Monte Bianco: un po’ di archeologia e storia delle miniere

immagine di copertina

Copertina: il versante sud-occidentale del monte Bianco, con il monte Lampo sullo sfondo. Foto MDS, novembre 1987.

Monte Bianco: la frequentazione più antica

Il Monte Bianco (Copertina) è stato oggetto di attenzione, da punto di vista estrattivo, già in passato. Sul suo versante nord-orientale sono ancora evidenti le estese coltivazioni di solfuri misti (SVM) ottocentesche. E sul versante sud-occidentale sono ancora in esercizio cave di oficalcite (il commerciale marmo Rosso di Levanto, Figura 1, in basso).
Ma l’interesse di quest’area è anche archeologico e potenzialmente archeominerario.

Una raccolta di superficie eseguita fra il 1987 ed il 1988 nell’area di Monte Bianco (varie stazione lungo il versante meridionale) ha portato al ritrovamento di …383 manufatti, costituiti da 364 reperti litici scheggiati (per la quasi totalità in diaspro rosso – Figura 2), da 19 frammenti di ceramica d’impasto (Figura 3), nonché da frammenti di cappellaccio (Figura 4) e scorie relativi a un’attività di riduzione e trasformazione di minerali di rame… (CAMPANA e NEGRINO, 2013).
I manufatti litici coprono un periodo compreso fra il Paleolitico medio (Musteriano) ed il Neolitico. Anche i frammenti ceramici sono stati datati al Neolitico ed all’Età dei Metalli. Particolarmente significativo è poi il ritrovamento dei frammenti di cappellaccio di alterazione del giacimento cuprifero e delle scorie.
Ma non è tutto. 
Nel corso di una ricognizione effettuata nel 2004 è stata osservata a nord-est del sito una vena di minerale di rame, inglobata in serpentiniti fratturate. (…) La vena di rame mostra impronte di possibili colpi di percussione e di una “tagliata” (Figura 5) che sembrerebbe poter essere stata realizzata in funzione dell’estrazione del materiale in essa contenuto, verosimilmente minerali di rame… (CAMPANA, NEGRINO, 2013, Appendice).
I siti di ritrovamento sono oggi sotto salvaguardia di vincolo archeologico stabilito con Decreto del Ministero per i Beni Archeologici e Ambientali del 30 aprile 1993.

La selce del monte Bianco

Quasi tutti i reperti litici recuperati dalle raccolte di superficie erano in diaspro. In particolare uno è apparso di particolare importanza. Si tratta di una …placchetta di diaspro scistoso decorata da un disegno geometrico a linee orizzontali e verticali, unica testimonianza di questo genere di arte mobiliare mai trovata in Liguria… (dalla Relazione archeologica di corredo al vincolo).
Non si può escludere che qualche frammento litico potesse essere in selce. 
Come consuetudine, in Val Graveglia la selce si trova in giacitura primaria, sotto forma di noduli e liste di dimensioni fino a decimetriche-ultradecimetriche negli strati basali della Formazione dei Calcari a Calpionelle, in corrispondenza del passaggio stratigrafico ai sottostanti diaspri (DEL SOLDATO, 1990).
Questo succede in varie località, fra le quali i monti Chiappozzo, Copello, Porcile e Bianco (Figura 6Legenda: Carta della suscettibilità alla presenza di selce, radiolariti e selci a radiolari per l’industria litica. Legenda: 1. area di certo approvvigionamento di selce s.s. (da Calcari a Calpionelle); 2. area di certo approvvigionamento da radiolariti e selci a radiolari (da Formazione dei Diaspri); 3. aree di probabile approvvigionamento da prevalenti selci s.L; 4. aree di probabile approvvigionamento di prevalenti radiolariti e selci a radiolari; 5. aree di probabile approvvigionamento di legni fossifi (silicizzati); 6. zona di segnalazione di “selce piromaca” – disegno M. Del Soldato).

Analisi petrografia dei campioni di selce del monte Bianco

Durante i rilievi geologici eseguiti in Val Graveglia alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso (Figura 7) furono raccolti numerosi campioni, dei quali due dal monte Bianco. All’analisi petrografica sono risultati una breccia silicea, il primo, ed una selce a radiolari, il secondo. Qui di seguito vengono proposte le caratteristiche macroscopiche e brevi osservazioni petrografiche eseguite sui due campioni.

