiega la rarità di reperimento. Ma per l’oro è imputabile ad una intrinseca difficoltà del metallo a combinarsi con l’ossigeno e quindi a ossidarsi, sia a caldo che a freddo. L’unicità della caratteristica gli deriva dalla minima elettropositività e dall’elevato peso atomico che lo rendono il più nobile dei metalli. 
Per contro, l’oro è un elemento molto diffuso sia sulla terra sia in giacimenti primari che secondari-alluvionali (Figura 25) e sia nelle acque marine. Qui è presente in concentrazioni troppo deboli per poter essere recuperato economicamente. I tenori medi nei quali è presente sono di 0.005 g/t sulla crosta terrestre e qualche centinaio di milligrammi per metro cubo nelle acque marine. In un chilometro cubo d’acqua di mare sono disciolti 40 milioni di tonnellate di sostanze differenti, fra le quali 10 milioni e mezzo di cloruro sodico, 1.3 milioni di magnesio, 65.000 di bromo, 10 di ferro e d’alluminio, 3 di arsenico, di nichel, di rame, di stagno, di piombo e d’uranio, 30 chili di mercurio e 4 chili d’oro. 
MAIRANI (1979) indica in almeno 117 forme cristallografiche secondo le quali è stato trovato l’oro in natura.

L’oro oggetto di baratto

Presso le civiltà urbane orientali oro, argento, piombo, bronzo e rame acquistarono un preciso significato religioso e ciò ne spiega la destinazione ad uso di moneta. Ma anche lo sviluppo della più antica forma di usura. Pare che il baratto tragga origine presso le prime civiltà di coltivatori-agricoltori dal prestito di animali, sementi e altro, dietro adeguato compenso in natura. Ma si diffuse ben presto a tutte le popolazioni. La prima evoluzione fu il decadere del prestito di sementi (generalmente cereali) e frutta (fichi e datteri) rimanendo invece quello degli animali. Ulteriore evoluzione lo portò al ruolo di vero e proprio investimento.
Nonostante che nessuna merce di scambio fosse trascurata per principio, veniva data preferenza ai prodotti difficilmente deperibili. Fra questi i minerali (oro, argento, rame e piombo) come risulta dai libri contabili provenienti dall’Oriente Antico. Anche la prima moneta fu costituita da merce di scambio che potesse essere misurata e/o pesata.
Per i metalli le forme variarono notevolmente: rozze ciambelle piatte, anelli, spirali, fili, grani, masselli a forma di tegola, lingotti e sbarre d’oro, argento, piombo e rame. Poi ancora teste di animali (a ricordo dei precedenti oggetti di scambio), foglie d’oro, piatti d’argento e asce spesso finemente lavorate, con numerosi esempi provenienti da Troia, Asia Minore, regioni ittite, dagli insediamenti minoici e micenei, Babilonia, Assiria, Siria, Egitto, Iran e Creta, con prevalenza degli uni o degli altri tipi. Ritrovamenti simili provengono anche dai depositi dell’Età del Bronzo europei, dove, però, pare avessero unicamente ruolo di moneta e non anche funzione di prestito od usura.
A Loto, frazione di Sestri Levante, Arturo ISSEL (1908) segnala il rinvenimento, intorno alla fine dell’Ottocento, di un ripostiglio contenente un puntale di lancia a forma conica, una piastrella peduncolata a foggia di bottone, un pane di rame grezzo, un’armilla (Figura 9) e un braccialetto. Il lingotto era sicuramente riconducibile ai locali giacimenti cupriferi ed indicava la circolazione di metallo grezzo.
Ma si può pensare di ricondurlo ad una sorta di moneta di scambio?

