L’oro dei monaci della Val d’Aveto

Copertina

Copertina – Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma – I Tre fondatori dell’ordine olivetano (Patrizio Patrizi, Bernardo Tolomei e Ambrogio Piccolomini), 1505 ca, Chiostro dell’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore (Asciano).

La leggenda dell’oro dei monaci della Val d’Aveto

Questa storia che viene da lontano prende spunto da una notizia accennata da VALLEBELLA (2022) sul Secolo XIX del 25 maggio 2022.
È il ricordo di un’antica leggenda che racconta del ritrovamento di oro da parte dei monaci provenienti da Pavia e stabilitisi in Val d’Aveto sul pianoro della piccola conca di Villa Cella (Figura 1).
La Val d’Aveto vanta diverse emergenze/eccellenze storiche, spesso poco note. Fra queste il piccolo e antico abitato di Villa Cella (Figura 2). Qui, una delle sue particolarità sembra attinente alla leggenda dell’oro dei monaci.
A Villa Cella i ruderi di un insediamento medievale (Figura 3) dipendente dal monastero benedettino di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia, anziché da quello di San Colombano di Bobbio, sono una presenza forte e suggestiva (AA.VV., 2004, p. 9).

Corrado MALASPINA

Il dominio incontrastato dei MALASPINA sulla Val d’Aveto inizia nel 1164. In particolare il 28 settembre, quando Federico I di HOHENSSTAUFEN investe il marchese Obizzo di molti possedimenti. Fra questi c’è anche un territorio in Val d’Aveto, curiosamente coincidente con quello degli attuali Comuni di Santo Stefano e Rezzoaglio (BRIZZOLATARA, 1999, p. 25). Poco meno di un secolo dopo, però, avviene un ridimensionato strategico, all’interno del progetto di  espansione.
Il 26 gennaio 1251, il notaio Cipolla di Piacenza, registra l’atto di permuta con cui il marchese Corrado investe il signor Geraldo de MILETO, e i suoi discendenti, degli abitati di Rezzoaglio, Ertola, Noce, Alpepiana, Vicomezzano, Vicosoprano e Cannio, tutti appartenenti al feudo MALASPINA di Santo Stefano. In cambio riceve Orezzoli, Fabbrica e Cariseto. La stipula riconosce a Geraldo anche il diritto di pedaggio sulle tre principali strade esistenti in vallata: quella di Villa Cella, quella del centro e quella del Cifalco (BRIZZOLATARA, 1999, p. 39). Il pedaggio veniva calcolato in base alla provenienza dei viandanti e commercianti (lunghezza del percorso) ed alla quantità di merce trasportata.
Probabilmente la ragione principale dello scambio va ricercata nella necessità di riordino dei possedimenti malaspiniani dopo la suddivisione nei due rami della famiglia. Tuttavia il MALASPINA non poteva immaginare che da quell’atto sarebbe nata una dinastia che, seppur sempre in posizione vassallica rispetto ai feudatari di turno, avrebbe dominato per più di tre secoli i territori e i paesi che compongono l’attuale comune di Rezzoaglio. Quindi Geraldo fu il capostipite di quella casata che tanta parte ebbe nella storia della bassa Val d’Aveto. E certamente a lui si deve ricollegare la costruzione di un piccolo castello sulla rocca di Mileto (marèìo nel dialetto locale), del quale pare esistessero tracce visibili sino agli inizi del XX secolo (BRIZZOLATARA, 1999, p. 39). Questa fu, probabilmente, la prima dimora della famiglia (MOLINELLI, 1998).

De Mileto, Cella e Della Cella

Il (MOLINELLI, 1998), che trova riscontro nel FERRETTO (1983), ipotizza che …i Della Cella, per la loro origine, fanno capo al castello di Cellasco, nella riviera ligure orientale, donde in un primo tempo furono anche detti i De Cellasco. Di là si trasferirono qui, e più precisamente alla frazione Mileto, nel 1200, per cui ebbero nome di De Mileto e più tardi, avuto anche il possesso di Villa Cella, si chiamarono i Della Cella. Posso aggiungere che l’etimologia di Villa Cella è riconducibile alla documentata presenza di “celle” monastiche benedettine
Nel 1330, l’intero patrimonio della famiglia Cella fu suddiviso (Archivio Notarile di Chiavari). Alla morte di Antonio CELLA i tre figli si spartirono il patrimonio. Uno di essi, Franceschetto, si stabilì a Villa Cella dove la famiglia rimase fino al 1730 quando la discendenza si estinse (MOLINELLI, 1998) per mancanza di eredi.
In ogni caso, ancora oggi gli abitanti di Villa Cella portano tutti il cognome CELLA.  E gli originari ceppi familiari si distinguono in base ai soprannomi. Attualmente i residenti stabili sono solo due, contro i dieci fuochi (circa 40-50 persone) registrati nel XVI secolo. A compendio dei residenti sono le presenze saltuarie dei nuclei comunque originari.

