Recensione Libro “I monti sono vecchi. Archeologia del paesaggio” di Roberto MAGGI

Copertina

Copertina – Immagine dell’addomesticazione della montagna. L’impiego protratto del fuoco controllato consente di costruire buoni pascoli alberati. I simboli degli antenati che proteggono la risorsa dai risentimenti della natura e informano gli stranieri che una comunità vanta su quella landa diritti derivati dagli investimenti effettuati col lavoro di generazioni (realizzazione grafica INKLINK, Firenze, da DE MARINIS e SPADEA, 2004; Figura 18 da MAGGI, 2021, cit.).

Un progetto pilota da una tecnica ancestrale

Barcellona si affida ad un pastore e 150 pecore per fermare gli incendi.
È il titolo di un articolo comparso sulla pagina web EuropaToday il 27 maggio scorso.
Parc Natural de la Serra de Collserola è un polmone verde da 8.000 ettari, della città. Qui, ogni giorno, il gregge affidato a Daniel SANCHEZ pascola nei terreni agricoli abbandonati dagli anni ’60. È l’incuria di questo polmone verde della città che crea le condizioni ideali all’espandersi degli incendi boschivi. E qui gli incendi divampano ogni volta si manifesti un clima particolarmente secco, ventoso con alte temperature.
Il progetto, ideato dieci anni fa da Ferran PAUN uno dei massimi esperti spagnoli di pastorizia, è molto semplice. Lasciare al pascolo dei 150 ovini (capre e pecore) il compito di eliminare il sottobosco e migliorare la biodiversità per evitare gli incendi.
Ma questa non è assolutamente una tecnica innovativa. È solo il recupero di un saper fare che viene da lontano. Che arriva dal Mesolitico.
Il progetto di Barcellona ha fatto seguito ad un altro precedente. In quel caso, gli attori erano stati i bisonti, reintrodotti appositamente.
Pascolando gli animali riaprono le parti più fitte della foresta, permettendo alla luce di entrare e far cresce l’erba al posto del sottobosco.
Altrove e fino a non molti anni fa, è stato l’uso sapiente del fuoco svolgere quella medesima mansione.

I monti sono vecchi

Eliminare il sottobosco per limitare l’attacco del fuoco. 
Ma eliminare il sottobosco è, ed è stato possibile fin dall’antichità, proprio col fuoco, prima che con gli animali.
Immagniamo di trovarci alla fine di una glaciazione. Aumentano la temperatura e l’umidità. Di conseguenza si determinano drastici cambiamenti ambientali. Aumenta il livello medio marino e cresce il bosco a scapito delle praterie.
Così, a cominciare dal Mesolitico, la copertura vegetale dell’Appennino viene trattata col fuoco. E questo avveniva prima dell’introduzione dell’allevamento, …o meglio di forme di allevamento le cui tracce siamo in grado di riconoscere… (MAGGI, 2021. I Monti sono Vecchi. De Ferrari ed, Genova. p. 45). E avveniva …prima che i gruppi umani fossero socialmente e numericamente in grado di investire in terrazzamenti (…). La Liguria era terra di pastori e boscaioli. Il mar Ligure è sempre stato poco pescoso. I primi cittadini costieri erano Etruschi, o locali che commerciavano con loro (MAGGI, 2021, cit. p. 9).
Nel sito mesolitico della torbiera delle Mogge di Ertola (Rezoaglio, GE) è emerso un altro particolare interessante. L’associazione fuoco-erosione, l’uso del fuoco per il disboscamento che  favorisce l’erosione dei versanti ed il dissesto idrogeologico
Quindi, gli uomini del Mesolitico stabilitisi in Liguria Orientale 10.000 anni fa …usavano il fuoco come strumento di controllo della vegetazione… (MAGGI, 2021, cit. p. 48). E lo usavano soprattutto per costruire radure ricche d’erba con funzione di prati-mangiatoie.

