Le ardesie per le tombe a cassetta della necropoli di Chiavari

copertina del testo

Copertina: una delle centinaia di lastre della necropoli preromana di Chiavari. L’importanza di questa lastra, in particolare, è l’incastro tipo femmina presente su uno dei lati corti, che significa intenzionalità di uso e lavorazione.

Un’ipotesi di ricerca per l’ardesia delle tombe a cassetta

Il problema della provenienza delle lastre utilizzate dai Tiguli per costruire la necropoli di Chiavari (dal VII sec. a.C.), fu affrontato per la prima volta alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso.
Come noto, la necropoli di Chiavari è stata realizzata predisponendo 92 recinti all’interno dei quali sono state ospitate una o più tombe a cassetta (Figura 1clicca qui). A loro volta, le 126 tombe a cassetta ospitavano una o più sepolture, in forma di urne cinerarie (Figura 2).
Il monumento si estendeva fra corso Millo (a monte della chiesa di San Giacomo di Rupinaro) e la collina del Castello di Chiavari.
La ricerca del 1989 fu finalizzata alla diagnosi dei litotipi utilizzati nella necropoli e, di conseguenza, alle possibili aree di loro approvvigionamento.
La natura e la frequenza di impiego dei litotipi impiegati fu necessariamente correlata a due realtà:

  • la presenza dei litotipi lungo le sequenze lito-stratigrafiche locali;
  • l’ambiente all’epoca della frequentazione del sito.
L’approccio di studio sulle lastre delle tombe a cassetta

Il campione di lastre disponibile per il riconoscimento litologico ha riguardato circa 1/3 del totale. Purtroppo le rimanenti lastre erano conservate in un secondo deposito inaccessibile all’epoca delle analisi. Quello esaminato, tuttavia, è assommato ad un campione rappresentativo, anche dal punto di vista statistico.
Nella maggior parte dei casi, il riconoscimento litologico dei manufatti è stato definito per sola via macroscopica. Questo è stato possibile grazie al buono stato di conservazione delle lastre.
Una parte dell’indagine è stata eseguita anche per via petrografica. Le sezioni sottili sono state estratte da un numero limitatissimo di manufatti nonché da una serie di campioni prelevati da particolari affioramenti prossimi al sito archeologico. A questi si sono aggiunte anche sezioni sottili delle più famose e classiche ardesie del Monte San Giacomo, poiché vigeva l’ipotesi che i materiali potessero provenire da quell’area storica.
Il campione analizzato è risultato rappresentativo di gran parte delle litologie presenti lungo le sequenze stratigrafiche della regione con baricentro la necropoli (Figura 3).

La necropoli del VII sec. a.C. di Chiavari

I 92 recinti e le 126 tombe a cassetta della necropoli di Chiavari sono stati predisposti con materiali molto eterogenei. E questo ha riguardato sia la natura litologica che la provenienza e scelta dei vari elementi.
Innanzitutto sono state impiegate lastre più o meno grossolane e di varia dimensione. Ma anche spezzoni di strato (soprattutto di arenaria e calcare marnoso) e grossi ciottoli. Questi ultimi hanno palesato differenti gradi di elaborazione che ne indicherebbero una conseguente provenienza da depositi alluvionali, prevalentemente fluviali, e colluviali.
Un aspetto singolare è che talvolta interi recinti (ad esempio il Recinto XXII) sono stati realizzati con il medesimo litotipo. Questo suggerisce un approvvigionamento specializzato, cioè da unico punto di prelievo/raccolta. Ma anche che fossero noti diversi punti di potenziale raccolta, magari fruiti da gruppi (famiglie?) differenti.

immagine nel testo

Figura 3 – Diagramma della rappresentatività dei litotipi delle formazioni geologiche,  locali nelle lastre della necropoli di Chiavari

L’ardesia ed i lapidei della necropoli

L’ardesia è risultata il litotipo più rappresentato (Figura 3).
Naturalmente è stata impiegata nella sua facies più tipica, scura, sonora ed a scistosità fine e piano-parallela. Ma anche in facies a differente rapporto argilla/carbonati che la rendono più tenera o più compatta, ferma restando la scistosità.
Non dobbiamo immaginare l’impiego di lastre simili ai caratteristici abbadini, ma lastre grossolane e sommariamente riquadrate.
Questo aspetto apparentemente approssimativo delle lastre è il compromesso di due concause:

  1. l’utilizzo di un’ardesia a caratteristiche mediocri, secondo il concetto merceologico e commerciale (anche storico), del tipo quella diffusa anche al di fuori dei preziosi banchi sfruttati industrialmente;
  2. lastre che sono il risultato di una tecnica di lavorazione semplice, poco raffinata, applicata con strumenti specializzati, in riferimento all’epoca.