Paremetro

Campione

03118701

03118702

Colore

Grigio chiaro omogeneo (2.5Y 5/0 gray)

Grigio chiaro rosato non omogeneo (2.5Y 6/0 gray)

Grana

Irrisolvibile ad occhio nudo

Visibile ad occhi nudo

Frattura

pseudoconcoide

Lucentezza

Grassa

Trasparenza

Poco traslucida, con riflessi giallastri

Altro

Frequenti microfratture riempite di materiale detritico

Sistemi di microfessure rettilinee con segni di dissoluzione ai bordi

Raccolta

Da terra alla base dell’affioramento

Dall’affioramento di calcari a Calpionelle

Diagnosi

breccia silicea

selce a radiolari

 

Breccia silicea. Campione 03118701, dal versante orientale del monte Bianco

Presenta struttura di fondo granulare costituita da prevalente quarzo (elementi compresi fra 0,01 e 0,005 mm), frammenti occasionali di calcite (Figura 8), anche fratturati e rinsaldati (Figura 9), e minerale opaco in plaghe e/o aggregati con frammenti di minerale aciculare irrisolvibile (Figura 10). Sono evidenti anche strutture fluitali della pasta di fondo (Figura 11)
È presente un minerale a maggiore rilievo, fortemente pleocroico, trasparente, di colore grigio-bruno, in elementi idiomorfi, talvolta ad estinzione sub-ondulata, in granuli mai limpidi (forse Ankerite?)
Le fessure sono riempite da quarzo sia cristallino (di neoformazione) che detritico. In una venatura di ampiezza maggiore ed andamento sinusoidale è presente del quarzo di sostituzione su carbonati ed abbondante minerale opaco. Non sono stati riconosciuti resti di radiolari se non, dubitativamente, in alcuni elementi idiomorfi oppure associati ad aggregati di frammenti di quarzo o ad un aggregato opaco (Figura 12).
Il campione in esame presenta forti analogie con altri due frammenti di breccia silicea dei quali uno proveniente da Suvero (SP).

Selce a radiolari. Campione 03118702, dal versante orientale del monte Bianco

Struttura granoblastica con numerosi relitti di radiolari, apparentemente raggruppati lungo piani orientati (Figura 13). I radiolari meglio conservati sono rari e generalmente di maggiori dimensioni. Occasionalmente sono avvolti da minerale opaco (Figura 14 e Figura 15). Il minerale opaco interstiziale è talvolta abbondante e sottolinea la presenza di piani ondulati e sub-paralleli. Sono presenti cristalli eterodimensionali e sub-idiomorfi (spesso sub-rettangolari), trasparenti, a spigoli vivi (Figura 16).
Alcuni cristalli presentano alto rilievo, debole pleocroismo ed estinzione retta. Le venature sono riempite da quarzo o minerale opaco (Figura 17).

immagine nel testo

Figura 7 – Stralcio del rilievo geologico dell’area di Monte Bianco, a scala 1_5000 (MDS).

Il permesso di ricerca per minerale cuprifero denominato Nascio (Monte Bianco).

Il primo permesso di ricerca denominato Monte Bianco risale alla fine dell’Ottocento. Il riferimento è ad un’indagine esperita …lungo il versante settentrionale del Monte Bianco, presso la linea di contatto fra la serpentinite e la diorite… (AA.VV., Relazione Servizio Minerario 1881, 1883). In realtà il termine litologico corretto è gabbro e non diorite (Figura 7).
Un paio d’anni più tardi si ha notizia di un permesso di ricerca denominato Nascio, intestato a G.B. BONELLI, uno dei più attivi ricercatori di quest’epoca. Si estendeva su un’ampia area compresa fra la fascia altimetrica superiore del versante settentrionale del Monte Bianco (fin oltre l’abitato di Nascio) ed il rio Novelli (fino alla confluenza col torrente Graveglia).
In particolare, i lavori interessarono direttamente il contatto fra gabbro e basalto che condusse all’individuazione di un ammasso di pirite (con concentrazioni esterne di calcopirite) di 3 m di spessore. Poi, più in basso, fu evidenziata la prosecuzione della massa colonnare che fu seguita in galleria per 7 m. Questo lavoro condusse alla scoperta di altre tre colonne mineralizzate ed all’apertura di due nuove gallerie alle quote 180 e 210 m circa s.l.m.. Dalla prima furono estratte 8 t di minerale cuprifero molto ricco, mentre la seconda risultò sterile (ISSEL, 1892).
Tutti gli scavi e le ricerche furono concentrati nel dominio ofiolitico comprendente le masse serpentinitiche del M. Bianco, quelle di Monte Bossea e quelle di Gambatesa. Fu un’indagine sistematica operata da un tecnico che aveva ben chiare cognizioni di causa.
La cronaca ricorda che in seguito all’individuazione di un brucione, …il Bonelli eseguì un piccolo scavo in trincea, che pose allo scoperto un blocco di pirite cristallizzata a grana molto grossa. Nell’interno di questa pirite, e più specialmente in prossimità al suo contatto colla roccia diabasica vedonsi disseminate delle piccole concentrazioni di calcopirite quasi pura. Tanto la pirite che la calcopirite sono fragilissime e la più leggera pressione basta per ridurle in polvere… (Relazione del Servizio minerario, 1884, 1886).

