Foto storiche inedite della miniera di Monte Porcile

copertina

Copertina: due minatori ed il custode delle miniere di Monte Porcile e Monte Zenone (al centro) presso l’imbocco della Galleria 2 bis (di Monte Porcile) il 10 dicembre 1940.

Una galleria di foto inedite

Due amici di ArcheominoSapiens, Graziano LIZZA e Maria Pia ROSSI, hanno concesso di pubblicare una serie di fotografie dell’archivio di famiglia scattate fra il 1940 ed il 1960.
Negli anni Cinquanta-Sessanta l’attività delle miniere di manganese della Val Graveglia, in parte condotte dalla Montecatini, era in crescente sviluppo. E la possibilità di lavoro innescò un processo di immigrazione da molte regioni di tradizione mineraria: Veneto, Venezia Giulia, Sardegna, Toscana e non solo.
Così, fra gli altri, giunsero da Farnocchia, in Comune di Stazzema (Lucca), Pio ROSSI (Figura 1) col figlio Oreste. Dopo qualche tempo, una volta che si erano sistemati, furono raggiunti dalla moglie di Pio, Concetta PARDINI con la figlia Rosina e poi dal figlio minore Leopoldo (Poldino) che nel frattempo aveva adempiuto agli obblighi militari. Nella Figura 2 troviamo quasi tutta la famiglia Rossi, ripresa davanti alla stazione della funivia del Passo del Bocco, all’inizio della strada per  Monte Zenone. In realtà sulla foto la località citata è Pian della Foppa. Tuttavia, questa località, dove si trovava la laveria del minerale, è molto boscosa ed in medio versante orientato verso Statale, verso NW. Nelle immagini (Figura 2 e Figura 3) il manufatto si trova in area scoperta e quasi di crinale o, comunque, molto aperta. Per tali motivi si propenderebbe ad individuare la zona come quella del Passo del Bocco, come rappresentato nell’immagine del 1925 della Rassegna Mineraria e Metallurgica (clicca qui).
Nella Figura 2 troviamo, da sinistra, Leopoldo Rossi (Poldino), Pio Rossi, sua moglie Concetta PARDINI, la loro figlia Rosina, Olga GARIBALDI (moglie di Poldino), Ennio ANTONUCCI (marito di Rosina) ed un’altra persona.
Il lavoro era duro e la vita sicuramente non facile. Ma c’era il lavoro. Era l’epoca della ricostruzione e della ripresa industriale.
Tutti e tre i ragazzi misero su famiglia ed Oreste ebbe una figlia, Maria Pia, che ha conservato le fotografie.
È una sequenza di immagini molto importante dal punto di vista storico. Sono testimonianze vive del lavoro e degli impianti connessi ai cantieri di estrazione. 
Dalle immagini a dai ricordi si possono trarre nuove informazioni sull’impresa mineraria di quell’epoca. Ma sono anche uno spaccato di vita.

Fra il 1950 ed il 1960, il nonno della signora Maria Pia svolgeva la mansione di custode, mentre il babbo della signora era impegnato come minatore (Figura 3) e svolgeva il suo servizio fra le due miniere della Società Anonima Mineraria Italiana di Genova, prima, e della Montecatini, poi.

La tramoggia della Galleria 2bis

I primi anni Quaranta furono il periodo di maggiore espansione per i lavori della Miniera di Monte Porcile (clicca qui), sotto la gestione della M.I.S.A..
La galleria 2bis aveva funzione di carreggio, oltre che di coltivazione di un modesto ammasso di minerale. Alla Galleria 2bis confluivano, infatti, i fornelli provenienti dalle cinque coltivazioni seguite nella superiore Galleria 2ter (clicca qui).
Quindi all’esterno della Galleria 2bis era stata realizzata una tramoggia in legno con almeno cinque silos (Figura 4) nei quali era riversato il minerale preliminarmente scelto e classato per tenore e, forse, pezzatura.
Come testimonia la fotografia era un precario in legno, suddiviso nei cinque silos con portello di scarico alla base. Servivano per riempire i carrelli della funivia di collegamento con la laveria del Foppo. La tramoggia era ricoperta con una struttura a due spioventi molto acclivi per limitare il sovraccarico di neve. L’edificio era del tutto particolare, realizzato in frasche ed erba. Si può  ipotizzare che fosse stata scelta questa tipologia costruttiva, molto semplice ed economica, in funzione della logistica dell’impianto: posto a circa 1200 metri di altitudine e, soprattutto, in corrispondenza di un versante molto esposto ai rigori invernali ed al vento.
Il precario poteva essere facilmente ripristinato alla ripresa dei lavori, passato l’inverno e, comunque, adempiva alla sua funzione di pertinenza mineraria.

