Le tombe a cassetta in filladi della necropoli di Cafaggio (SP)

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Copertina: la tomba a cassetta 7 del recinto “B” della Necropoli di Cafaggio (Ameglia, La Spezia).

La necropoli di Cafaggio: generalità

La necropoli di Cafaggio è stata in uso fra la fine del IV secolo a.C. e l’Età Augustea. Il monumento si trova al fondo di un antico terrazzo morfologico, posto circa 8 m s.l.m., in sponda destra del Fiume Magra. E già durante la fase finale della sua attività è stato parzialmente ricoperto da apporti colluviali (forse una piccola colata tipo mud flow) e di frana.
A breve distanza, verso ovest/sud-ovest, il sito è dominato dalle propaggini orientali del Caprione e dal rilievo della Costa di Mezzo su cui sorge l’abitato storico di Ameglia.
Il monumento archeologico è oggi visibile solamente per la parte salvatasi dalla distruzione indotta da uno scavo abusivo nel 1976. Questa ne rappresenta, tuttavia, il nucleo più antico.
L’accadimento del 1976 non è stato l’unico evento distruttivo subìto dal monumento. La fruizione della necropoli, infatti, cessò improvvisamente a causa di una frana proveniente dalla Costa Celle, il versante prospiciente verso nord, che ricoprì il cimitero.
La scoperta di numerose tombe a cassetta in località circonvicine è precedente alle distruzioni degli anni Settanta del secolo scorso. Siamo alla fine dell’Ottocento ed alle scoperte seguì un primo periodo di indagini perdurato fino ai primi Novecento.
A seguito dei fatti del 1976, la necropoli è stata oggetto di moderne ed approfondite indagini e studi interdisciplinari a supporto delle campagne di scavo archeologico eseguite dalla Soprintendenza.  

L’organizzazione della necropoli di Cafaggio

Il sepolcreto, o meglio quanto ne rimane visibile (Figura 1), è stato organizzato secondo un paio di allineamenti di recinti contenenti una o più tombe a cassetta. Gli allineamenti sono orientati est-ovest e sono racchiusi, verso valle, da un lungo muro a secco che delimita l’area cimiteriale (Figura 2). Anche questa struttura non appare integra. Forse è stata interrotta già in antico per lasciare posto alle ultime sepolture, oppure è stata semplicemente addossata ai preesistenti recinti. Tuttavia la posizione del muro (coevo o successivo che fosse alla frequentazione della necropoli) evoca uno scopo difensivo. E per la sua posizione, fu probabilmente posto a difesa dalle divagazioni e/o delle esondazioni del canale (oggi tombinato) che gli scorreva di fronte.

L’esame della planimetria evidenzia un’organizzazione programmata dell’area cimiteriale, confermata dalla maggior assegnazione di spazio a quei recinti che ebbero o si prevedeva che dovessero avere uno sviluppo più complesso. Nell’allineamento settentrionale, alla struttura principale sono addossate altre sepolture, dando luogo ad aggregati più complessi per i quali si segue solo in parte lo sviluppo diacronico… (MAGGI, MARTINI, SARTI 1996, pp. 122-130; Figura 3).

Le strutture della necropoli di Cafaggio

L’allineamento prossimo al muro è costituito da recinti a pianta quadrangolare, realizzati in muratura a secco ed in corsi regolari di scaglie litiche. Entro i recinti era alloggiata una cassetta in lastre lapidee di differente dimensione (Figura 4). Al suo interno erano contenuti uno o più corredi. La cassetta era poi ricoperta da un cumulo di scampoli lapidei o ciottoli.
Nell’allineamento settentrionale (Figura 1) si trovano, accanto a quelli quadrangolari, alcuni recinti di forma irregolare, apparentemente circolare. Questi monumenti più ampi erano predisposti ad accogliere sepolture diverse e numerose, forse in base a vincoli familiari e/o sociali (TESO, 2010).
Questi recinti appaiono comunque più irregolari (Figura 5) rispetto a quelli dell’allineamento meridionale. Sono realizzati prevalentemente con scampoli e spezzoni lapidei e grossi ciottoli.
Occasionalmente si diversificava anche il contenitore. La tradizionale cassetta poteva essere sostituita da una simile in lastre fittili, oppure da anfore (greco-italiche e massaliote) e piccoli dolia appoggiati su una lastra litica e protetti da argilla e sassi (ARMANINI, 2015, p. 284). Queste sepolture erano però poste esternamente ai recinti, come alcune rare cassette (Figura 5). Nelle tombe femminili erano presenti le fusaiole litiche o fittili, deposte dopo la cremazione, mentre gli oggetti ornamentali sono stati danneggiati dal rogo.