Il lago di Cabanne e il Passo dei Morti

La porzione di territorio della Val d’Aveto acquisita dal marchese Corrado MALASPINA  con l’atto del 1251, comprendeva le vie di transito principali attraverso il Passo del Tomarlo ed il monte Penna. È evidente che lo scopo di questa acquisizione fu il controllo della viabilità fra le valli del Nure e del Taro, nonché i relativi pedaggi (AA.VV., 2004, p. 54).
Anche fra i territori ceduti ai MILETO c’era un percorso che collegava la Valle Sturla con la Pianura Padana attraverso la Val d’Aveto. Si tratta del Passo di Bisinella, noto anche come Passo del Monte. Oltre a questo, però, secondo la tradizione esisteva il Passo dei morti posto in corrispondenza dell’area dove oggi è sistemata la piazzola di atterraggio degli elicotteri a Farfanosa. Il nome del valico derivava dal fatto che anche gli abitanti del fondovalle erano sepolti nel cimitero di Villa Cella. Quindi attraversata l’ampia palude con le barche, in quel punto avveniva lo sbarco delle salme che poi proseguivano a braccia fino al cimitero di Villa Cella (FERRETTI, 2012, p. 51).
Questo almeno fino a quando esisteva il Lago di Cabanne (u lago da farfa in dialetto) un’ampia area paludosa creatasi a seguito di una frana che aveva ostruito l’alveo del torrente Aveto.
Le salme erano tumulate in adiacenza al prospetto settentrionale della chiesa, poiché il campo prospiciente il prospetto meridionale era riservato alla sepoltura dei religiosi.
La conferma è emersa da due situazioni evidenziatesi nel tempo. Il gran numero di ossa rinvenute quando, a metà Novecento, fu realizzato il muro ed il retrostante piazzale prospiciente la chiesa (Figura 2). E poi dal rinvenimento della sepoltura di un monaco all’atto dei lavori sui resti del convento per sostituire la ruota orizzontale dell’originario mulino con quella attuale in ferro. In quest’ultimo caso, si racconta, che il cadavere fosse ancora integro, vestito del saio, con il breviario in mano ed una grossa croce sul petto. A conferma di ciò la croce è ancora oggi conservata nella chiesa di Rezoaglio.
C’era poi un altro percorso utilizzato da viandanti e commercianti che passava più ad oriente, per Villa Cella e permetteva alle carovane di evitare i pericolosi guadi di Cabanne (FERRETTI, 2012, p. 43).

Immagine citata nel testo

Figura 35 – I giacimenti cupriferi dell’Italia Settentrionale (da PIANA AGOSTINETTI, P., BERGONZI, G., CATTIN, M., DELSOLDATO, M., GAMBARI, F., e TIZZONI, M.,1994).

