Copertina– Immagine tratta dalla locandina del Convegno: Passato che non torna. I paesaggi minerari belgi e italiani tra public history, arte, tradizione e contemporaneità. Bologna 15 ottobre 2022
Presentazione del convegno
Il 15 ottobre 2022 si è svolto, nell’ambito della Festa Internazionale della Storia (Unibo), il Convegno di studi, online ed in presenza, Un passato che non passa. Paesaggi minerari belgi e italiani tra public history, arte, tradizione e contemporaneità.
Alcune considerazioni tratte dalla presentazione dell’evento curata da Sonia SALSI.
L’industria mineraria ha avuto un impatto profondo sui territori, sulle architetture, sui paesaggi, sulle società e sugl’immaginari degli ormai ex-distretti minerari in Europa e non solo. Ovunque, la realtà mineraria ha prodotto una tendenziale dicotomia: il maschile impegnato nel sottosuolo (il lavoro nobile), il femminile intorno alle miniere (emarginato e sottostimato come il lavoro della casa e della famiglia).
E qui un primo, grande non senso. Dalla miniera usciva il tout-venant, il minerale di tenore e valore variabilissimo. Quindi quale valore aggiunto apportavano le cernitrici e le crivellatrici al prodotto finale, commerciale? Ricordiamo poi il trasporto, spesso nemmeno possibile a dorso di mulo…
In ogni caso questo impegno femminile non sostituiva, ma si aggiungeva alla cura della casa, dei figli, dell’orto e degli animali (quando c’erano)…
Oggi gli spazi delle miniere sono diventati luoghi di scambio culturale e di richiamo turistico. In più parti sono nate Istituzioni Museali che fungono da contenitore di un passato ormai ex estrattivo, ma che deve rimanere presente. Questo convegno ha proposto una riflessione sulla trasmissione della memoria mineraria in tutte le forme culturali.
(Liberamente tratto dalla presentazione del Convegno).
Le risorse geologiche in Liguria Orientale
Nell’immaginario collettivo la Liguria è terra di uomini di mare. Ma gli ultimi quarant’anni di ricerche archeologiche hanno dimostrato che fin dal Mesolitico la Liguria è stata …terra di pastori e boscaioli. Il mar Ligure è sempre stato poco pescoso. I primi cittadini costieri erano Etruschi, o locali che commerciavano con loro… (MAGGI, 2021, I Monti sono Vecchi. De Ferrari ed, Genova. p. 9).
Diecimila anni fa, gruppi umani sono arrivati dal mare ed hanno cominciano a vagare in quel mondo inesplorato, imparando a conoscerlo…
Imparare a conoscerlo ha significato osservare e imparare a conoscere l’ambiente… Imparare a conoscerne e riconoscerne le potenzialità… Sperimentare e imparare a conoscerne e riconoscerne le risorse naturali utili, indispensabili alla sopravvivenza… Imparare a utilizzarle e modellarle.
La Liguria Orientale possiede un patrimonio di risorse geologhe eterogeneo, variegato e diffuso su tutto il territorio da Genova alla foce del fiume Magra (Figura 1 di Archeologia mineraria in Liguria Orientale). Un patrimonio diffuso ed utilizzato nel tempo… o in tempi diversi.
Un territorio costruito…
Un patrimonio geologico che si contrappone a quel territorio difficile. Quel territorio nel quale ogni metro quadrato da destinare all’agricolture doveva essere costruito pietra su pietra… (Figura 2 e Figura 3).
Quel territorio costruito anche sulle falesie, fra una frana di roccia e un debris flow, fino al limite delle mareggiate più forti (Figura 4). Costruito su e con pendenze incredibili (Figura 5).
In questo sfruttamento delle risorse naturali, la donna (spesso poco più che bambina) ha avuto un ruolo fondamentale ed assolutamente non secondario come spesso è sminuito nell’immaginario collettivo.
Un ruolo fondamentale sia per l’industria che per la famiglia.
E la risorsa geologica è un patrimonio non rinnovabile. Questo significa e giustifica le ferite (per qualcuno) e le tracce (per altri) rimaste dall’attività estrattiva a ricordo e memoria di lavoro, fatica, sudore di uomini e donne che da quel patrimonio hanno tratto sussistenza.
La generazione attuale dovrebbe esserne solo grata.
Le donne di miniera in Liguria Orientale
La presenza delle cernitrici in Liguria Orientale è certo antica. Non sappiamo se avevano avuto già un ruolo nelle miniere dell’Età del Bronzo di Monte Loreto e Libiola. Certo è che in ambedue le miniere venivano utilizzate macine a sella di arenaria per sminuzzare e polverizzare il minerale cuprifero. La macinazione, a cominciare da quella dei cereali, era da tempo appannaggio femminile (Figura 7).
La preparazione del minerale è stata un’operazione necessaria fin dagli albori dell’attività estrattiva. Nonostante ciò veniva considerata di importanza secondaria e pertanto affidata da subito a donne e bambine. Erano le crivellatrici e, soprattutto, le cernitrici.
Allo stesso modo fu destinato da sempre alle donne un altro lavoro umile e faticoso: il trasporto del minerale da bocca di miniera alle tramogge di carico, ma anche su percorsi più lunghi ed impegnativi (Figura 6). Anche questa attività aveva origine dalla tradizione (Figura 8).
Lo sviluppo dell’industria mineraria in Liguria Orientale è avvenuto sulla spinta della presenza inglese e della Rivoluzione Industriale ottocentesche. L’oggetto furono sia i vecchi e noti giacimenti di rame e ferro che quelli dei nuovi, ricercati, minerali di manganese e della lignite.
E la storia antica è destinata a ripetersi.