Punta Corvo e Piana del Corvo

Nell’attuale geografia (C.T.R Liguria) il toponimo Corvo identifica l’omonima Punta posta lungo la falesia al di sotto di Montemarcello, poco prima della Punta Bianca, presso il culmine del Promontorio Orientale della Spezia.
Risalendo nel tempo, troviamo che la località Corvo (o un’altra località Corvo) si sarebbe localizzata anche differentemente. Per la precisione proprio vicino al borgo di Ameglia. Il PAVONI (1999, p. 16) ricorda alcune testimonianze rilasciate durante la controversia trecentesca fra la famiglia Doria ed il Comune di Genova per il possesso di Ameglia. In particolare, durante un interrogatorio tenutosi il 12 luglio 1346 furono rilasciate alcune dichiarazioni che l’Autore sintetizza come di seguito.

1) in una piana del Corvo era esistito il borgo di «Petrectum», abbandonato dai suoi abitanti al tempo di Enrico, vescovo di Luni (1273-1296/97);
2) gli abitanti di «Petrectum», per maggior sicurezza, sempre al tempo del vescovo Enrico, si erano trasferiti su un poggio distante il lancio di una balestra e vi avevano costruito il borgo di Ameglia, nome derivato da «ser Melius», che aveva convinto gli abitanti di «Petrectum
» a trasferirsisul vicino poggio perché più elevato e meglio difendibile;

6) questi fatti sarebbero avvenuti fra il 1276 e il 1290… (PAVONI, 1999, pp. 16-17).

Occorre precisare che la gittata di una balestra era, al massimo, di 450-500 metri. Perciò, dando credito ai documenti, Petrectum poteva localizzarsi solo nei pressi di Cafaggio. In tal caso, il poggio di Ameglia era il più rilevato e meglio difendibile.
Tuttavia le affermazioni precedenti sono ritenute false nei fatti, sostanzialmente perché Ameglia era già ricordata come castello nel diploma concesso da Ottone I ad Adalberto vescovo di Luni il 19 maggio 963 (PAVONI, 1999, p. 17). Inoltre Ameglia era ricordata come centro abitato nel successivo diploma che Ottone II concesse al vescovo Gottefredo il 18 luglio 981 (PAVONI, 1999, p. 18).
Queste osservazioni ci porterebbero quindi ad identificare il Corvo con la località attuale e la Pietra del Corvo come una delle litologie afferenti alla sequenza formazionale del Membro dei Calcari e Marne di Monte Santa Croce.

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Stralcio della Carta Geologica Lerici, tavoletta n. 248.2, 248 SE, del foglio 248 La Spezia a scala 1:25.000, della Regione Liguria

