Il Castellaro di Uscio

copertina

Copertina – Lo scavo in corso di esecuzione nel luglio del 1983: Castellaro di Uscio, monte Borgo (Tribogna, Liguria Orientale).

I castellari: insediamenti d’altura liguri

Ancora alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, Marco TIZZONI (1976) scriveva che …nonostante i numerosi scavi eseguiti nei castellari liguri, a tutt’oggi non si è ancora riusciti a definire con sufficiente precisione i vari aspetti del periodo della preistoria ligure che va dalla fine dell’Età del Bronzo alla Romanizzazione. Ciò è dovuto a vari fattori, tra cui il principale è la mancanza di un valido scavo stratigrafico: la causa è in gran parte imputabile alle specifiche condizioni di giacitura del materiale, che non ne hanno permesso la sua conservazione “in situ”… 
I castellari sono, infatti, insediamenti posti in condizioni morfologiche molto particolari.
Si posizionano su specifiche emergenze (Figura 1) dei crinali scoscesi, con versanti ripidi e molto esposti alle condizioni meteo. Questo fu il motivo per cui gli scavi al Castellaro di Uscio furono protetti (Copertina e Figura 2). Quasi ogni giorno infatti si scatenava un breve ma intenso acquazzone.
Per contro, a vantaggio della posizione scomoda era l’ampia visuale sul territorio.

In generale, i microclimi locali e l’erodibilità dei versanti hanno fortemente condizionato la conservazione dei suoli e dei manufatti in essi racchiusi. 
Ma nonostante tutto, il caso del Castellaro di Uscio, insieme a quello di Zignago, sono stati i più prodighi di informazioni.

Castellaro di Uscio: l’ambiente naturale

L’insediamento del Castellaro di Uscio è arroccato in corrispondenza del versante più dolce, quello occidentale, del monte Borgo (Figura 3). La netta differenza di acclività fra questo e gli altri versanti del rilievo sono imputabili alle locali condizioni giaciturali (Figura 4). In particolare, la radice del monte Borgo è costituita da una sequenza della Formazione dei Calcari di Monte Antola (Figura 5). Si tratta dell’alternanza di strati e banchi di calcari più o meno marnosi con intercalazioni di marne, calcari micritici e calcareniti.
Dal punto di vista strutturale, la sequenza assume giacitura costante, con immersione degli strati diretta ad ovest ed inclinazione di una ventina di gradi. Lungo tale direzione il versante si adagia alla giacitura degli strati palesando condizioni di massima stabilità, (Figura 4). Qui è stato possibile l’accumulo di un limitato spessore di suolo naturale sul quale è avvenuta la frequentazione, prima, ed è stato impiantato l’insediamento, poi. Il favorevole assetto geologico ed il rimodernamento antropico hanno determinato la genesi ed il mantenimento del suolo archeologico. Gli altri versanti del sito sono stati condizionati, invece, dalla presenza di sistemi di frattura (Figura 6 e Figura 7), anche importanti, che ne hanno fortemente condizionato la pendenza fino alla sub-verticalità. La sezione Est-Ovest di Figura 4 evidenzia e visualizza il descritto assetto del monte Borgo.