Figura 6 – Camalle (addette al trasporto dai laboratori al lido) , portatrici d’ardesia (addette al trasporto dalle cave al lido) e Bauli (uomini per i trasporti eccezionali).
Le cernitrici
L’arricchimento del minerale consisteva nella scelta di quello più ricco mediante la separazione (del minerale manganesifero, cuprifero, lignite, etc.) dallo sterile. Le donne erano ritenute più adatte a questo lavoro, perché precise e meticolose. Ma in realtà erano più adatte solo perché il lavoro in galleria era considerato più nobile di quello all’esterno e quindi riservato agli uomini. Inoltre, le donne impiegate in sotterraneo sarebbero state elementi di disturbo o di distrazione per i minatori.
Il lavoro delle cernitrici poteva essere concettualmente semplice, ma non era affatto facile nelle condizioni ambientali in cui le donne si trovavano ad operare.
Lavoravano all’esterno (Figura 9 e Figura 10) o sotto tettoie precarie (Figura 11, Figura 12, Figura 13 e Figura 14).
Le donne erano continuamente espose al rischio di malattie e disabilità. Il contatto con le pietre mineralizzate e soprattutto col diaspro affilato era causa di frequenti tagli ed infezioni alle mani. La situazione veniva aggravata dalla continua immersione nell’acqua fredda per il lavaggio del minerale. E questo accadeva anche nella laveria del Foppo, l’unica del complesso minerario della Val Graveglia.
Giornalmente dovevano riempire un certo numero di ceste (le corbe e le curbinne in dialetto) di solo minerale, separandolo completamente dalla roccia sterile. In Val Graveglia, negli anni Trenta-Quaranta del secolo scorso, ogni operaia doveva riempire una cinquantina di ceste al giorno che potevano contenere da 25 a 30 Kg di minerale (complessivamente circa 15 quintali).
Donne di cava: le portatrici d’ardesia e le camalle
L’inizio documentato del commercio di prodotti di ardesia è storicamente documentato dal 1176. Coeva all’attività estrattiva dell’ardesia è la presenza di donne impiegate nel trasporto di abbadini e di lastre lavorate in cava.
Il trasporto avveniva dalle cave, sul monte, fino ai rari laboratori a valle o, soprattutto, all’imbarco sul lido di Lavagna (Figura 15, Figura 16 e Figura 17). Era un percorso di circa 5 chilometri.
Le donne addette al trasporto erano le portatrici quando operavano dalla cava alla spiaggia o ai laboratori di Lavagna e camalle se facevano solo il trasposto dai laboratori al mare. Un compito oneroso, difficoltoso e, tutto sommato, di grande responsabilità per il valore e la quantità del materiale estratto, lavorato e commerciato. Un compito assunto dalle donne per la loro tradizionale abitudine a svolgere i trasporti (Figura 8).
…Si vedon tutti i giorni, eccettuati i dì festivi per la strada, che da Lavagna conduce a Cogorno ed a S. Giulia, delle lunghe file di donne giovani, e vecchie (Figura 15), le quali col solo aiuto di un rozzo pannolino, che si pongono sul capo portano dei pesi enormi e qualche volta sono obbligate di marciare due, tre, e quattro unite insieme in fila, e non già di fronte, attesa l’angustia della via, per reggere un masso straordinariamente pesante. Si avverta ancora, come tutte queste donne laboriosissime, e malgrado l’aspro travaglio miserabili, e pezzenti sono nell’istesso tempo provvedute di conocchia, e di fuso per filare il lino ogni volta che non deggiono impiegare le loro mani… Così scriveva il MONGIARDINI nel 1809.