I lavori sul versante orientale del Monte Bianco

Il Bonelli cominciò a scavare una galleria di esplorazione, nella massa mineralizzata, sotto l’affioramento di quota 600 m (Figura 18). Superato il primo diaframma di basalto attraversò circa 8 m di serpentinite molto alterata (definita argilla steatitosa) e penetrò in tre metri di pirite per poi rientrare nella serpentinite e sospendere l’avanzamento. La lunghezza totale dello scavo fu di circa 30 metri.
Una trentina di metri più in basso fu attestata una seconda galleria, che raggiunse i 130 m di sviluppo. Questa attraversò ben quattro colonne di pirite con poca calcopirite. La prima colonna fu esplorata con un pozzo inclinato profondo 7 m, mentre l’ultima colonna, della potenza di 7 m, fu interpretata come la prosecuzione di quella del livello superiore.
I nuovi indizi consigliarono il tracciamento di un altro livello circa trenta metri più in basso. Alla fine del 1884 aveva raggiunto lo sviluppo di 87 metri ed aveva attraversato la prima colonna. L’intenzione fu di prolungarla almeno fino ad incontrare la serpentinite. I lavori sopra descritti fruttarono circa 3 t di minerale al 10% di rame che servì per ammortizzare parte dei costi di ricerca.
Dopo diversi anni di inoperosità, i lavori furono ripresi.
Il permesso di ricerca fu riattivato, ma limitando le esplorazioni alla sola zona più  elevata in quota. Quindi fu avviato lo scavo di un pozzo inclinato, concorde con la massa piritosa potente circa 1 metro e già precedentemente riconosciuta (AA.VV., Relazione del Servizio Minerario 1884, 1886).
La …massa riposa sulla serpentina ed è ricoperta da una diabase alterata; i piani di contatto colle dette rocce appariscono inclinati di circa 50° verso ovest e diretti da sud verso nord. La pirite di ferro è quasi affatto scevra di materie terrose; presenta invece delle concentrazioni di una bella calcopirite a grana finissima, le quali, a misura che si procede dal muro al tetto del giacimento, vanno via via facendosi più frequenti, e finiscono per formare al contatto colla diabase una ricca vena cuprifera di metri 0,25 a metri 0,30 di spessore. Una trentina di metri al di sotto dell’orifizio del pozzetto si è avviata una galleria colla quale s’intende di esplorare in profondità la suddetta vena… (AA.VV., Relazione del Servizio Minerario 1890, 1892).

I lavori presso il letto del torrente Graveglia

Le notizie circa i lavori eseguiti entro la seconda area (quella prossima al T. Graveglia) sono molto vaghe seppure provengano da fonte ufficiale (AA.VV., Relazione del Servizio Minerario 1884, 1886).
Pare siano state tracciate due gallerie, delle quali almeno una in sponda sinistra del torrente (a quota circa 180 m) e la seconda una trentina metri più in alto. 
La prima galleria sarebbe stata attestata in serpentinite. A 28 m dall’imbocco avrebbe incontrato una ricca colonna mineralizzata, posta al contatto col basalto che affiorava anche all’esterno.
La mineralizzazione sarebbe stata erubescite quasi compatta, frammista a calcosina ed avvolta da un’argilla steatitosa, Non ci sarebbe stata traccia di pirite né di calcopirite.
La colivazione sarebbe stata eseguita in rimonta verso il livello superiore. La galleria sarebbe stata ulteriormente proseguita in direzione per altri 23 m senza intercettare altro minerale. La galleria a quota maggiore sarebbe rimasta sempre in sterile.
In maniera piuttosto enfatica è ricordato che le 8 t di minerale estratto avrebbero avuto un tenore compreso fra 29 e 47% di rame. Sarebbe stato il più ricco minerale cuprifero scavato in Liguria (AA.VV., Relazione del Servizio Minerario 1883, 1885).