Questa ipotesi potrebbe apparire contraddittoria con la comprovata capacità minero-metallurgica dei Tiguli. Ricordiamo ad esempio le tecnologie estrattive già sviluppate nelle miniere di Libiola e Monte Loreto e, perché no, nella cava di Valle Lagorara.
Tuttavia, è plausibile che l’impiego limitato a predisporre i recinti con lastre grossolane di ardesia e facies simili, non avesse necessitato della messa a punto di una tecnologia raffinata per la sfaldatura della pietra. Differente potrebbe essere il discorso relativo alle tombe a cassetta.
Le cassette erano di forma prismatica. Due lastre rettangolari allungate costituivano i lati maggiori e due lastre più corte i lati minori, posti all’interno, fra i precedenti. La copertura era generalmente una lastra, spesso più irregolare, di spessore anche molto maggiore.

L’evoluzione tecnologica nella realizzazione delle cassette è limitata ad un paio di ritrovamenti. Le lastre perimetrali di una cassetta sono sagomate con incastri maschi e femmine (Copertina e Figura 4) per migliorarne la rigidità.

Un semplice esperimento

Nella regione circostante al sito della necropoli, ricorrono formazioni geologiche e litologiche differenti per genesi ed età: la Formazione degli Scisti della Val Lavagna (con le sequenze degli Argilloscisti con calcari a palombini, Argilloscisti manganesiferi e Ardesie del Monte Verzi), la Formazione delle Arenarie del Monte Ramaceto e la Formazione dei Calcari Marnosi di Monte Antola.
Gli affioramenti di litotipi analoghi a quelli rappresentati nel campione di lastre analizzate, sono diffusi, nonostante le differenti assegnazioni formazionali e cronostratigrafiche.
La ricerca successiva alle analisi petrologiche eseguite, è stata finalizzata all’individuazione di affioramenti di strati e banchi preferenzialmente di marne calcaree o calcari molto marnosi, suscettibili di semplice e grossolana sfaldatura ed in giacitura favorevole (Figura 5, Figura 6 e Figura 7).
Dagli affioramenti sono stati prelevati alcuni campioni, o meglio lastre grossolane,  per distacco di scaglie più o meno regolari. E questo sfruttando la giacitura favorevole dei banchi (debole inclinazione ed aggettanti) ed i piani di scistosità messi in evidenza dall’erosione. Unico strumento impiegato è stata una scalpella di ferro inserita nelle discontinuità beanti ed impiegata come semplice leva (Figura 8). Del resto lastre grossolane si trovano anche occasionalmente già disponibili lungo i sentieri (Figura 9) ed alla base di alcuni affioramenti.
Gli affioramenti di Figura 5, Figura 6 e Figura 7 sono esempi molto prossimi alla necropoli. Ambedue rappresentano un sequenza della base stratigrafica della Formazione dei Calcari Marnosi del Monte Antola.

Ardesie e altre litologie dei recinti e delle tombe a cassetta

Le litologie più rappresentate nel campione di lastre esaminato (Figura 3) sono le ardesie, le arenarie ed i calcari marnosi.

Le ardesie. Sono stati impiegati spezzoni di strato compresi fra piani di frattura o scistosità, in genere ancora a spigoli vivi, oppure frammenti di soletti (cioè di stati inferiori a 10 cm di spessore). In ambedue i casi le superfici di frattura sono fresche e questo lascerebbe pensare ad un prelievo da affioramento. Sono presenti anche frammenti di grossi ciottoli, quindi da prelievo in ambiente alluvionale.

Le arenarie. Sono generalmente arenarie fini, quarzo-micacee, molto compatte, consistenti ed analoghe a quelle diffusamente presenti; anche in formazioni diverse.

I calcari marnosi. Sono in genere spezzoni di strato grossolanamente scistosi, analoghi a quelli degli affioramenti descritti. Sono duri, tenaci, sonori oppure con evidenti variazioni composizionali, da più marnosi a fortemente calcarei. Presentano comunque una grossolana scistosità. Rappresentano la facies più marnosa, caratteristica della base della formazione.
Nel monumento sono stati impiegati anche dei ciottoli di calcare marnoso.
Alla medesima formazione appartengono le lastre in marne siltose (leggermente più grossolane) ed in scisti marnosi di color nocciola o arrossati, talvolta con bandature grige, teneri e con tracce di fucoidi (almeno in un caso).

