Levanto: la valle e la presenza umana

copertina

Copertina – Andamento delle isobate (linee ad eguale profondità) del Bed Rock della pianura tettonica e, poi, erosiva di Levanto.

Levanto: tettonica e neotettonica nell’origine della valle

La tettonica, la sedimentazione e le oscillazioni glacioeustatiche sono i tre fattori all’origine della piattaforma del Mar Ligure-Alto Tirreno. Alle prime due si deve la creazione della valle ed il suo riempimento, mentre le variazioni del livello marino indotte dalle oscillazioni climatiche e dalla formazione/scioglimento delle coltri glaciali si devono le rifiniture, le ultime rimodellazioni.

L’apertura del Bacino Ligure Balearico è stata la conseguenza di azioni tettoniche disgiuntive Oligo-Mioceniche (per il settore alpino, Liguria Occidentale) e Mio-Plioceniche (per il settore appenninico, Liguria Orientale). Si tratta delle medesime azioni che hanno originato le strutture del margine continentale.
Successivamente è iniziato lo sprofondamento del margine e l’individuazione della scarpata. I movimenti tettonici verticali sono stati essenzialmente di subsidenza, cioè di abbassamento, sprofondamento. Ne è risultata una sequenza di rilievi (Horsts) e depressioni (Grabens) compresi tra faglie distensive.
La sedimentazione successiva ha prodotto accumuli che sono poi stati rimodellati dall’azione combinata della neotettonica e delle variazioni glacio-eustatiche, finchè la piattaforma ha raggiunto le attuale dimensione.
Analoga struttura è stata documentata anche per il substrato (Bed Rock) della pianura alluvionale di Levanto (Figura 1a e Figura 1b, da DEL SOLDATO e PINTUS, 1984).

Le variazioni eustatiche a Levanto

L’innalzamento eustatico del livello marino post-Pliocenico ha indotto il riempimento (sovralluvionamento) della valle tettonica (Figura 1a e Figura 1b, da DEL SOLDATO e PINTUS, 1984).
Le variazioni eustatiche successive, conseguenti a periodi glaciali ed interglaciali, si pensa abbiano agito su una piana alluvionale già impostata, seppure notevolmente ridotta. Inoltre nel periodo compreso fra le glaciazioni Wurm II° (circa 45.000 anni fa) e Wurm III° (circa 36.000 anni fa) si è verificata un’ingressione marina abbastanza prolungata, cui è probabilmente legata la presenza del terrazzo marino alla foce del torrente Cantarana (Copertina).
I risentimenti delle differenti azioni tettoniche lasciano traccia anche nell’ambiente emerso. Appare evidente dallo schema tettonico di Figura 2 come abbiano influito sull’assetto morfologico della regione. Risultato è una fitta rete di macrofratture orientate secondo sistemi diversi che hanno condizionato, fra l’altro, I’andamento del reticolo idrologico: ne è esempio lo stesso corso del torrente Ghiararo impostatosi su una delle faglie orientate lungo la direttrice NE-SW. Essa appare variamente dislocata da sistemi successivi. Il sistema è stato identificato sperimentalmente con l’esecuzione di una campagna geofisica di Sondaggi Elettrici Verticali (Figura 1c, da DEL SOLDATO e PINTUS, 1984).
Una certa differenziazione fra le direzioni prevalenti dei sistemi di macro fratturazione è stata riscontrata nell’ambito dei terreni appartenenti ai vari domini di formazione. Infatti, nella regione affiorano terreni originatisi in diverse sub-zone del Bacino Ligure.
La caratteristica saliente nel quadro tettonico della regione è il limite fra il Dominio Sub-ligure (e/o Toscano, secondo alcuni AA.) e quello Ligure Interno.