Dal Bronzo al Ferro

Il sistema monetario antico orientale subì profonde trasformazioni durante l’Età del Ferro. La causa principale furono gli effetti indotti dalla diminuzione del prezzo di produzione del metallo. A sua volta, ciò fu conseguenza dall’introduzione di nuovi arnesi di lavoro metallici.
La modificata capacità di produzione dovuta alle nuove tecnologie di lavoro ebbe riflesso su tutte le materie prime.
Al variare delle richieste di mercato seguì una ridefinizione delle tariffe e dei tassi di scambio. Ad esempio oro, ma soprattutto rame e stagno, ebbero un utilizzo ridotto rispetto alla precedente Età del Bronzo. Ne conseguì uno sbandamento dei prezzi dei metalli, ma anche di altri beni.

I giacimenti auriferi dei Traci e degli Sciti

Ingenti giacimenti auriferi sono stati sfruttati in Tracia dagli abitanti di Thasos ed in Crimea ad opera degli Sciti. In particolare i Traci, abitanti della regione che comprendeva gli odierni territori della Grecia nord-orientale, della Bulgaria meridionale e dell’attuale Turchia europea, furono ottimi artigiani-orafi. Particolarmente abili nel reperire, …nell’estrarre, nel purificare, nel fondere, nel battere, nel lavorare i metalli preziosi... (SUSINI, 1989). La conferma viene dai diversi tesori fra i quali quelli di Valcitran, Borovo e Rogozen (Figura 10). Quest’ultimo è composto da 165 pezzi, alcuni dei  quali, però, d’importazione greca. Erano 108 fiale, 55 brocche (Figura 11) e tre calici e diversi piatti (Figura 12) in argento ornati da ricche decorazioni a sbalzo con figurazioni geometriche, floreali e mitologiche, risalenti fra il V ed il IV secolo B.C. (REDAZIONALE, 1987). Il tesoro di Rogozen fu ritrovato fortunosamente nel 1985.
Già dall’Eneolitico (fine V – IV millennio BC), a seguito dello sviluppo economico raggiunto da alcune regioni prima di altre, i villaggi traci furono spesso fortificati. Furono dotati e protetti da fossati, terrapieni e/o muri di legno ed argilla. I Traci già conoscevano ed usavano il rame e l’oro, seppure limitatamente alla fattura di ornamenti e …di oggetti simbolo di alto livello sociale. Se ne ha un esempio nella necropoli di Varna – seconda metà del V millennio a.C. – che raccoglie cenotafi e vere e proprie tombe dell’aristocrazia e degli stessi capi tribù, le quali contengono alcune migliaia di oggetti d’oro: perline, applicazioni per abiti, ornamenti, amuleti, pettorali… (REHO, NIKOLOV, DOMARADSKI, MILCEVA e GERGOVA, 1990).

L’oro dei Traci: opulenza e guerre

Dopo un lungo periodo durante il quale si persero le tracce della cultura tracia, se ne assiste un nuovo dirompente sviluppo nel I millennio BC. Le origini di questo vanno fissate nei precedenti 500 anni che corrisposero al periodo delle grandi migrazioni nell’Europa sud-orientale. Ma anche al definitivo stanziamento dei portatori della cultura tracia nei Balcani.
Le fonti letterarie ed epigrafiche ricordano oltre cinquanta nomi di tribù trace, le più importanti delle quali furono quelle degli Odrisi, dei Besi, dei Sapei, dei Medi, dei Triballi, dei Denteleti, dei Crobizi e dei Geti.
Con la scoperta del ferro (fine II millennio BC) l’aristocrazia tribale divenne sempre più potente quale proprietaria delle terre e dei mezzi di produzione. Da essa dipendevano i contadini, gli artigiani, i minatori e tutte le forze produttive.
La maggior fonte di opulenza per i Traci furono le miniere, ampiamente sfruttate, di oro, argento, rame e ferro. Queste debbono considerarsi all’origine dello sviluppo della società nonché la fonte delle continue guerre contro i Greci, i Macedoni e fra gli stessi Greci, soprattutto nella regione del Pangeo (Figura 13). …I Besi sono ricordati dalle fonti come abili minatori. Rinvenimenti di scorie minerarie effettuati nelle terre dei Triballi, dei Crobizi, degli Skirmiadi sono una prova della contemporanea estrazione del metallo in molte altre zone della Tracia antica. Un villaggio di minatori è stato scoperto sui Rodopi, a Zornica, vicino Cepelare. La presenza di strumenti usati nelle miniere tra i doni offerti nei santuari dei Rodopi è il chiaro riflesso del ruolo che esercita questa attività nella vita di molte tribù trace… (REHO M. et Alii, 1990).

