La Pianaccia di Suvero e la steatite

copertina

La Pianaccia di Suvero (Rocchetta Vara) in una vista risalente all’agosto 1984, epoca dei rilievi topografici, degli studi e delle campagne di scavoi da parte della Soprintendenza Archeologica della Liguria.

La Pianaccia di Suvero

La Pianaccia di Suvero è il cuore di quell’ampio territorio di grande suggestione archeologica, storica e geomorfologica che si estende nella media Val di Vara. In particolare, la regione fra Zignago e Rocchetta Vara (SP), presenta alcuni caratteri a se stanti, se non proprio atipici, rispetto a quello che è l’assetto morfologico più corrente della Liguria Orientale (DEL SOLDATO, 1989, p. 7).
L’area compresa fra il Monte Dragnone e Suvero-Goledo costituisce un ampio altopiano morfologico, delimitato da profonde incisioni vallive riferibili alla fase erosiva attuale (Figura 1, sn, Rilievo topografico eseguito mediante un Teodolite-Tacheometro della Filotecnica Ing. A. Salmoiragli & C. Milano, databile dall’ultimo decennio XIX-primo decennio XX sec. – M. Del Soldato). Tale assetto viene evidenziato sia dalla presenza di pianori quaternari, che dalle coperture sciolte che hanno colmato la conca di rio Casserola – Canale di Suvero, interposta fra tre macro-olistoliti serpentinitici.
Gran parte dei versanti più significativi (Monte Dragnone, Monte Civolaro, etc.) sono soggetti a profonda erosione e disfacimento. Da qui l’origine delle potenti coperture detritiche diffuse lungo le fasce altimetriche più elevate (Lo Piano, Casoni), dove sono rimaste imprigionate dalle strozzature morfologiche di Vezzola, di Pianaccia-Fontana e de Le Gruzze (Figura 8).
Tracce di piccoli invasi paludosi o lacustri, effimeri, caratterizzano (anche per l’epoca preistorica) alcune aree morfologicamente ricettive, poste in bordatura degli olistoliti maggiori. Ostacoli naturali che hanno rallentato il trasporto del materiale colluviale.
Traccia morfologica di tali bacini si ritrova nelle località Pianaccia-Pratomaggio, la Pineta e Gruzza di Veppo-Ghiacciarna.

Il sito della Pianaccia di Suvero

L’ampio terrazzo morfologico della Pianaccia di Suvero (Figura 1 dxFigura 2) è stato oggetto di raccolte di superficie e ricognizioni archeologiche già nel corso degli anni Settanta del secolo scorso. A queste prime indagini espedite dell’ISCUM di Genova è seguito l’intervento della Soprintendenza Archeologica della Liguria che, a partire dal 1981, ha condotto scavi sistematici nella parte nord-occidentale della Pianaccia. L’indagine si è sviluppata in sette campagne di scavo condotte fino al 1990 (MAGGI & DI DIO, 2009, p. 9). In Figura 3, Figura 4 e Figura 5 alcuni settori di scavo del 1983-1984.
A parte frequentazioni occasionali paleolitiche e mesolitiche, l’occupazione continua del sito è cominciata dal Neolitico Antico (ultimi secoli del V millennio b.C.). I gruppi dediti all’agricoltura (CAMPANA, GERVASINI, & ROSSI, p. 63) che si stanziarono sull’ampia superficie pianeggiante del terrazzo realizzarono una struttura tipo piattaforma, sistemando una grande quantità di massi e scampoli rocciosi eterodimensionali. Secondo MAGGI & DI DIO (2009, p. 11) questa …struttura richiama analoghe costruzioni messe in luce in vari siti dell’Età del Rame (Sion, Saint Martin del CorleansFigura 6-, Arano, Volturno-Tanzgasse, Sovizzo) sempre associati a statue stele… (MAGGI & DI DIO, 2009, p. 11, Figura 2; MAGGI, MACPHAIL, NISBET, & TISCORNIA, 1987).
Anche nel caso della Pianaccia di Suvero, è documentato il ritrovamento, nelle vicinanze, di due statue stele. La prima è stata rinvenuta nel 1827. Si tratta della cosiddetta Stele di Novà, la più occidentale del gruppo delle statue stele della Lunigiana. È, forse, la stele più nota poiché è quella che riporta su un fianco l’iscrizione mezunemunius in caratteri etruschi. La forma ultima del manufatto è da considerarsi un rimodellamento di riuso durante l’Età del Ferro, eseguito su un manufatto precedente (MAGGI & DI DIO, 2009, p. 11; ARMANINI, 2015, p. 328).
Il secondo ritrovamento è molto più recente. È avvenuto, infatti, nel 2011 e proprio ai margini della Pianaccia di Suvero.  È stato il classico ritrovamento fatto dal contadino mentre dissoda un suo terreno. In questo caso presso la località Molino Rotato. Si trattava solo di un frammento, o meglio, solo della testa semicircolare della statua stele.
Del ritrovamento fu informata l’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria che la prese in consegna per determinarne l’autenticità.