Le tracce di popolamento 

Le tracce di attività umana preistorica nel territorio di Levanto sono estremamente scarse. Motivo prevalente è stato l’assenza, fino a pochi anni fa, di ricerche sistematiche di superficie ed il controllo su tutte quelle opere, la cui esecuzione può portare alla luce strutture sepolte. Oltre a ciò il territorio di Levanto presenta fattori sfavorevoli all’individuazione dei siti archeologici, come del resto in tutta la Liguria Orientale. Questi sono:
– la fitta copertura vegetale e la diffusione della superficie sistemata artificialmente a fasce  che limitano la possibilità di lettura del suolo;
– la persistenza e la ristrutturazione degli insediamenti nello stesso luogo che tende, con gli interventi successivi, a cancellare od a rendere inaccessibili le tracce degli stanziamenti più antichi;
– l’innesco di frane e fenomeni erosivi conseguenti ad attività umane, che possono aver fatto perdere le tracce degli insediamenti anche sui versanti;
– al contrario, nei fondovalle, i resti antichi possono trovarsi parecchi metri al di sotto del piano di campagna attuale a causa dei forti accumuli alluvionali. In questi casi la probabilità che essi possano venire portati accidentalmente alla luce è molto bassa.
La maggior parte delle presenze preistoriche individuate nella Liguria di levante risultano ubicate sulla sommità di alture, talvolta designate dal toponimo castellaro. Qui le prospezioni sono oggettivamente più facili. È perciò difficile stabilire relazioni fa la distribuzione spaziale degli insediamenti oggi nota e modelli generali di popolamento. I siti di altura studiati tendono a denotare caratteri di specializzazione, in funzione, secondo i casi, di attività di caccia, di pastorizia, di comunicazione, etc. È comunque da ritenersi erroneo un assunto che è stato in passato accreditato, secondo il quale la scarsità di reperti sarebbe indice di un altrettanto scarso popolamento. Elementi quali la dolcezza del clima, la ricchezza di acqua e di vegetazione (e conseguentemente di selvaggina), e la presenza in aree ristrette di ambienti ecologici diversi, sembrano invece essere fattori favorevoli per economie di caccia-raccolta (Paoleolitico-Mesolitico) e per le prime economie a caratteri produttivi (Neolitico-inizio dell’Età del Bronzo).

immagine nel testo

Figura 3 – Ritrovamenti ed emergenze archeologiche nella regione di Levanto (da AA.VV., 1984)

Levanto dal Paleolitico all’Età del Bronzo

Le tracce più antiche di popolamento umano nel levante ligure datano al Paleolitico Medio (100-40 Kanni). È l’epoca dell’Uomo di Neanderthal (ISETTI, 1960; NEBIACOLOMBO e MAGGI, 1980; VICINO, 1983). L’industria litica di quel periodo è tutta in diaspro rosso, roccia tipicamente locale e presente dalla Val Graveglia (Figura 4), all’Alta Val di Vara a Deiva Marina e Levanto.
Probabilmente è di quell’epoca e va riferito a quella produzione il manufatto che Arturo ISSEL raccolse sulle falde del Monte dei Vaggi nel 1917 (Figura 5).
Al Neolitico sarebbe da attribuire, per tipologia, un’ascia in pietra levigata rinvenuta presso S. Bernardino, fra Vernazza e Corniglia (FORMENTINI, 1975). Il Neolitico ...è quello stadio di civiltà in cui l’uomo inventò le tecniche dell’agricoltura e dell’allevamento, e trasformò la propria strategia di sopravvivenza da totalmente parassitaria a parzialmente produttiva… (MAGGI, in AA.VV., 1984). Tuttavia il passaggio a questa nuova attività di produzione del cibo fu graduale e per buona parte del periodo molti gruppi mantennero un elevato grado di dipendenza dalla caccia.
Nella Liguria di Levante gruppi neoliticii fecero la loro comparsa nel V millennio b.c. (MAGGI, 1983 a). Contestualmente cominciò a diventare incisiva la pressione umana sul paesaggio. L’adattamento dell’ambiente alle nuove necessità fu indotto soprattutto mediante incendi e disboscamenti volti ad ottenere nuovi spazi aperti. E questa sarà una pratica che si consoliderà e perdurerà nel tempo. In tale ottica e per queste ultime attività può essere significativamente correlata l’ascia casualmente recuperata alle Cinque Terre.
Elemento fondamentale per la Preistoria del Levantese è, ancora, il Castellaro di Pignone (BELLANI, 1957). È un insediamento di sommità posto lungo un percorso di crinale inserito in una fitta rete di contatti commerciali documentata per le epoche successive: Val di Vara-Pignone – Soviore – Chiesanuova – Montale di Levanto – Moneglia – Genova (BERNABÒ BREA, 1941). In particolare su un collegamento fra la costa e la Val di Vara. Il castellaro di Pignone fu frequentato inizialmente fra l’Età del Bronzo Recente e Finale (MAGGI, 1983 b) e poi con una ripresa di occupazione nella Seconda Età del Ferro, fino al I sec. a.C. (MARINI, 1976).

