Le arruge di Spagna dalla Naturalis Historiae

Copertina

Copertina C. Plinii Secundi ed il frontespizio di una copia seicentesca della sua Naturalis Historiae (da Web)

Premessa

La descrizione forse più dettagliata delle miniere (d’oro) spagnole è quella di PLINIO il VECCHIO, tratta dalla sua Naturalis Historiae. L’interpretazione corrente è che si riferisca in particolare alla miniera de Las Médulas, situata nei pressi della città di Ponferrada nella provincia di León (Spagna). Il territorio che circonda Las Médulas fa parte dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
In letteratura esistono numerose traduzioni ed interpretazioni del testo di PLINIO. Tuttavia è molto interessante quella pubblicata dal MICHELETTI (1976).
Teresio MICHELETI è stato Ingegnere Capo del Distretto Minerario di Torino ed uno dei primi esploratori e studiosi della Miniera della Bessa. Esperienza di studio che ha trasferito in numerose pubblicazioni di settore.

Le arruge dalla Naturalis Historiae

Tertia ratio opera vicerit Gigantum. Cuniculis per magna spatia actis cavantur montes lucernarum ad lumina; eadem mensura vigiliarum est, multisque mensibus non cernitur dies. Arrugias id genus vocant. Siduntque rimae subito et opprimunt operatos ut iam minus temerarium videatur e profundo maris petere margaritas atque purpuras.
Tanto nocentiores fecimus terras! Relinquuntur itaque fornices crebi montibus sustinendis. Occursant in utroque genere silices; hos igne et aceto rumpunt, saepius vero, quoniam id cuniculos vapore et fumo strangulat, caedunt fractariis CL libras ferri habentibus egeruntque umeris noctibus ac diebus per tenebras proximis tradentes; lucem novissimi cernunt. Si longior videtur silex, latus sequitur fossor ambitque. Et tamen in silice faciliorexistimatur opera; est namque terra ex quodam argillae genere glarea mixta <gangadiam vocant> prope inexpugnabilis. Cuneis eam ferreis adgrediuntur et isdem malleis nihilque durius putant, nisi quod inter omnia auri fames du rissima est. Peracto opere cervices fornicum ab ultimo caedunt. Dat signum ruina, eamque solus intellegit in cacumine eius montis vigil. Hic voce, nu tu evocari iubet operas pariterque ipse devolat. Mons fractus cadit ab sese longe fragore qui concipi humana mente non possit, eaque et flatu incredi bili. Spectant victores ruinam naturae. Nec tamen adh£c aurum est nec scie re esse, cum foderent tantaque ad pericula et impendia satis causae fuit sperare quod cuperent

Immagine citata nel testo

Figura 1 – Représentation de la mort de Pline l’Ancien pendant l’éruption du Vésuve en 79, parue dans Le Monde illustré en 1888. Rappresentazione della morte di Plinio il Vecchio durante l’eruzione del Vesuvio del 79. L’interesse scientifico, la curiosità e l’intenzione di aiutare alcuni amici in difficoltà prevalsero sulla sua stessa incolumità. Così partì con le sue galee attraversando la baia fino a Stabiae (oggi Castellammare di Stabia) dove morì, probabilmente soffocato dalle esalazioni vulcaniche, a 56 anni.
L’immagine è comparsa su Le Monde illustré nel 1888 (da Wikipedia)

La traduzione-interpretazione del MICHELETTI

…Il terzo metodo di estrarre l’oro vincerebbe il lavoro dei Titani. Mediante cunicoli spinti a grande profondità si scavano le montagne al chiarore delle lucerne. I turni di lavoro e quelli di riposo si eguagliano e per molti mesi gli operai (schiavi e prigionieri politici) non vedono la luce del giorno. Queste miniere d’oro spagnole sono chiamate “arruge” (più in generale erano chiamate “metalla auraria”). All’improvviso tali gallerie crollano schiacciando gli operai, così che pare meno temerario chi si immerge nel mare profondo a cercare le perle e le conchiglie per fare la porpora. Tanto pericolosa abbiamo fatto la terra! Vengono disposti pertanto spessi archi per sostenere la volta degli scavi. Si trovano in queste miniere e nelle altre prima descritte, banchi di quarzo o più semplicemente pietra dura; i minatori questi li rompono col fuoco e con l’aceto e poiché spesso il fumo ed i vapori rendono i cunicoli soffocanti, spezzano quei massi con martelli di ferro del peso di centocinquanta libbre (circa cinquanta chili) e si passano il materiale cavato gli uni gli altri, gravandoselo sulle spalle (Figura 3 e Figura 4), ininterrottamente giorno e notte, formando una lunga catena dal fronte di scavo all’esterno e solo gli ultimi vedono la luce. Se il banco di pietra dura è troppo lungo lo rompono dai fianchi e lo scavano all’intorno. Non di meno si ritiene sia più facile lavorare nella pietra, poiché c’è una certa qualità di terra, argilla mista con ghiaia “chiamata gangadiam” che è quasi inespugnabile. Attaccano questa terra mediante cunei e ferri e con i medesimi martelli, e ritengono che non esista nulla di più duro tranne una cosa: la sola che di tutte le opere dell’uomo è la più inattaccabile: la fame di oro. Compiuta l’opera cominciano a rompere la sommità delle volte ad iniziare dalle ultime. Il crollo sta per avvenire e ne da segno, lo riconosce solo colui che è addetto alla vigilanza sulla cima del monte.
Costui con la voce e con gesti avverte e fa uscire subito gli operai, fuggendo anch’egli precipitosamente. Il monte spezzato crolla spargendosi lontano con un tale fragore che non potrebbe essere immaginato da mente umana e con incredibile spostamento d’aria. Gli operai come vincitori contemplano la rovina della natura. Tanta fatica e tanta distruzione solo per una speranza perché quando scavano ora che hanno terminato l’opera sanno se tante pene saranno compensate dal ritrovamento d’oro. E forse l'”auri sacra famis” avrà inferto alla natura una lacerazione irrimediabile per non ricavarne nulla…