Il castellaro di Uscio: prime frequentazioni

La successione della presenza e, poi, della vita sul castellaro di Uscio è molto ampia e variegata.
La prima frequentazione, occasionale e attestata da alcuni grattatoi e poco altro (Figura 8), sarebbe da ascrivere al Mesolitico Antico (9000-6500 a.C.). Nel Neolitico Antico (6000-5000 anni a.C.) il monte Borgo era parte dei percorsi diretti all’Appennino. A questo periodo si riferiscono numerosi frammenti ceramici e di industria litica (Figura 9 e Figura 10).
Una frequentazione sistematica si riferisce alla fine del Neolitico ed all’Eneolitico (3600 anni a.C. ca.). È questo il periodo del primo rimodernamento/denudamento dell’area che determinò la formazione di un solco di erosione. In seguito il canale fu riempito da colluvio contenente anche materiali dell’Eneolitico e del Bronzo Antico. Si tratta di frecce in diaspro a peduncolo ed alette (Figura 11), altri manufatti scheggiati (Figura 12), frammenti ceramici ed una fusaiola
Arriviamo così all’occupazione stabile del Bronzo Finale (1200-900 anni a.C.) ed alle radicali modifiche ambientali. Si tratta della più antica attestazione nota di sistemazione a terrazze di un pendio, della quale rimangono al castellaro almeno due strutture (Figura 13). La ceramica data questa frequentazione al X secolo a.C.. …È quindi a partire da questa epoca che si documenta l’uso sul castellaro di pratiche agricole come le coltivazioni di cereali (Hordeum sp. -orzo- e Triticum sp. -grano tenero- Figura 14) e di favino (Vicia Faba, Figura 15): è questa la più antica testimonianza di agricoltura della Liguria per i siti all’aperto… (MAGGI, 1987).

Le selci e i diaspri

A seguito degli scavi fu eseguita un’analisi petrografia su un centinaio di campioni provenienti da manufatti e affioramenti dell’area ofiolitica della Liguria Orientale. I materiali scheggiati provenivano da siti di età compresa fra il Paleolitico Medio e l’Età del Bronzo. Su tale base fu tentata anche la classificazione dei reperti provenienti dal Castellaro di Uscio.
La maggior parte dei materiali scavati a Uscio, il 62%, era stata prodotta scheggiando radiolariti e selci a radiolari della Formazione dei Diaspri (Figura 21). In massima parte erano tipici diaspri rosso vanato (57%), ma anche verdi (15%) e bianchi più o meno tendenti al verde o al rosa, grigi o variegati (28%). Solo poco più della metà dei manufatti di diaspro rosso era stata prodotta da materiale ad evidente frattura concoide. In molti altri casi la frattura era evidentemente scheggiosa.
In subordine, il 26%, era stato prodotto con selci grige provenienti dai noduli dei Calcari a Calpionelle. Il rimanente 12% non presentava caratteristiche tali da poterne determinare la provenienza. 
Le selci a radiolari erano prevalentemente integre, a lucentezza vitrea ed a frattura concoide ben sviluppata. Molto simili a queste erano le selci grige provenienti dai Calcari a Calpionelle.
In base alla geologia regionale, era stato ipotizzato un bacino di raccolta del materiale piuttosto ristretto. A parte le radiolariti che sono diffuse lungo gli imponenti affioramenti dei diaspri, le selci a radiolari ed i noduli di selce sono presenti solo lungo i contatti stratigrafici fra le formazioni dei Diaspri ed i Calcari a Calpionelle. Questa condizione ne limitava le possibili fonti di approvvigionamento all’alta Val Graveglia (Figura 6 di Monte Bianco: un po’ di archeologia e storia delle miniere).

Immagine citata nel testo

Figura 3 – Rilievo topografico del Castellaro di Uscio, eseguito nel luglio 1983 mediante un Teodolite-Tacheometro della Filotecnica Ing. A. Salmoiragli & C. Milano, databile dall’ultimo decennio XIX-primo decennio XX sec. (Rilievo e disegno M. Del Soldato).

I cambiamenti del terzo millennio a.C.

Il terzo millennio avanti Cristo è il periodo cruciale del nostro racconto, quello in cui si forma quel sistema agro-salvo-pastorale i cui sviluppi perverranno fino alla generazione dei nostri nonni. Ha grande successo la pastorizia, sostenuta da pratiche che cambiano il paesaggio vegetale e movimentano milioni di metri cubi di suolo. Le omogeneità culturali che nel Neolitico univano vari spazi geografici, quali la cultura dei Vasi a Bocca Quadrata su tutta l’Italia settentrionale e la successiva Cultura di Chassey in Piemonte, Liguria, Lombardia ed Emilia, si sciolgono nel vocalismo, connotato soprattutto dalla materia prima dell’industria litica. Emerge il culto degli antenati e delle vette, comprendente complesse pratiche funerarie connesse a secolari sepolture famigliari collettive, ed a rapporti, forse anche fisici, con le reliquie. Si forma il concetto di famiglia legata ad interessi e vincoli di sangue ed a cascare l’organizzazione di clan, e forse di tribù. Si manifesta l’aspirazione a rendere esplicita l’appartenenza di un territorio a chi lo ha addomesticato con l’investimento energetico e culturale di azioni collettive condotte con tecniche sofisticate…. (MAGGI, 2015).