Il lavoro delle portatrici
Le donne eseguivano due viaggi al giorno. Con quello della mattina portavano il pranzo (una focaccetta ed un po’ di verdure cotte) ai mariti ed ai figli in cava. La salita del pomeriggio era sfruttata, invece, per filare. Naturalmente, nel tempo rimanente si dedicavano all’orto, alle faccende domestiche ed alla cura dei figli.
Il compenso del trasporto era calcolato in base al numero ed alla dimensione delle lastre e quindi i carichi erano generalmente molto elevati. Mediamente per ogni viaggio una donna portava fra 55 e 63 kg. Le fanciulle venivano abituate cominciando con un abbadino per volta e via via aumentandone il numero. I carichi maggiori erano trasportati da gruppi di 4 o 6 donne, in fila per due, che camminavano a passi sincronizzati endosi sottobraccio.
La paga giornaliera era di 30 centesimi nel 1840. I compensi erano saldati alle feste principali e gli acquisti quotidiani presso le botteghe del borgo erano a credito registrandoli su pezzi di ardesia o lavagnette.
Il lavoro era estremamente usurante. Le donne erano soggette a incidenti e amputazioni ai piedi o al naso.
Le portatrici non si fermavano neppure in stato di avanzata gravidanza, come attestano le nascite avvenute lungo i sentieri, documentate negli archivi parrocchiali.
Inoltre, col tempo, i carichi erano causa di menomazioni irreversibili. È ancora vivo il ricordo delle esequie dell’ultima portatrice. Era molto anziana ed aveva la colonna vertebrale talmente deformata che era stata deposta a fatica nella cassa.
Carbonia, provincia del Sud Sardegna, Italia
Lovea, Arta Terme, provincia di Udine, Italia
Santa Giulia, Lavagna, città metropolitana di Genova 16033, Italia
Lavagna, città metropolitana di Genova, Italia
Bargone, Casarza Ligure, città metropolitana di Genova, Italia
https://www.archeominosapiens.it/galleria-foto/minefoto/foto-foppo/
https://www.archeominosapiens.it/miniera-porcile/
Foto storiche inedite della miniera di Monte Porcile
https://www.archeominosapiens.it/oro-mercurio-tigullio/
https://www.archeominosapiens.it/albori-archeometallurgia-liguria-orientale/
https://www.archeominosapiens.it/vetriolo-libiola/
Note di aggiornamento
2023.01.25
A proposito delle pose che servivano per brevi riposi lungo i sentieri delle portatrici d’ardesia (anche andale in dialetto di Lavagna)…
Nella foto di Barbara PEGORARO compare uno dei pochi parcheggi per gerle ancora esistenti in Carnia, a Lovea di Arta Terme (in Friuli).
Il nome vero è poises, poce, posole, a seconda del dialetto e della località.
Sono l’equivalente delle pose presenti sui sentieri delle portatrici d’ardesia. E come le pose del Tigullio servivano da appoggio dei carichi per consentire un breve riposo durante il percorso senza, in quel caso, scendere la gerla dalle spalle (o le ardesie dalla testa, in Tigullio).
Come noto le gerle erano dei contenitori e come tali si prestavano al trasporto dei più svariati generi e prodotti. Di conseguenza anche quelle particolari poises, poce, posole potevano assumere funzione, ma soprattutto, forme differenti a seconda della loro localizzazione. Ad esempio, quella della fotografia si trova di fronte ad una stalla all’ingresso del paese di Melio, in Carnia e serviva come appoggio per riempire la gerla di letame.