San Michele di Pietra Martina

Secondo la cultura materiale, una frana ostruì in antico la valle del torrente Aveto, probabilmente in un punto dove la valle si restringe e la strada disegna un lungo rettilineo. Siamo agli albori dell’XI secolo. L’intervento di rimozione della frana, durato qualche anno, sarebbe stato eseguito, intorno al 1103, dai monaci benedettini della cella di San Michele di Pietra Martina. Sono i monaci provenienti da Pavia che hanno fondato a Villa Cella, in quel tempo, una chiesa ed un monastero. Nel 1103 la chiesa era completamente edificata tant’è che il 30 marzo di quell’anno il priore Alberto con sette confratelli ne firmano l’atto di offerta al monastero pavese (BRIZZOLARA, 1999, p. 220).
A Villa Cella era stato abate anche Gerardo da Cogorno dei conti di Lavagna, noto per aver fatto riedificare, aggiornandone lo stile, il campanile e l’abbazia di Sant’Andrea di Borzone nel 1244 (Figura 4 e Figura 5).
La rimozione della frana produsse anche lo svuotamento del lago. Tutto ciò  …aveva eliminato un giro vizioso, ma allo stesso tempo aveva decretato la crisi della direttrice passante per Villa Cella… (AA.VV., 2004, p. 54 e seg.).
L’insediamento monastico di Villa Cella comprendeva la chiesa dedicata a San Michele (oggi ridedicata a San Lorenzo; AA.VV., 2008; Figura 6 e Figura 7) ed il chiostro chiuso all’interno della corte di edifici riservati al clero e quelli di servizio (Figura 8 e Figura 9).
Oggi rimane solo la chiesa, seppure più volte rimaneggiata. Il monastero si può solo intuire dopo che è stato riconvertito nell’antistante mulino del quale rimangono vistose tracce Otto-Novecentesche (AA.VV., 2008; Figura 10, Figura 11).
Risulta per documenti che Santo Stefano d’Aveto (oggi soggetto al Vescovato di Bobbio) era ancora nel secolo XVI parrocchia tortonese. Cosi pure i luoghi di Alpepiana, Alpicella, Allegrezze e d’altri di Val d’Aveto, già posseduti dal monastero di San Pietro in Ciel d’oro, vengono ascritti in più diplomi di questo al Comitato Tortonese (…) Erano pure soggette al Vescovato di Tortona, giusta la Sinodo del 1614, le tre parrocchie di Parazzolo, Priosa e Cabanne, oggi dipendenti da Bobbio… (BELGRANO, 1870, p. 363)

Sant’Andrea di Borzone

L’Abbazia di Borzone è stata edificata prima del 1184 (Figura 4 e Figura 37), anno nel quale l’arcivescovo di Genova Ugo Della Volta chiama a officiarla i monaci benedettini della Chaise-Dieu direttamente dall’Alvernia (AA.VV., 2004, p. 94). Di questa struttura Bassomedievale rimangono gli stilemi …riproposti con uno spiccato gusto per il cromatismo, creato dall’accostamento della pietra grigia e del mattone rosso (…) La medesima bicromia si ritrova anche all’interno della chiesa, dove il motivo esterno ad arcate cieche ritorna sulle pareti laterali e in controfacciata… (AA.VV., 2004, p. 94; Figura 5).
Di particolare interesse è la torre campanaria …chiaramente e volutamente individuabile per le dimensioni, le scelte tipologiche di costruzione, la raffinatezza dell’esecuzione, l’originalità delle soluzioni… (AA.VV., 2004, p. 95). In particolare il bugnato a cuscini, orditura caratteristica soprattutto di ambito duecentesco civile urbano a realizzazione di maestranze specializzate.
Un’altra particolarità di questa zono sono i portali eulitici, cioè di bella pietra. Si tratta di monoliti anche di dimensioni ragguardevoli, che costituiscono gli architravi di portali (Figura 12, Figura 13 e Figura 14) e finestre (Figura 26Figura 29Figura 30 e Figura 32).  
La loro diffusione è molto più ampia. Si possono vedere, oltre che nelle valli del Tigullio (Figura 15, Figura 16 e Figura 17), un po’ in tutta l’area appenninica compresa fra Piemonte, Liguria (Figura 18, Figura 19, Figura 20, Figura 21, Figura 22 e Figura 23), Emilia e Toscana (Figura 24, Figura 25, Figura 27, Figura 28, Figura 31 e Figura 33). In alcuni rari casi furono reimpiegate a quest’uso anche alcune statue stele intere o parti di esse.

Marina CAVANA ritiene che questi portali …sia dal punto di vista metodologico sia storico sono … una testimonianza viva e imprescindibile della cultura materiale di ambito rurale, che scopre in una struttura architettonica semplice, ma monumentale – per l’utilizzo di blocchi monolitici – un elemento di decoro e aulico. L’uso di questi ingressi affonda probabilmente le sue radici ben oltre l’epoca longobarda, addirittura preromana, per protrarsi praticamente uguale a se stesso fin quasi ai giorni nostri, caricato com’è di forti connotati simbolici e monumentali… (AA.VV., 2004, p. 96).