I corredi in steatite

Dopo l’abbandono del sito è documentata una seconda fase di frequentazione e di insediamento come atelier per la realizzazione di elementi ornamentali in steatite. Le datazioni al radiocarbonio attesterebbero quest’uso della Pianaccia di Suvero fra gli ultimi due secoli dell’età del Rame e l’Età del Bronzo (GERNONE E MAGGI, 1998, P. 96). Per altro questa nuova fase insediativa sarebbe coeva a situazioni di profonda erosione del terrazzo, che fu protetto con la realizzazione di una struttura muraria perimetrale (tarda Età del Rame).
Il corredo di reperti in steatite è molto numeroso. A parte una piccola quantità di manufatti ultimati, la maggior parte delle centinaia di reperti sono oggetti abbandonati a vari stadi di lavorazione o elementi che si sono rotti durante la lavorazione (Figura 7).

La durezza della steatite è molto bassa, circa 2,5-3,0 della scala di Mohs. Talvolta è indicata, erroneamente, pari a 1 della scala Mohs, confondendola con quella del talco. Di conseguenza poteva essere lavorata con facilità e con utensili molto semplici.
La prima operazione, successiva all’estrazione dall’affioramento, consisteva nella separazione di un frammento di dimensioni volute. Questo poteva avvenire per segmentazione da un nucleo maggiore (Figura 8, in alto a sn ed al centro). La modellazione o sgrossatura poteva avvenire per raschiamento di piccole lamine che lasciavano tracce fra loro sub-parallele e distanziate (Figura 8, in alto a dx). Ne risultava un primo abbozzo di forma sub-regolare.
La lavorazione successiva consisteva nell’abradere il frammento su superfici granulose più o meno grossolane (arenaria a grana grossa, grovacca, …). Le superfici rimanevano graffiate da fasci di tracce fini, fitte e rettilinee (Figura 7 in alto al centro). Successivamente era praticata una levigazione su superfici granulose fini (arenaria fine, slitte), Questa operazione aveva lo scopo di eliminare le tracce lasciate dalle fasi precedenti. A tale scopo erano sicuramente utilizzati i blocchi arenacei a superficie piatta, ritrovati nel deposito archeologico. In mancanza di analisi dirette su questi, se ne può ipotizzare una provenienza locale. Ad esempio dagli affioramenti di arenaria Macigno presenti sui crinali di confine con l’Emilia.
Infine la perlina o il vago, il disco o il pendente dovevano essere perforati. A seconda del metodo e dello strumento utilizzati rimaneva un foro conico, se operato da un solo lato, biconico se operata da ambedue le facce e fino all’incontro dei due fori (dischi). Il foro cilindrico si otteneva per successiva alesatura dei fori precedenti oppure per trapanazione (vaghi e pendagli ). Questa era l’operazione più delicata, che produceva il maggior numero di rotture (MAGGI, MACPHAIL, NISBET, & TISCORNIA, 1987, p. 29). E per questo veniva anticipata rispetto alla rifinitura finale del manufatto.

immagine nel testo

Schema cronostratigrafico dell’appilamento delle Unità presenti nel territorio compreso fra Zignago e Suvero (DEL SOLDATO, 1989).

Caratteristiche della steatite della Pianaccia di Suvero

Nella regione di Zignago-Suvero sono stati identificati numerosi affioramenti di steatite. Alcuni sono stati addirittura oggetto di permesso di ricerca e sfruttamento, molto recenti (DEL SOLDATO, 1989, e  Tabella 1).
Generalmente la steatite utilizzata per i manufatti appare di colore verdastro, da chiaro a scuro, ma anche rossastro o aranciato.
Come detto, la steatite è un materiale molto fragile, morbido e che tende a sfaldarsi facilmente. Per questo si lavora con facilità e strumenti molto semplici, ma consente la realizzazione di pochi ornamenti: i vaghi, soprattutto discoidali, oppure i pendagli in forma squadrata (Figura 8, in basso dx). Queste tipologie costituiscono un 80% circa delle forme raccolte alla Pianaccia di Suvero (GERNONE, P., 1998, p. 162). Per le forme più elaborate e complesse, come quelle orientali, bisognerà attendere tecniche e strumenti più raffinati.

Per la fase campaniforme si segnalano le numerose perline discoidali e cilindriche e alcune forme tipiche come il bottone conico a perforazione a “V” e bottoni riconducibili al tipo Montgomery.
Al Bronzo Medio invece si possono attribuire diversi manufatti che recano le usure inconfondibili dovute al bordo di una lama metallica usata con notevole perizia. Tra questi particolare menzione meritano i pendagli di forma per lo più trapezoidale, talvolta rettangolare a sezione spessa con perforazione laterale
… i dischi a sezione biconvessa e perforazione bionica (Figura 8, al centro in basso), che paiono diffondersi a partire dall’Età del Bronzo, le perle globulari. (GERNONE, P., 1998, p. 163)..