In Val Tramontina è chiamata poa eveniva realizzata anche in legno. Altrove, questa, era la cavra o la fiurca del ledam, un treppiede usato da appoggio per caricare letame o terra.
Sono testimonianze della cultura materiale che andrebbero tutelate. Soprattutto sono testimonianza del lavoro femminile. Erano le donne a farsi carico del trasporto del letame. Nel caso specifico da Meglio fino a Ciampeis.

2023.02.01
A proposito di camalle e trasporto a dorso di donna.
Alcune immagini dei modellini lignei detti della Processione di Bersha. È una processione di offerte. Provengono dalla tomba 10 di Djehutynakht, pozzo A (Deir-el-Bersh). Medio Regno, tarda Dinastia XI, 2010-1961 BC (le due foto di sinistra, da Patrizia BURLINI, La Civiltà Egizia).
Qui sotto altri modellini lignei di portatrici di offerte. Dal Museo del Louvre.


2023.02.01
Non solo il trasporto delle lastre di ardesia era affidato alle donne, ma anche quello del minerale. In questo caso è il carbone vegetale di Carbonia-Iglesias nel 1928. Foto Pes – Angelo Bruno Uccheddu)
E questo tipo di trasporto era abituale per le donne, come nella foto del rientro dalla campagna di Marianne Sin-Pfaltzer (1956).


2023.02.01
Immagine senza tempo, questa di una donna che trasporta l’erba sulle spalle… (dal Web)


2024.01.18
Filippo PALIZZI, 1870, Olio su tela – Fanciulla pensierosa presso gli scavi di Pompei. Sullo sfondo alcune donne addette allo smaltimento del materiale sterile di scavo (dal Web).
2024.01.21
Achille GLISENTI – La raccolta del granoturco, olio su tela, data 1881, (202x131cm.) Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia.
Cambia la forma del contenitore e del sostegno su testa e, nel caso specifico, in parte sulle spalle…


2024.11.17
Emma Strada, la prima ingegnera (mineraria).
Emma nacque il 18 novembre del 1884 a Torino, da un ingegnere civile che possedeva uno studio tecnico di progettazioni e impianti industriali e civili.
Il 5 settembre 1908, al Politecnico di Torino, Emma Strada divenne la prima donna a laurearsi in ingegneria in Italia.
Dopo la laurea col massimo dei voti, Emma lavorò al suo primo progetto: una galleria di accesso ad una miniera di Ollomont, in Val d’Aosta.
In seguito si occupò della progettazione e della costruzione dell’Automotofunicolare di Catanzaro e del ramo calabrese dell’acquedotto pugliese.
Dal 1909 al 1915 fu assistente straordinaria del docente e direttore del Gabinetto di Igiene Industriale presso l’Università di Torino. Nel 1925, progettò e diresse le operazioni di scavo di una miniera d’oro nei pressi del Monte Rosa.
Nel 1957, allo scopo di promuovere il lavoro delle donne nel campo della scienza e della tecnologia, fondò nel 1957 l’Associazione Italiana Donne Ingegnere e Architetto (AIDIA), di cui diventò la prima presidente.
Emma Strada morì a Torino il 26 settembre 1970.
N.B. L’Accademia della Crusca aveva già confermato la correttezza grammaticale e il valore giuridico di termini femminili come architetta, chirurga, ingegnera e notaia. Ora, l’Ordine degli Ingegneri ha riconosciuto ufficialmente il titolo “ingegnera” e ha prodotto il primo timbro ufficiale con tale denominazione.9 mag 2023