Una tecnica esportata?

La medesima tecnica di abbattimento, cioè mediante riscaldamento della roccia e suo repentino raffreddamento con getti di acqua o aceto, è perdurata nel tempo. Anzi, pare che sia stata applicata anche dall’esercito di Annibale.
Durante l’attraversata delle Alpi (Figura 2), l’esercito si trovò la via sbarrata da una valanga di pietre, ricoperta di neve vecchia e recente. Dopo un inutile tentativo di aggiramento, Annibale riuscì a fare aprire un varco, successivamente allargato fino a permettere il passaggio degli elefanti. e E per farlo venne usato dell’aceto come esplosivo (NARDUCCI, 1990).

Crissolo, Crissolo, Crissolo, provincia di Cuneo 12030, Italia

Il Colle delle Traversette (in francese Col de la Traversette) è un valico alpino delle Alpi Cozie a 2.950 m di quota che unisce la Valle Po in Italia con la Valle del Guil in Francia. Secondo la classificazione orografica SOIUSA il colle separa il gruppo alpino Granero-Frioland dal gruppo del Monviso propriamente detto.

Castellammare di Stabia, città metropolitana di Napoli, Italia

Las Médulas, Las Médulas, Carucedo, provincia di León 24442, Spagna

Las Médulas, situata nei pressi della città di Ponferrada nella provincia di León (Spagna), fu la più importante miniera d'oro dell'impero romano. Il territorio che circonda Las Médulas fa parte dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.

 

Ponferrada, provincia di León, Spagna

 

Bibliografia

MICHELETTI, T. (1976, ottobre). La più grande miniera d’oro dell’antichità preromana. Riv. L’Industria Mineraria, a.XXVII, ottobre. Roma, 1976., XXVII.
NARDUCCI, E. (1990, Aprile). Annibale la parabola di un condottiero. Riv. Storia e Dossier, 39.

Questo articolo fa parte di una serie di scritti presenti sul sito relativi all’oro, alla sua natura e presenza in Italia Settentrionale, con particolare riferimento ai giacimenti ed alle miniere della Valle Anzasca (VCO).

…In Macugnaga Valle Anzasca vi sono delle Bocche … d’oro e li loro Molini … lavorano quotidiana.te col Mercurio…

Altri articoli sono:

  1. Oro, storia di una leggenda
  2. Oro: baratto, simbolo, moneta, bene-rifugio, oggetto d’arte
  3. L’oro dei faraoni
  4. Le arruge di Spagna dalla Naturalis Historiae
  5. Nicolis DI ROBILANT: relazione sull’oro alluvionale del “Piemonte” (1786) 
  6. L’oro di Roma (prossima pubblicazione)
  7. L’oro fra Balcani e Magreb (prossima pubblicazione)
  8. L’oro della Bessa e dei Cani (prossima pubblicazione)
  9. Un percorso di archeologia industriale nell’oro della Valle Anzasca
  10. Medioevo e primi minatori in Valle Anzasca
  11. Amalgamazione e distillazione dell’oro in Valle Anzasca
  12. L’oro della Valle Anzasca nel Seicento
  13. Un dissesto ambientale in Valle Anzasca (VCO) nel 1766: paura o gelosia?

ed inoltre:

  1. Oro e mercurio nel Tigullio
  2. La Cava dell’Oro di Monte Parodi (SP): storia mineraria dell’argento ligure
  3. L’oro dei monaci della Val d’Aveto
 

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