L’atelier di Suvero si caratterizza per la produzione di ornamenti raffinati e cio lo farebbe inserire in una rete commerciale importante. Al contrario, la ridotta produzione della Valle Lagorara appare di minor pregio, anche per la scadente qualità della materia prima (Figura 10). Di conseguenza, questa sarebbe circoscritta ad un utilizzo ristretto a quella della comunità locale.

La steatite della Pianaccia di Suvero nella sequenza crono-stratigrafica

Nella regione di Suvero-Zignago sono presenti quattro Unità Tettoniche. A cominciare dal basso  si distinguono (Figura centrale):

  • la Falda Toscana, rappresentata dall’Arenaria Macigno oligocenica con il suo Membro Siltitico (TREVES, B., & ANDREANI, 1984);
  • l’Unità di Canetolo, costituita dalla sequenza delle Argille e Calcari (Paleocene) intercalata con l’orizzonte delle Arenarie di Ponte Bratica (Eocene Sup.-Miocene) e due membri, quello delle arenarie Petrignacola e quello dei calcari di Groppo del Vescovo (ELTER & RAGGI, 1965);
  • l’Unità di Monte Caio, costituita, a cominciare dal basso, dal Membro delle Brecce Poligeniche, dalle Arenarie di Casanova (MONTEFORTI & RAGGI, 1975)(TREVES, B., & ANDREANI, 1984) e dal Flysch di Monte Caio con il suo Membro della Ghiacciarna; quest’ultimo con grossi olistoliti serpentinitici. La facies più diffusa delle Brecce Poligeniche è costituita da abbondante matrice argillitica grigio-scura con clasti eterogenei: micriti chiare, calcari marnosi e, in subordine, diaspri, basalti, serpentiniti e graniti. Nelle presenze ofiolitiche compaiono anche clasti di selce e frammenti di steatite;
  • l’Unità del Bracco, rappresentata dalla sequenza ofiolitica classica (qui limitata, a serpentiniti, gabbri e brecce di gabbro) e dalla relativa copertura sedimentaria (Formazione dei Diaspri e Formazione delle Argille a Palombini).

La caratteristica peculiare della zona è la presenza degli enormi olistoliti che hanno disturbato la sedimentazione del Flysch di Monte Caio. In realtà sono costituiti da peridotiti di tipo lherzolitico con rari livelli harzburgitici e dunitici e con frequenti bande pirossenitiche (Le Gruzze e Monte Castellaro – Figura 9). La serpentinizzazione è più spinta al Monte Dragnone. Agli olistoliti si associano i clasti ofiolitici e granitici presenti sia nelle torbide che come brecce pebbly mudstones.
Gli olistoliti sono generalmente accompagnati da livelli di brecce e rappresentano slittamenti di grosse masse entro bacini di sedimentazione delle formazioni flyschoidi in fase di deposizione (PASSERINI, 1965).

La steatite in Liguria Orientale

La steatite si trova abbastanza diffusamente in corrispondenza dei domini ofiolitici della Liguria Orientale. È presente in piccoli o modesti adunamenti e, con maggior frequenza, sotto forma di spalmature o nel riempimento di fratture e fessure (Figura 10).
In letteratura, è stata segnalata lungo la fascia costiera fra Bonassola e Levanto (BARELLI, 1835), a Varese Ligure (BARELLI, 1835), a Monte Loreto, in prossimità del filone che ha fornito i fortuiti ritrovamenti d’oro ottocenteschi e presso Tavarone (JERVIS, 1874), in località U Péou di  Tavarone ed a Torza (MAGGI & COLELLA, 1987, p. 37), a Pian di Casale, a Casarza Ligure, a Bargone, a Massasco ed a Reppia (ISSEL, 1892), etc.
Occasionalmente sono ricordate, nella cultura materiale, anche piccole possibili presenze più consistenti ed oggetto di ricerca e parziale coltivazione recente. Così durante la seconda metà del secolo scorso questi giacimenti, o presunti tali, sono stati oggetto di numerosi permessi di ricerca culminati, solo in qualche sporadico caso, in modeste quanto occasionali estrazioni (Tabella 1).
La verifica sul terreno delle aree indiziate dai Permessi di Ricerca aveva evidenziato che questi delimitavano aree caratterizzate da presenza di ofioliti, arenarie (di differenti Unità) e delle indiziate Brecce Poligeniche. In questa sequenza litologica, la steatite è stata reperita spesso in forma di clasti nelle brecce (Figura centrale).
Una piccola cava di steatite, ormai completamente spogliata, è stata individuata a monte della strada Zignago-Suvero.
In conclusione, la suscettibilità di approvvigionamento della steatite nella regione circostante la Pianaccia di Suvero era possibile sia in corrispondenza degli affioramenti ofiolitici (spalmature, noduli o sotto forma di riempimento delle fratture) che di Brecce Poligeniche (clasti). Al contrario, la fragilità caratteristica della steatite porta ad escludersi l’occasionale reperimento di frammenti o noduli in giacitura secondaria, negli alvei torrentizi.

Bibliografia

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