È uno degli innumerevoli racconti svolti in maniera semplice, ma rigorosamente scientifica, che si trovano ne “I monti sono Vecchi” di Roberto MAGGI. Un testo che sintetizza i risultati di lunghi anni di scavi e di ricerche archeologiche svolte dall’Autore, archeologo del LASA (Università di Genova) e già Ispettore della Soprintendenza Archeologica. Quella Soprintendenza che ogni Ministro succedutosi nel tempo ha voluto personalizzare cambiandone la denominazione.
Roberto MAGGI …ha dedicato tutta la sua carriera di archeologo di stato e di ricercatore alla preistoria della Liguria, con un occhio di riguardo per il Levante. Tra i suoi casi-studio di rilevante interesse per la comunità scientifica internazionale basti ricordare la Caverna delle Arene Candide e la Pianaccia di Suvero, il Castellaro di Uscio, la miniera di rame della Libiola e quella di diaspro di Maissana, insieme a tanti altri siti meno famosi… (Vincenzo TINÉ, in MAGGI, 2021, cit.).

Immagine citata nel testo

Figura 1 – La copertina del volume I monti sono vecchi. Archeologia del paesaggio dal Turchino alla Magra, di Roberto MAGGI (2021).

Prima dell’Archeologia del paesaggio

Fino agli anni Sessanta del secolo scorso la Liguria Orientale era ritenuta un territorio dimenticato, praticamente disabitato. Alla sua estremità orientale c’era Luni, la cui storia comincia nel 177 a. C.. È l’anno di deduzione della colonia romana. La città raggiungerà il suo massimo splendore in età giulio-claudia (14 a.C. – 68 d.C.). Poi, la sua funzione come cava di spoglio dei marmi ne ha continuato la notorietà.
A Ponente le conoscenze erano più diffuse. Già al confine francese le famose Grotte dei Balzi Rossi, poi i monumenti romani di Albintimilium, l’Arma delle Manie, il Finalese, Albingaunum, etc..
Il Tigullio prorompe sulla scena archeologica con la Necropoli preromana di Chiavari (VIII-VII secolo a.C.) scoperta casualmente nel 1959. Seguì un decennio di scavi condotti da Nino LAMBOGLIA e dall’Istituto Internazionale di Studi Liguri. E, finalmente, negli anni Ottanta il primo museo dedicato al monumento.
Da quel momento sono iniziate e proliferate le ricerche sul territorio e le scoperte. La Piaccia di Suvero, il castellaro di Uscio, la cava di diaspro di Valle Lagorara, la miniera di rame di Monte Loreto, ma anche Pian del Lago, la grotticella di Val Frascarese e via via infiniti altri.
Fu un periodo molto fervido per la nuova Archeologia. 
L’Istituto Internazionale di Studi Liguri di Bordighera con Nino LAMBOGLIA e l’Istituto di Storia della Cultura Materiale con Tiziano MANNONI avevano fra i primi applicato l’archeologia stratigrafica. E nel neonato Museo Archeologico di Chiavari, proprio Roberto MAGGI aveva raccolto un entusiasta gruppo interdisciplinare.
Ma soprattutto si andavano affinando le metodiche di ricerca.
Il lavoro alle Mogge di Ertola dimostra (…) che alla affinazione della scala/dettaglio di indagine, corrisponde la produzione di dati storici puntuali, i quali, per inciso, non di rado confutano le generalizzazioni. Su un altro piano, non molti anni fa, quando l’oggetto dell’indagine archeologica era costituito (in Italia) quasi esclusivamente da selci, cocci, tombe, case, le Mogge di Ertola avrebbero corso il rischio di essere classiicate come un “non sito”. Con soddisfazione si può invece rilevare che il lavoro di cui diamo qui sommaria relazione contribuisce signiicativamente, con i suoi apporti, alla costruzione innovativa di un'”archeologia del fuoco” e di un'”archeologia dell’acqua”, atta a restituire un passato dal quale emerge una cronologia sorprendentemente alta di azioni, pratiche, sistemi produttivi, anche complessi, elaborati al fine di usare eficacemente le risorse del territorio da parte di gruppi umani pur senza nome e, forse, anche senza città e monumenti… (CEVASCO, DE PASCALE, GUIDO, MONTANARI, MAGGI e NICOSIA, 2013. Le mogge di Ertola (Appennino Ligure): un contributo all’archeologia deL fuoco e all’archeologia dell’acqua. In Roberta CEVASCO (a cura di) La natura della montagna. Genova
).
I Monti sono vecchi ripercorre come un minuzioso racconto la storia degli ambienti, dei percorsi, delle azioni, della vita, della socialità, delle tecniche manuali e delle tecnologie degli uomini giunti dal mare. Uomini che hanno vagato in quel mondo da almeno 10.000 anni fa, imparando a conoscerlo. Ma soprattutto imparando a riconoscerne le potenzialità, dalla selce e dal diaspro, al rame. A sfruttarlo ed anche, in qualche modo, a piegarlo alle proprie necessità.
I Monti sono vecchi è un punto di riferimento per appassionati, archeologi e studenti. Sarebbe un utile testo per le scuole e per i corsi universitari