Immagine citata nel testo

Figura 22 – Guerrieri Sciti armati di lancia. L’immagine riprende la decorazione su un vaso proveniente da kul-oba. Da wikipedia

Dall’oro alla metallurgia ed alla gioielleria

La ricchezza di miniere determina il rapido sviluppo della metallurgia e della lavorazione del metallo. Per tutto il I millennio a.C. è attestata una regolare produzione di oggetti in oro, argento, bronzo e ferro: vasi gioielli, ornamenti per la bardatura dei cavalli, armi. (…) Tutti i tipi di gioielli di moda presso i Romani vengono lavorati, soprattutto fra il II e la prima metà del III secolo, in molte grandi città. Ratiaria, Pautalia, Montana, Serdica, Novae, Odessos. Ratiaria (oggi Arcar) si delinea comunque come il centro più importante per la produzione orafa. Nei gioielli rinvenuti (…) si riconoscono elementi comuni ad entrambe le principali correnti artistiche orafe dell’epoca, quella ellenico-romana e quella italo-romana: elementi confluiti sia attraverso gli emigrati delle province del vicino Oriente e della Siria, sia attraverso le legioni romane… (REHO M. et Alii, 1990).
L’opulenza dei giacimenti traci era talmente famosa nell’antichità che il territorio subì frequenti incursioni e tentativi di conquista da parte di differenti popolazioni, non ultimi Milziade e gli Ateniesi che batterono le rotte verso la Tracia egea proprio allo scopo di impossessarsi delle miniere.
Analogamente ricca d’oro era la vicina Macedonia dove il prezioso metallo, recuperato prevalentemente dal fiume Echedoros (oggi chiamato Gallico), veniva impiegato nella produzione di un ricco artigianato oggetto di esportazione e per la gioielleria e l’oggettistica dei dignitari di cui ci rimane traccia nei ricchissimi corredi tombali (sepolcreto di Sindos, alla periferia di Salonicco, VI-V secolo a.C.).

L’oro degli Sciti

Gli Sciti sono ricordati comeartigiani-gioiellieri particolarmente abili. Sono famosi soprattutto per la ricchezza, la sfarzosità e l’altissimo livello artistico dei loro gioielli. Simile capacità artistica caratterizzava anche Cimmeri, Sarmati, Unni, Khazari, Slavi Orientali ed altre  popolazioni insediatesi nelle steppe ucraine a cominciare dall’VIII secolo B.C.
La raffinatezza delle forme e delle lavorazioni fu certamente influenzata dalla presenza e dai rapporti con i Greci delle colonie del Mar Nero. È qui, nei loro pressi, che si erano stabilite le tribù scite dedite all’agricoltura.

Questo popolo toccò i suoi apici artistici intorno al IV secolo B.C. con i corredi reali di armi e gioielli (Figura 14, Figura 15, Figura 16, Figura 17, Figura 18 e Figura 19). In particolare sono le tombe di Kurgans (Figura 20), cumuli artificiali alti 20 e più metri che nascondevano le camere funerarie reali nelle quali sono stati celati armi e gioielli insieme alle spoglie del sovrano (MOSCATI, 1987; STEINER, 1991).
Gli Sciti erano un popolo nomade indoeuropeo dedito soprattutto alla guerra (Figura 21 e Figura 22). Erano stanziati nei territori delle attuali Kazakistan, Russia meridionale e Ucraina. Degli Sciti rimangono importanti e stupefacenti gioielli e decorazioni per cavalli ed abiti in oro (oltre ventimila pezzi), nonché in altri materiali. Di queste magnificenze, oggi, è a rischio la conservazione a causa del conflitto in corso fra Russia ed Ucraina, seppure siano musealizzati.