L’oro dei monaci

L’antichità e la completezza dell’insediamento monastico, la dipendenza dal monastero benedettino di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia e la bonifica che, secondo tradizione, avrebbero finanziato i monaci, hanno ispirato a fantasticare sulla ricchezza del monastero. È documentato che il priore della cella, Alberto, dichiarò la fondazione di Pietra Martina e offrì al monastero di origine, un censo annuo di …venti soldi di buona moneta nuova di Pavia… (BRIZZOLARA, 1999, p.105) oltre a venti libbre d’olio ed altrettante di formaggio (BRIZZOLARA, 1999, p.221). Era il 30 marzo 1103.
Di seguito ecco nascere illazioni sulla possibile presenza in zona di metallo nobile.
I monaci avrebbero quindi trovato un filone d’oro . E grazie a questo ritrovamento ed alla sua coltivazione avrebbero potuto pagare le maestranze impegnate nelle imprese di costruzione e bonifica. Imprese certamente lunghe e dispendiose.
In realtà ed in letteratura (BRACCO e ODICINO, 2006) è ricordata l’esistenza di due brevi gallerie minerarie in zona Villa Cella di Val d’Aveto (Figura 34). La loro dimensione le farebbe ridurre a semplici assaggi in corrispondenza di modestissimi affioramenti di minerale cuprifero (Figura 35) o, come nella memoria in paese, di pirite (l’oro dei poveri). Ricordiamo che l’oro è uno dei metalli più diffusi sulla Terra, seppure in concentrazioni minime e non commercialmente interessanti e che pagliuzze e piccole pepite si possono trovare in quasi tutti i torrenti e fiumi non solo liguri. Ricordiamo, altresì, che  l’Ottocento è stato un secolo di grande fermento minerario, conseguente all’arrivo degli Inglesi ed alla Rivoluzione Industriale. Quindi le ricerche minerarie si diffusero a macchia d’olio, tracciando brevi gallerie un po’ ovunque. Ma la fortuna fu di pochi, pochissimi, e la delusione di molti.
Tuttavia, dal punto di vista mineralogico e collezionistico è stato segnalato il ritrovamento di alcuni campioni di …volborthite (Figura 36), dal valore estetico piuttosto limitato ma importanti per la possibile presenza di altre fasi contenenti…(BRACCO e ODICINO, 2006) il vanadio.

L’oro del Tigullio

Come tutte le storie, anche quella dell’oro nel Tigullio ritorna ciclicamente. Oltre all’articolo di VALLEBELLA ricordato in apertura, altri ritrovamenti occasionali sono balzati alla cronaca, ad esempio, nel 1998. Ma si trattava quasi sempre di raccolte fatte nella regione dell’Orba
Differente è stato il caso della grande pepita descritta da JERVIS nel 1874.
Alcune leggende, tuttavia, rimangono nella memoria locale.
Una di queste, ad esempio, tramanda di un fantomatico tesoro del castello Zerli.
Secondo la tradizione locale, questo tesoro sarebbe stato costituito da venti maialini d’oro sotterrati nel castello. Casualmente, negli anni Ottanta del secolo scorso, fu aperta una cava di pietrisco proprio in fondo valle, sotto il castello. In zona si diffuse la voce che, proprio sulla base del ricordo dei maialini d’oro, la cava fosse stata aperta per cercare di recuperarli (DEL SOLDATO, 1986).

Cariseto, Cerignale, provincia di Piacenza, Italia

Fabbrica, Ottone, provincia di Piacenza, Italia

Orezzoli, Ottone, provincia di Piacenza, Italia

Passo del Tomarlo

Santo Stefano d'Aveto, Santo Stefano d'Aveto, città metropolitana di Genova 16049, Italia

Vicosoprano, Rezzoaglio, città metropolitana di Genova, Italia

Vicomezzano, Rezzoaglio, città metropolitana di Genova, Italia

Alpepiana, Rezzoaglio, città metropolitana di Genova, Italia

"u lago da farla" toponimo che deriva da Farfanosa.
Identifica la palude che si era formata a seguito della frana, accaduta più a monte, e che aveva ostruito il corso dell'Aveto. La frana fu rimoss a partire dal 1103 dai monaci di Villa Cella.

Villacella, Rezzoaglio, città metropolitana di Genova, Italia

Bibliografia

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Le Pietre Parlanti dell’abbazia di Sant’Andrea di Borzone. Genova: Eidon Edizioni
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