Il castellaro di Uscio nell’Età del Ferro

Il castellaro di Uscio è rioccupato, e parzialmente modificato, a partire dalla fine del V – inizio del IV sec. a.C.
Parte del versante fu ripianata creando un’ampia terrazza col metodo degli scavi e riporti. Questi furono contenuti da un nuovo muro a secco (Figura 19), lungo almeno 6 metri. A ridosso, verso valle, fu anche realizzata una grande capanna sostenuta da pali ed intonacata in maniera approssimativa. L’edificio fu distrutto da un incendio ed il sito temporaneamente abbandonato.
Le date di insediamento sono attestate dai frammenti di una Kylix a vernice nera (Figura 16, 4) e da frammenti di anfore etrusche (Figura 16, 1-3).
Nonostante l’accadimento, il castellaro continuò ad essere frequentato (e forse abitato) per tutto il III e parte del II sec. a.C.. Lo dimostrano i numerosi frammenti di vasellame di importazione, con ogni probabilità dall’emporio di Genova, emersi dallo scavo archeologico.
Completano il corredo materiale due fibule tipo La Tène (Figura 17, 85 e 86), due bottoni di bronzo (Figura 17, 91 e 92), due vaghi di collana in vetro azzurro (Figura 18, 99-100 e Figura 18bis), una terza perlina in vetro a forma di goccia (Figura 22), uno di ambra (Figura 18, 101) ed alcune fusaiole troncoconiche fittili (Figura 18, 97).

Alcune considerazioni

Questa storia che viene da lontano si è basata sui ritrovamenti fortuiti ed il primo scavo del 1974, nonché sui saggi del 1981 ed i risultati delle cinque campagne di scavo degli anni 1982-1985 (Soprintendenza Archeologica della Liguria).
Ne emerge un quadro interessante per un insediamento a primo avviso modesto come quello del Castellaro di Uscio. Innanzitutto viene confermato quel fenomeno migratorio che, nella seconda Età del Ferro, ha portato ad abbandonare gli insediamenti costieri per rioccupare quelli interni già abitati alla fine del Bronzo. Ed è un fenomeno ampio, che si riscontra nella regione compresa fra l’Arno e la Magra.
In secondo luogo si è trattato di un insediamento legato allo sfruttamento del territorio con un’economia prevalentemente agricola e forse integrata da un po’ di allevamento, di caccia e di raccolta. Ma anche un insediamento aperto agli scambi come palesano le diverse forme di ceramica.
Un insediamento dove un’armilla di bronzo del tipo a nastro (X sec. a.C.), simile a quella coeva di Loto, sembra preannunciare quelle della necropoli di Chiavari dell’Età del Ferro. E le fusaiole insieme ad un paio di pesi da telaio fanno fantasticare sull’abbigliamento delle donne Liguri della fine dell’Età del Bronzo (Figura 20).
Siamo nella fase in cui si conclude il processo di formazione delle identità delle varie popolazioni italiche, compresa quella dei Liguri. Cominciano a registrarsi differenziazioni culturali fra la Liguria Orientale e il Ponente. Sembra si preannuncino le distinte identità delle tribù liguri dell’età del Ferro, così come tramandate dalle fonti classiche.

Bibliografia

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MAGGI, R. (2015). I monti sono vecchi. Archeologia del paesaggio (seconda edizione 2017. Genova, De Ferrari.
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TIZZONI, M. (1975-76). Appunti per lo studio dei castellari liguri. Giornale Storico della Lunigiana, XXVI, 93-111.

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