L’oro spagnolo dei Tartessi

I Tartassi rappresentano una civiltà che si è sviluppata in Spagna fra l’VIII ed il VI secolo B.C. con esempi di persistenza fino alla conquista romana. Anch’essi hanno lasciato importanti espressioni di artigianato orafo.
Si erano stanziati nel sud del paese, in aree soggette all’influsso delle colonie fenice della Costa del Sole. I corredi ed i gioielli sono giunti a noi nei cosiddetti
tesori. Sono concentrazioni di gioielli d’oro e d’argento, nascoste per essere sottratte alla rapacità degli invasori.

I tesori più ricchi e famosi sono quelli di La Aliseda (in Estremadura, Figura 23), di Evora e di El Carambolo (in Andalusia) , nonché di Mairena de Alcor (Figura 24). Quest’ultimo tesoro ha restituito, fra gli altri gioielli, una collana lunga 40 cm del peso di oltre 300 grammi. Era formata da quattro fili che componevano motivi sinusoidali.
Gli esempi più tardi dei gioielli sono stati relazionati alla tradizione tartessica persistita in un’officina specializzata, indigena, che ha saputo assimilare anche influenze ellenistiche e celtiche.

Salonicco, Macedonia Centrale, Grecia

Síndos, Macedonia Centrale, Grecia

Куйган, distretto di Balqaš, regione di Almaty, Kazakistan

Mairena del Alcor, provincia di Siviglia, Spagna

Aliseda, provincia di Cáceres, Spagna

Боривоја Стевановића, Belgrado 11050, Serbia

Repubblica autonoma di Crimea, Ucraina

Rogozen, distretto di Vraca, Bulgaria

Bibliografia

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DI LISI, S., MORINO, A., e MUZIO, C. (s.d.). Rivista Mineralogica Italiana.
ESPOSITO, L. (2022, giugno 06). L’oro degli Sciti. Un patrimonio a rischio. Tratto da preziosamagazine.com.
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STEINER, A. (1991, febbraio). Nel mondo degli animali d’oro. I tesori dei Kurgan nel Caucaso settentrionale in mostra a Roma. Archeo (72).
SUSINI, G. (1989, maggio). Civiltà dei Traci. Archeo (51).
VAGNETTI, L. (1990, 12). La Civiltà Micenea. Archeo-Dossier (70).

Questo articolo fa parte di una serie di scritti presenti sul sito relativi all’oro, alla sua natura e presenza in Italia Settentrionale, con particolare riferimento ai giacimenti ed alle miniere della Valle Anzasca (VCO).

…In Macugnaga Valle Anzasca vi sono delle Bocche … d’oro e li loro Molini … lavorano quotidiana.te col Mercurio…

Altri articoli sono:

  1. Oro, storia di una leggenda
  2. Oro: baratto, simbolo, moneta, bene-rifugio, oggetto d’arte
  3. L’oro dei faraoni
  4. Le arruge di Spagna dalla Naturalis Historiae (prossima pubblicazione)
  5. Nicolis DI ROBILANT: relazione sull’oro alluvionale del “Piemonte” (1786) 
  6. L’oro di Roma (prossima pubblicazione)
  7. L’oro fra Balcani e Magreb (prossima pubblicazione)
  8. L’oro della Bessa e dei Cani (prossima pubblicazione)
  9. Un percorso di archeologia industriale nell’oro della Valle Anzasca
  10. Medioevo e primi minatori in Valle Anzasca
  11. Amalgamazione e distillazione dell’oro in Valle Anzasca
  12. L’oro della Valle Anzasca nel Seicento
  13. Un dissesto ambientale in Valle Anzasca (VCO) nel 1766: paura o gelosia?

ed inoltre:

  1. Oro e mercurio nel Tigullio
  2. La Cava dell’Oro di Monte Parodi (SP): storia mineraria dell’argento ligure
  3. L’oro dei monaci della Val d’Aveto
 

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