Roberto MAGGI ha condensato in questo volume molto di più dei dati scientifici di quarant’anni di esperienza. Questa lunga storia che viene da lontano è intrisa di Competenza, ma soprattutto di Passione e di Amore per il proprio lavoro, per le proprie origini e la propria Terra.

Il piano dell’opera

PRESENTAZIONI
INTRODUZIONE

I  IL CONTADINO, IL GARIBALDINO E LO STORICO
II  QUESTIONI DI TEMPO
III  PALEOLITICI OVVERO NOMADI
IV  VERSO LA SEDENTARIETÀ
V  I MESOLITICI, PRIMI UTILIZZATORI DELL’ALTA VIA
VI  FUOCO MESOLITICO
VII  LA PERDITA DELL’EDEN. LA FINE DEL MONDO

DEI CACCIATORI RACCOGLITORI

VIII  LA CONQUISTA DEL METALLO
IX  SULLA PRODUZIONE
X  FRECCE DA NON SCOCCARE
XI  IL PARADOSSO DELL’ARCHEOLOGIA APPENNINICA
XII  UNA MINIERA PREISTORICA
XIII  ALL’ORIGINE DELLA FAMIGLIA
XIV  DALLA PIETRA VERDE AL SISTEMA AGRO-SILVO-PASTORALE
XV  QUANTI PASTORI?
XVI  DEL SALE
XVII  NON SOLO CASTELLARI
XVIII  DELLE TRIBÙ

EPILOGO
APPENDICE I
APPENDICE II
APPENDICE III
APPENDICE IV

L’ORIGINE DELL’AGRICOLTURA
LE STELE DELLA LUNIGIANA
IL METODO DI DATAZIONE RADIOCARBONICA
DAL FUOCO ALL’INCENDIO 202

RINGRAZIAMENTI
POSTFAZIONE DI RENATA ALLEGRI 209

SITI CITATI NEL TESTO
BIBLIOGRAFIA

Castiglione Chiavarese, città metropolitana di Genova, Italia

Maissana, provincia della Spezia, Italia

Libiola, Sestri Levante, città metropolitana di Genova, Italia

Uscio, città metropolitana di Genova, Italia

Suvero, Rocchetta di Vara, provincia della Spezia, Italia

Finale Ligure, provincia di Savona, Italia

Ertola, Rezzoaglio, città metropolitana di Genova, Italia

Parc de Collserola - Can Carbonell, Sant Just Desvern, Provincia di Barcellona 08960, Spagna

Note di aggiornamento

2022.07.27

Un interessantissimo articolo sull’adozione di animali, in questo caso particolare la pecora dell’Engadina, per un intervento di recupero ambientale nel pieno rispetto della biodiversità

Immagine citata nel testo
Immagine citata nel testo

2022.08.05

Per inseguire il boom economico si erano perdute tantissime varietà autoctone di grano a favore di varietà modificate per ottenere produzioni più abbondanti e convenienti. Tutto questo a scapito della genuinità e della biodiversità siciliana.
Agricoltori siciliani, con una maggiore consapevolezza e amore per la propria terra, sono riusciti a riportare sul mercato molte varietà di grano autoctone dell’isola,

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