Il capanno della cernita

La fotografia di Figura 5 riprende il fronte e l’ingresso del capanno di cernita. Era posto alle spalle ed in continuità con le tramogge. È il cantiere di arrivo dei carrelli carichi di tout-venant estratto nelle coltivazioni delle Gallerie 2, 2bis e 2ter. Contemporaneamente costituiva il principale cantiere di cernita nel quale operavano le donne. Nel caso della miniera di Monte Porcile le cernitrici potevano lavorare prevalentemente al coperto, al riparo del sole estivo, della pioggia e del freddo invernale. Implicita conferma viene dall’immagine di Figura 4 che testimonia la presenza di alcune donne sotto la il capanno annesso alle tramogge. Se ne distingue una in piedi nell’atto di rovesciare un cesto di minerale ed almeno altre tre che si intravedono accucciate. Sono alcune delle tante cernitrici, che operavano nel capanno riservato allo scarico del tout-venant in uscita dalla Galleria 2bis ed alla cernita del minerale da riversare nei silos.
Le immagini degli anni Cinquanta rappresentano, invece, i punti di cernita all’uscita delle gallerie (Figura 6 e Figura 7). Particolarmente significativa è la Figura 8. Qui il cantiere di cernita, testimoniato anche dai numerosi cesti e martelli sparsi, si trova proprio in all’uscita di una galleria. Dal 1952 la gestione era passata alla Montecatini. E non è dato sapere se esisteva ancora il capanno di cernita o se il lavoro delle cernitrici era stato adeguato agli altri cantieri dove le condizioni di lavoro per le donne erano molto diverse. Ad esempio, nella vicina miniera di Monte Zenone la cernita avveniva prevalentemente all’aperto o, al massimo, sotto una tettoia, come testimoniano poche immagini d’epoca (clicca qui).
Una conferma interessante che viene dalle immagini è quella dell’attrezzatura in dotazione alle cernitrici: il cesto per raccogliere lo scelto ed il martello con lungo manico per frantumarlo e sceglierne le porzioni più  ricche in tenore di minerale, in questo caso manganese.
Nell’immagine di Figura 9 si vede ancora il capanno di paglia del cantiere di cernita visto dall’uscita della Galleria 4. È  un’immagine molto particolare e, a suo modo, poetica. Suggerisce una sorta di riguardo anche per il lavoro delle cernitrici che normalmente era svolto in condizioni molto più  dure. Forse la sfocature del tempo e/o la nebbiolina di primaverile (la foto risale all’aprile 1940). E sullo sfondo la sensazione dell’abitato di Statale.

Il custode di Monte Porcile

La Figura 10 è un “ritratto” del custode della Miniera di Monte Porcile (e di Monte Zenone) all’epoca della M.I.S.A.. 
È  il marzo 1940. Non si conosce il nome del custode. In ogni caso era un personaggio che rivestiva un ruolo importante in cantiere, anche a giudicare dal suo aspetto.
La foto è stata scattata di fronte alla sua abitazione in quel Pian della Foppa, che l’amico LIZZA indica presso la Miniera di Bardeneto, dov’erano presenti anche la stazione di arrivo della funivia da Monte Porcile e quella di partenza per Cassagna. Tuttavia, com’è stato argomentato in altra parte, è plausibile che invece l’edificio si trovasse in prossimità del passo del Bocco, dov’erano presenti altre costruzioni ed una vasca per l’acqua. Non si può  escludere, comunque, la coesistenza di una località il Foppo (dov’era la laveria) e di un Pian della Foppa, presso il Bocco. Giustifica quest’ultima logistica per la casa del custode il fatto che l’attività di sorveglianza veniva svolta fra Monte Porcile e Monte Zenone. Lo confermano diverse fotografie coeve, riprese presso le due miniere. In molte compare il medesimo personaggio, riconoscibile dai pantaloni alla zuava, la giacca a doppio petto, la perenne pipa in bocca e la coppola un po’ sulle ventitré.
L’edificio del custode poi, fu delocalizzato. Venne smontato e ricostruito presso la scuola elementare di Statale. Non è dato sapere quali furono le motivazioni, ma è certo che questo avvenne prima del 1950.
La presenza del ragazzo, forse figlio o nipote del custode, è emblematica. Si fa ritrarre con il piccone in mano, segno dell’importanza e delle aspettative (anche di futuro impiego) che rivestiva l’impresa mineraria nel territorio. Il manganese era lavoro e benessere.
E lo confermerà la storia successiva. L’impoverimento, prima, e l’esaurimento, poi, dei giacimenti di manganese decretarono la fine di un periodo di fatica, ma anche di prosperità per la Valle.

Note di aggiornamento

2020.12.26
Il capanno di cernita della miniera di Monte Porcile, documentato dalle immagini (Figura 4, Figura 5 e Figura 9), è molto particolare. Come detto, la struttura principale era in paglia con un’ossatura lignea, mentre l’annessa tramoggia era interamente in legno.

Si hanno esempi sicuramente molto antichi, medievali (Figura 5.1) di tetti in paglia su corpi di fabbrica in argilla, paglia e argilla o legno. Ma si trovano esempi anche molto più recenti diffusi in aree agricole povere e depresse, utilizzati magari stagionalmente (Figura 5.2).

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