Il Caprione

Sul C.T.R. Liguria, Foglio 248120 Ameglia, a scala 1:25.000 si individua un toponimo Carpione (e non Caprione) sul il versante esposto a nord ed inciso dall’omonimo rio, che scorre fra San Lorenzo e la località Romito.
Anche nel catasto napoleonico, il toponimo Caprione si trova riferito ad un rilievo (Mont Carpione) ed a due tratti vallivi molto stretti e con versanti ripidi (Ravin de Carpione), oltre che al nome di una sezione della cartografia (Section C. de Carpione). Il riferimento è al …Tableau d’Assemblage du Plan cadastral parcellaire de la Commune de Tribiano. Canton de Lerici. Arrondissement de la Spezia. Département des Apennins. Terminé sur le terrein le 4 juin 1812 sous l’Administration de M.r M.e Duval Préfet, M.r Poli Maire et sous la direction de M.r Saporiti Directeur des Contributions, M.r Naylies Ingénieur verificateur par M.r Gnone Géometre de 1ere classe… conservato presso l’Archivio di Stato di Genova. Esiste anche una seconda cartografia, certamente coeva, ma più ampia e di tipo catastale della …Section C de Carpione. En une Feuille. Levée par M.r Gnone Géomètre de 1ere Classe…. Anche questa tavola è conservata presso l’Archivio di Stato di Genova.
È plausibile, anche per la sua localizzazione topografica, che il toponimo Caprione fosse una trasposizione o un’errata trascrizione del più noto e corretto toponimo Carpione.
In quest’ottica, PAVONI precisa che il Caprione si identifica con …la catena che separa la Bassa Magra dal mare… (PAVONI, 1999, p. 20). Tuttavia, anche in questo caso, come per il Corvo ricordato sopra, sussiste una certa ambiguità. Infatti, nell’aprile del 1152, il Comune di Genova pagò, 39 lire lucchesi …ottenendo dai consorti di Vezzano e di Arcola l’investitura in feudo della maggior parte del Monte di Lerici per i propri cittadini Ido de Carmadino, Guglielmo Garrius e Giordano Bocca… (PAVONI, 1999, p. 20). Ma …la definizione «Monte di Lerici» era volutamente ambigua perché poteva riferirsi non soltanto al rilievo che sovrasta quel luogo, ma anche all’intero sistema orografico... (PAVONI, 1999, p. 20) e questo perché i limiti territoriali concessi rimanessero nel vago, affinché i feudatari potessero più facilmente subinfeudare.
Sull’argomento esiste anche un chiarimento del POGGI (POGGI, 1907 – 1909) che ricorda come …nel medioevo la denominazione mons Illicis aveva un significato più esteso di quello che ha al presente, e sembra comprendesse tutta la catena di alture che da Lerici al Corvo guarda verso il Golfo, usandosi il nome di Caprione per denotare la parte opposta della stessa catena rivolta verso la Magra… (POGGI, 1907 – 1909, pp. 39, Vol. I) (PAVONI, 1999, pp. 22, nota 24).
Il toponimo Caprione, sotto questa indicazione vaga ed estensiva, ricorre nel tempo. Nella seconda metà del XVII secolo compare sul Piano dimostrativo delle terre sul territorio di Lerici, spettanti alla Camera Eccellentissima, comprese quelle state asportate dal Fiume Magra conservato presso l’Archivio di Stato di Genova.
L’argomento è stato affrontato anche dal CONTI (1965, pp. 81-82) che sulla base di un documento apocrifo aveva collocato il Caprione lungo il versante rivolto al fiume Magra, compreso fra le località Selva Maggiore o Carpione e Monte Murlo sopra La Ferrara.
In conclusione, col toponimo Caprione si deve intendere tutto il versante rivolto verso nord-est in sponda destra del fiume Magra, fra Località Carpione e Punta Bianca.

Suscettività geologica per i materiali

Nella disamina che segue il toponimo Cafaggio sarà inteso in maniera estensiva. Comprenderà sia il sito della necropoli che le aree nelle quali, alla fine dell’Ottocento, furono rinvenute le altre tombe a cassetta riferibili comunque alla necropoli, ma delle quali si è persa la localizzazione precisa.
Sui versanti incipienti Cafaggio sono presenti sequenze litologiche e crono-stratigrafiche differenti sia per litologia che per origine ed età.
Alla Falda Toscana appartiene il Membro dei Calcari e Marne di Monte Santa Croce (LSP1) (ABBATE E., FANUCCI F., BENIANI N., FALORNI P., FAZZUOLI M., MORELLI D., PANDELI E., PAPINI M., SAGRI M., REALE V., VANNUCCHI P., 2005, p. 63). Esso costituisce l’affioramento più imponente. Inizia dalla località Senato e, dopo Cafaggio, risale fino al Pian della Chiesa, per poi discendere al mare presso il Seno di Tellaro. Da qui costituire la falesia fino a Punta Corvo. Si tratta di una sequenza di strati e banchi calcarei grigio scuri alternati irregolarmente a livelli marnosi grigi e giallastri e banchi di dolomie saccaroidi bianche (Norico-Retico).
Da Cafaggio-Ameglia, il versante prospiciente la Magra, fino a poco prima della località Ferriera, è costituito da alcuni termini della successione metamorfica di Punta Bianca. Troviamo:

  • piccoli lembi di Scisti di San Terenzo (SSZ) costituiti da filladi grigio-verdastre, quarziti fini e metacalcari variamente silicei (Carnico) (ABBATE E., FANUCCI F., BENIANI N., FALORNI P., FAZZUOLI M., MORELLI D., PANDELI E., PAPINI M., SAGRI M., REALE V., VANNUCCHI P., 2005, p. 102);
  • quarziti grigio-rosate e filladi con metasiltiti grigi e verdastro-violacee (QFL) del Carnico (ABBATE E., FANUCCI F., BENIANI N., FALORNI P., FAZZUOLI M., MORELLI D., PANDELI E., PAPINI M., SAGRI M., REALE V., VANNUCCHI P., 2005, p. 100);
  • anageniti (ATI) (ABBATE E., FANUCCI F., BENIANI N., FALORNI P., FAZZUOLI M., MORELLI D., PANDELI E., PAPINI M., SAGRI M., REALE V., VANNUCCHI P., 2005, p. 100): metaconglomerati quarzosi e quarziti grigio chiare e rosate (Ladinico Sup.-Carnico);
  • filladi violette (FVE) e metasiltiti violacee (Ladinico Sup.-Carnico) (ABBATE E., FANUCCI F., BENIANI N., FALORNI P., FAZZUOLI M., MORELLI D., PANDELI E., PAPINI M., SAGRI M., REALE V., VANNUCCHI P., 2005, p. 99).

I terreni della Falda toscana e della successione metamorfica sono separati, sul terreno, da affioramenti di brecce tettoniche di Maralunga (BML) e di Lerici (BLE) del Miocene medio-superiore (ABBATE E., FANUCCI F., BENIANI N., FALORNI P., FAZZUOLI M., MORELLI D., PANDELI E., PAPINI M., SAGRI M., REALE V., VANNUCCHI P., 2005, p. 83).
Le filladi, grigio chiare, violacee e verdastre sono molto diffuse in quasi tutte le sequenze citate. Sono rocce facilmente separabili in lastre più o meno spesse, sia naturalmente (per alterazione), che antropicamente.
Risultano facilmente riconoscibili per la colorazione caratteristica che si riscontra su diverse parti costituenti le cassette delle tombe (Figura 2, Figura 3 e Figura 6).
Un altro carattere distintivo che consente di diagnosticare le filladi nelle lastre delle tombe a cassetta è la fissilità che si manifesta in maniera accentuata si alcuni elementi (Figura 7 e Figura 8).

Perché le filladi?

Le caratteristiche principali delle filladi all’origine dell’impiego per la realizzazione delle tombe a cassetta sono state:

  • la loro diffusione e presenza anche in aree immediatamente circostanti la necropoli;
  • la fissilità che ne ha condizionato l’estraibilità dagli affioramenti locali e la lavorabilità: riquadratura, tracciamento dei solchi di alloggiamento (Figura 9), scultura delle alette d’incastro con becco o meno (Figura 10), …;
  • e forse anche, in qualche caso, il colore.

In conclusione, la maggior parte delle lastre impiegate per la realizzazione delle tombe a cassetta di Cafaggio sono in filladi grigie, verdi e violette ritrovate alla base degli affioramenti o estratte dagli affioramenti locali di età compresa fra il Ladinico Superiore ed il Carnico.
Non si può escludere a priori che qualche lastra possa provenire anche dagli affioramenti delle filladi grigio-violacee e verdastre di Buti del basamento ercinico presente a Punta Bianca. Rimane però il mancato riscontro di presenze ematitiche sulle lastre di Cafaggio (caratteristiche delle filladi di Buti) e la distanza fra la necropoli e Punta Bianca che implicava un approvvigionamento del materiale ed un trasporto più complessi rispetto a quanto possibile per gli affioramenti prossimi al monumento.