Il premesso di ricerca per manganese

Le informazioni circa il permesso di ricerca per minerali di manganese sono estremamente telegrafiche.
Il primo ad interessarsi del manganese di Monte Bianco fu l’ingegnere francese Augusto FAGES, che negli anni Settanta dell’Ottocento passò in rassegna tutti gli affioramenti di diaspri della Val Graveglia.
All’epoca ottenne due permessi di ricerca: il 15 marzo 1876 quello denominato Gambatesa ed il 16 maggio 1877 quello denominato Zerli. In realtà il primo ricomprendeva tutti gli affioramenti compresi fra Gambatesa, Monte Bossea, Molinello, Nascio e Cassagna, mentre il secondo quelli della zona di Monte Bianco.
Il 13 ottobre 1881 fu emanato il Regio Decreto di Concessione, per la Miniera di Zerli (affioramenti di Monte Bianco-Bardeneto) e per la Miniera di Gambatesa (gli affioramento da Monte Comarella a Cassagna) a favore dell’ing. Augusto FAGES (AA.VV., Relazione sul Servizio Minerario 1879, 1882).

Alcune considerazioni conclusive sull’area del Monte Bianco

Le notizie storiche documentano come la miniera più antica della Val Graveglia sia quella cuprifera di monte Bardeneto, attiva fino dal XVI secolo.
I ritrovamenti fatti da CAMPANA e NEGRINO (2013) aprono la possibilità ad una storia mineraria, legata al rame, forse ben più antica. Non sono tanto i frammenti di cappellaccio o le scorie a insinuare nuove ipotesi, quanto la loro coesistenza con i frammenti ceramici datati al Neolitico ed all’Età dei Metalli.
A questo si potrebbe aggiungere che anche il diaspro e la selce presenti sui versanti del monte Bianco potrebbero essere stati utilizzati, come a Lagorara, seppure in maniera molto meno intensiva. Ma soprattutto si apre una possibile finestre sulla frequentazione dell’area nell’Età dei Metalli e l’ipotesi, tutta da verificare, di locali estrazione e, magari, metallurgia. Non dimentichiamo che la zona dei ritrovamenti e delle ricerche minerarie si trova in prossimità di un agevole passo che mette in comunicazione la Val Petronio con la Val Graveglia, attraverso una comoda via di crinale proveniente da monte Roccagrande e monte Bocco. E poteva essere compatibile anche con una certa stanzialità grazie alla locale ricchezza di acqua e di potenziali degradanti aree coltivabili.

…ed oggi?

È recente il dibattito aperto sulla stampa locale (GALLOTTI, 2021; VALLEBELLA, 2021, ROLLI, 2021) e sui social, circa l’opportunità o meno di autorizzare la richiesta della Società ALTA ZINC Limited per eseguire prospezioni minerarie in Val Graveglia.
Anche ArcheominoSapiens ha affrontato il problema andando all’origine, cioè sulla base delle documentazioni rese disponibili dalla Società sull’argomento.
Purtroppo in questi casi le interpretazioni superficiali e le prese di posizione personali si sprecano, spesso senza approfondire la realtà di intenzioni, situazioni ed azioni possibili.
Le posizioni sono state essenzialmente due. 
Da una parte le preoccupazioni per l’ambiente e dall’altra l’opportunità di acquisire nuove conoscenze.
E’ di queste settime la valutazione contraria espressa da Regione Liguria che ha accolto i pareri negativi dei vari comuni interessati.
In realtà, le probabilità di scoprire nuovi giacimenti erano molto limitate e, di conseguenza, quelle di aprire nuovi cantieri.
Per quanto riguarda, invece, l’entusiasmo per acquisire nuove conoscenze, anche questo era prematuro. I dati acquisiti sarebbero rimasti patrimonio della Società operante e ben difficilmente sarebbero stati divulgati, se non a tempi molto lunghi.

Bibliografia

AA.VV. (1883). Relazione del Servizio Minerario 1881. Annali di Agricoltura.
AA.VV. (1886). Relazione del Servizio Minerario 1884. Annali di Agricoltura.
AA.VV. (1892). Rivista del Servizio Minerario 1890. Annali di Agricoltura.
CAMPANA, N., e NEGRINO, F. (2013). Evidenze di occupazione preistorica in alta Val Gromolo (Sestri Levante – Genova). Archeologia in Liguria, III (2008-2009), 25-26.
CAMPANA, N., DEL SOLDATO, M., NEGRINO, F., e PEARCE, M. (2013). Appendice. Indizi di attività estrattive. Archeologia in Liguria, Nuova serie, Volume III (2008-2009), 27.
DEL SOLDATO, M. (1990). Analisi petrografica dell’industria litica scheggiata. In R. MAGGI, Archeologia dell’Appennino Ligure. Gli scavi del castellaro di Uscio: un insediamento di crinale occupato dal Neolotico alla conquista romana. Istituto Internazionale di Studi Liguri. Collezione di Monografie preistoriche ed archeologiche, Bordighera.
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