Levanto nell’Età del Ferro: la tomba a cassetta del Bardellone

L’Età del Ferro è caratterizzata anche nella regione di Levanto dalla presenza, seppure sporadica, di tombe a cassetta. È una tradizione consolidata che perdura anche dopo l’arrivo dei Romani e fino ad epoca imperiale. In questa fase i corredi si arricchiscono di prodotti di importazione, sicuramente favoriti dalla presenza di Luni, ma conservano la sostanziale originalità culturale.
Se ne trova conferma nella tomba di Monte Bardellone (Figura 6) con i suoi materiali locali e di importazione: ornamenti della persona ed armi di influsso celtico.
Altre tombe a cassetta databili ad epoca romana sono quella di Soviore, con ceramica aretina (BANTI, 1937), e quella di Roverano contenente una moneta di Augusto (BANTI, 1937).
La cosiddetta tomba del Bardellone fu rinvenuta casualmente nel settembre 1921 nella località Case Campodonia. Altri scavi nella zona misero in luce numerosi cocci e frammenti di vasi, poi andati dispersi. Fra questi un frammento di lastra fittile. Da tali ritrovamenti si potrebbe dedurre l’esistenza di una piccola necropoli, probabilmente anche con tombe in laterizi. (BRAMBILLA, 1934).
All’interno della cassetta, composta da sei lastre litiche, c’erano:
– alcune olle la cui forma richiama quelle degli ambienti celtizzati della Liguria orientale. In particolare l’urna n .2 di Figura 7 trova preciso confronto con i cinerari di Villa Baroni di Roncolo e Bosco Cernaieto nel Reggiano (AMBROSETTI, 1975), datati tra il II e il I sec. a.C., ed in quelli  di Tombara (BANTI, 1937; MORELLI, 1901) e Marlia Ponticello (MENCACCI ZECCHINI, 1976);
– una coppa a vernice nera (n.5 di Figura 7), di tipologia molto frequente nelle tombe liguri (MASSARI, 1979-80; MAGGIANI, 1979),
– un’urnetta frammentaria a pareti sottili (n. 6 di Figura 9) della quale è abbastanza problematico l’inquadramento tipologico;
– due fibule appartenenti ad un gruppo circoscritto di esemplari locali ad imitazione di tipo La Tène (n. 8 e n. 9 di Figura 9) caratterizzati da un grosso elemento sferico appiattito ai poli sulla sommità dell’arco e da staffa ripiegata e fermata da un nodulo. Le fibule sono in genere comuni ai due sessi;
– una fusaiola (Figura 8 in basso) che non costituisce prova determinante di corredo femminile;
– una punta di lancia e due puntali (Figura 10).
Il primo cinerario conteneva abbondanti resti di tutte le parti dello scheletro di un individuo adulto, mentre nel secondo cinerario erano presenti sia i resti di un bambino che quelli di un altro adulto.
Sembra lecito supporre di trovarsi in presenza di una cremazione contemporanea. Gli elementi del corredo indicano sia una deposizione maschile (una punta di lancia e due puntali, Figura 10) e di una femminile (spirale ferrarecce, n. 10 di Figura 9). Mancavano elementi per stabilire il sesso del bambino.

Infine, molto interessanti i resti animali dispersi nei cinerari. Oltre a frammenti ossei di avis del capra e lepus, sono state rinvenute diverse conchiglie marine di specie commestibile. È uno dei pochi casi in ambito ligure di un ricco banchetto funebre composto da ovini, lepre e molluschi. Molto interessante è la presenza delle conchiglie, che testimonia un’attività di pesca, anche se solo di raccolta.

Levanto: qualche aggiornamento sulle tracce di popolamento

Dalle ricerche narrate in questa storia che viene da lontano sono passati molti anni, quasi quaranta. In questo tempo, però, sono emersi alcuni nuovi ed interessanti elementi.
Il primo è il sito di Monte delle Forche dove, nel 1996, Enrico GIANNICHEDDA ha rinvenuto materiale riferibile all’Età del Bronzo ed ha segnalato la presenza di una miniera. È molto interessante poiché Matteo SCARDOVELLI (pers. com.) vi ha rinvenuto anche due globuletti che potrebbero essere resti di fusione.
Ma questo argomento potrà essere sviluppato in seguito.
Il secondo elemento è molto più originale: si tratta del ritrovamento della statua stele di Levanto.
La scoperta si deve all’attenzione di Matteo SCARDOVELLI e Marta MINGUCCI (Figura 11) che è rimasto attratto da un gradino lungo il sentiero per il monte delle Forche. Attenzionato e rivoltato, il gradino si è rivelato essere un grosso frammento di statua stele (Figura 12). L’autenticità del reperto è stata certificata da Aurora CAGNANA e Manuela SALVITTI della Soprintendenza  Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Genova e la Provincia di La Spezia e da Angelo GHIRETTI Direttore del Museo di Pontremoli. L’importanza di questo ottantaquattresimo ritrovamento, oltre che nella tipologia del frammento, risiede nel fatto che è il più orientale.
Già lo scavo del Castellaro di Uscio aveva indicato come, tra età del Rame e antica età del Bronzo, vi fosse già un’occupazione dei siti arroccati. Era legata ai frequenti transiti che imponeva la nuova economia dei pascoli d’altura. La presenza al monte delle Forche di minerali metallici, probabilmente sfruttati ancora un secolo fa, non può che aumentare l’interesse scientifico sulla zona.
Vale ancora la pena di ricordare che Levanto è stato, storicamente, Lunigiana. La località del Montale, l’antica Ceula (Cebula), era presente nella Carta dell’Anonimo Ravennate del VII secolo.

Bibliografia

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