Le filladi in natura

La fillade è una roccia generata dal metamorfismo regionale di basso grado da una argilla o da  un sedimento molto fine e ricca in argilla.
Il nome le deriva dal greco fillon che significa foglia. Già questo sottolinea la principale caratteristica della fillade: la fissilità. Si tratta della capacità di rompersi in sottilissime lamine (di sfogliarsi) secondo piani fra loro subparalleli, lievemente ondulati e molto fitti.
Ricordano vagamente le ardesie. Ma si distinguono da queste per una minore durezza e per la grana lievemente maggiore. Sono filladi, ad esempio, le ardoise francesi, ma anche le ardesie del Ponente ligure, rocce ambedue che non hanno la tipica, fine, regolare e perfetta sfaldatura delle ardesie del Tigullio.
Dal punto di vista petrografico, le filladi sono costituite prevalentemente da miche (muscovite, clorite) e quarzo. Minerali accessori molto comuni sono ossidi opachi (magnetite o pirite) e feldspati.

Le prime diagnosi delle lastre di Cafaggio

La prima diagnosi sulla natura litologica delle lastre di Cafaggio si deve a ISSEL (1892). L’autore descriveva le cassette delle tombe ricordando le precedenti notizie pubblicate da Paolo PODESTA’ (PODESTÀ, 1886) (PODESTÀ, 1880) (PODESTÀ, 1887) e (PODESTÀ, 1891).

La tomba d’Ameglia, recentemente descritta dal signor Paolo Podestà, era una cassa sepolcrale formata da sei lastre di pietra bruna del Capo Corvo, esattamente lavorata a forma quadrilatera, cassa che misurava nelle tre dimensioni metri O,67, O,41 e O,40 circa. Essa conteneva 5 ossuari, 4 vasi accessori, 4 unguentari ed una cuspide di lancia… (ISSEL, 1892, p. 310).

Ubaldo MAZZINI riprese il medesimo argomento poco dopo, ricordando che …La tomba è come tutte le altre, a cassetta, ma della maniera più rozza; si compone di sei lastre di schisto lamellare talcoso del Corvo, per nulla riquadrate e senz’alcuna traccia di lavorazione, meno le due dei lati più stretti della cassa, che alla meglio furon ridotte alle volute dimensioni… (MAZZINI, pp. 105-109).
Dalle descrizioni si crea la discrasia sulla diagnosi del litotipo impiegato per le cassette, ma si avvia anche quel problema sull’impiego della cosiddetta Pietra del Corvo che si ritrova ancora in autori recenti.
Quindi le indicazioni sui toponimi Corvo e Caprione sono imprecise e differenti in letteratura. Cosippure per le definizioni formazionali e litologiche delle cassette. Alla luce di nuovi e recenti studi, la dizione più attinente per il litotipo maggiormente impiegato nella realizzazione delle lastre delle cassette di Cafaggio è filladi.
Differente è il caso dei recinti, o meglio delle strutture a secco dei recinti che sono stati realizzati impiegando sia scampoli di lastre di filladi verdi e violette, sia spezzoni di strati calcareo marnosi e/o dolomitici e sia grossi ciottoli di possibile raccolta dagli alvei circonvicini.

Note di Aggiornamento

2023.05.11

È il dicembre del 1975 quando durante uno sbancamento operato con mezzo meccanico vengono alla luce alcune tombe a cassetta.
Le riconosce subito l’archeologa Eliana Maria VECCHI (a dx nella foto) che avverte immediatamente il prof. Cesare Augusto AMBROSI (in primo piano nella foto). Viene fatto un primo accertamento e riscontrata l’importanza del ritrovamento ed è subito avvertita la Soprintendenza.

Immagine citata nel testo
Eliana Maria VECCHI con Cesare Augusto AMBROSI a Cafaggio

Ameglia, provincia della Spezia, Italia

Ameglia, provincia della Spezia, Italia

Bibliografia

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