Occasionalmente sono state riconosciute le lastre prodotte in argilloscisti, Argilloscisti Manganesiferi e calcare micritico provenienti dalla sequenza degli Argilloscisti con calcare palombino.

Qualche considerazione conclusiva sulle “ardesie” della necropoli di Chiavari

Lo studio eseguito sul campione di lastre provenienti dai recinti e dalle tombe a cassetta della necropoli di Chiavari propone alcune ipotesi circa le scelte operate nel VII e VI secolo a.C. per realizzare il monumento.
La prima considerazione da fare è un’ulteriore conferma di come i Tiguli conoscessero profondamente l’ambiente. Avevano una conoscenza delle sue potenzialità e caratteristiche che potremmo definire a tuttotondo. E questo emerge anche dalle scelte operative che si possono riconoscere dalle analisi eseguite sulle lastre della necropoli.
Si percepisce subito un approvvigionamento specializzato dei materiali scelti. Addirittura in alcuni casi l’approvvigionamento da un unico punto di prelievo/raccolta, ad esempio per realizzare un recinto. E questo porta a considerare che potevano essere noti diversi punti di possibile raccolta, magari fruiti da gruppi (famiglie?) differenti.
E poi l’applicazione di una tecnica di estrazione e lavorazione semplice, poco raffinata seppure applicata con strumenti specializzati, in riferimento all’epoca. Ma questa ipotesi non è assolutamente in contrasto con la comprovata capacità minero-metallurgica dei Tiguli o con le tecnologie estrattive già sviluppate nelle miniere di Libiola e Monte Loreto e nella cava di Valle Lagorara. È solo lo specchio delle necessità riferite alla realizzazione del monumento
.
Infine, si può leggere anche un inizio di
evoluzione tecnologica per la realizzazione delle cassette nei rari esempi di lastre sagomate con incastri maschi e femmine (Copertina e Figura 4). È un esempio fondamentale e che può evocare, ad esempio, i più specializzati incastri delle lastre in filladi della più tarda necropoli ligure di Cafaggio (SP). 

Borgo Valbelluna, provincia di Belluno, Italia

Chiavari, città metropolitana di Genova, Italia

Borgolungo e l’ambiente: la fondazione di Chiavari ed il primo Medioevo

 

Chiavari, città metropolitana di Genova, Italia

Le saline antiche di Chiavari

 

Gli antichi fronti delle cave di calcare, inglobati e modificati dalle moderne edificazioni

Localizzazione della necropoli di VIII-VII secolo a.C. di Chiavari

Note di aggiornamento

2022.09.24 – Rileggendo il CASALIS (1837, p. 638) si trova un riferimento preciso alla presenza di cave del rione delle Saline.
Caleareo argilloso, bigio nericcio, che tende al violaceo, imperfettamente scistoso e seminato di squamette di mica argentina. Si rinviene a strati, dei quali varia la grossezza da metri 0,02 a metri 1,20, componenti, per un certo tratto, la parte inferiore della pendice meridionale, del monte che sorge a ponente di Chiavari, regione Preli. La direzione loro è di gradi 40 a greco, coll’inclinazione di gradi 25 a scirocco. Essa è coltivata come pietra da fabbrica pei pavimenti, gradini ecc., e sembra infine appartenere alla formazione dello scisto fillare ossia ardesia di Lavagna e di Cogorno

Immagine citata nel testo
Figura 10 - Fronte di antica cava (sn) e affioramento di Calcari Marnosi di M. Antola (dx) nel rione Saline
Immagine citata nel testo
La necropoli dell'Età del Ferro di Mel (Belluno)

2023.12.01 – Nella sede del Palazzo delle Contesse di Mel, Fiorenza BORTOLAMI ha tenuto la conferenza Tra boschi e valli in fiore. La valle del Piave nell’età del ferro.
La onferenza ha ripercorso le caratteristiche distintive della valle del Piave durante l’età del ferro, focalizzandosi sul popolamento, le pratiche funerarie e le manifestazioni cultuali. Verranno esaminati i principali ritrovamenti archeologici, con particolare attenzione alla necropoli di Mel (figura a lato) L’iniziativa era inserita nel progetto Archeologia a Borgo Valbelluna, un ciclo di appuntamenti promosso dal Museo Civico Archeologico di Mel e dall’Amministrazione comunale di Borgo Valbelluna volte alla conoscenza, divulgazione e promozione del ricco patrimonio archeologico Bellunese.

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