Il Macramé. Appunti su un’eccellenza ligure (II)

Copertina

Copertina – Anche in una povera vecchia casa popolare di Lavagna, abbandonata da decenni, sopravvive il ricordo della tradizione dei pizzi e dei merletti in macramé…

Reading Time: 17 minutes

Usi e ricordi di teli e macramé nelle case

Tessuti e continaggi con frange abbondavano nelle abitazioni (frixiati), trapunti in argento, con smerli. Il tutto era molto moresco. Infatti, troviamo le parole morescha e domaschina usate per decorazioni varie su coperte e tovaglie (toage).
Il termine lintiamina, sempre di lino, non si riferisce al solo lenzuolo. Chi scrive ricorda che la nonna accennava alla Lintima a proposito di un telo che si frapponeva fra il materasso e il lenzuolo. Esisteva anche l’usanza di un grande telo, appeso al muro, a mo’ di asciugamano di gala. Siamo, probabilmente, in camera da letto dove risponde ad un’usanza orientale. Ma è simile al macramé, come notiamo nell’Annunciazione del pregevole affresco in Santa Maria di Castello a Genova (Figura 28).
Il macramé abbonda nell’intimo delle case nobili o meno nobili. I pizzi a nodi si potrebbero definire ricami dell’anima, dell’interiore, della personalità di ciascun individuo, dove albergano strati di vita ordinata, di buoni sentimenti, senza intoppi, alternata da nodi che paiono senza fine, ma che all’improvviso si sciolgono in frange di meravigliosa bellezza.
L’arte dei nodi si dipana nei secoli…  
Pezzotti decorati a macramé li troviamo sul capo, puntati quasi sulla fronte delle signore Figura 5, Figura 8 e Figura 21). Nella Pala di Ludovico BREA, sempre in sua Santa Maria di Castello (1513), li troviamo anche senza decori. In capo ad alcune Dame raffigurate in quelle splendida opera.
Nel 1700, li troviamo riccamente traforati (Figura 74, Figura 75, Figura 76 e Figura 77), anche attorno al capo, come turbanti. Passeranno poi nel dimenticatoio.

La tradizione chiavarese del macramé

Sicuramente i draperi chiavaresi esercitavano il loro mestiere vendendo tra Genova e Napoli, con una fittissima rete commerciale. Rete che si estendeva anche con l’estero.
Erano panni arbaxii o arbasini, fatti con un filato misto di cotone e canapa, usati generalmente in casa. Oppure erano teli di lino damascati per tovaglieria pregiata, spesso decorata a macramé.
L’importanza di Chiavari era dovuta, soprattutto, alla sua posizione geografica.
Posta nel Tigullio, era il centro costiero baricentrico. Dal medioevo posto sulla via Aurelia, si trovava alla confluenza delle direttive per l’entroterra appenninico e metteva in comunicazione il Nord ed il Sud. E il mare fungeva da punto di congiunzione dove tutto arrivava e tutto partiva.
Questa direttiva comprendeva circa 60 miglia e passava attraverso la Valle Sturla, Santo Stefano d’Aveto e Bobbio, proseguendo poi per Piacenza e Cremona.
La strada della Lombardia era la direttiva dei commercianti che, a dorso di mulo, trasportavano le pezze di lino dalla Val Padana a Chiavari. Venne interrotta solo per un certo periodo a causa dei forti dazi doganali, ma siamo nel 1819.
I Chiavaresi si rivolgono quindi oltremare. Arrivava il lino egiziano che era scaricato dai bastimenti a Livorno. Ma pare che già molto temo prima il lino fosse scambiato con l’olio ligure  e …sulla spiaggi di Chiavari, si fa un continuo deposito di olii fini…
Sicuramente, ed in ogni epoca, la produzione del filato di lino e delle pezze di lino chiavaresi (Figura 78), superava di gran lunga quella genovese, per l’ottima qualità dei prodotti.
Ad esempio, nel 1811, il Presidente della Società Economica (fondata nel 1791), Bernardo SANGUINETI, attestava la continuità di un’antichissimo e pregiato commercio di lini ad …ogn’uso che navigano con fortuna, e dalla Toscana alla Corsica, verso Malta, Sardegna e Spagna

Un’attività artigianale diffusa

Tuttavia, la nostra lavorazione era rimasta allo stato primitivo, mentre sia gli Inglesi che i Tedeschi avevano attivato una produzione su larga scala e molto tecnica.
La manodopera nostrana si disperde.
Nel 1747, a Chiavari, i lavoratori erano stimati in circa 40.000, sparsi in ogni piccolo paesino dell’entroterra. Si trattava, per lo più di donne (come per la seta) definite miserabili abitatrici d’aspre e lontane montagne.
Povere donne, le filatrici, la cui giornata era dedicata alla pastorizia o all’agricoltura, ruvide come lo è la Liguria. Quindi, si adattavano a filare nelle fredde giornate invernali, in stalle appena riscaldate dagli animali, al lume di qualche candela o, più in genere, del focolare.
La concorrenza con Genova era per il basso costo della manodopera che veniva remunerata in natura e con i limiti posti dalla Rivoluzione Industriale.
Ovvio, quindi, che la politica spingesse per continuare con questo lavoro che aveva caratterizzato un territorio agricolo e arcaico, cercando di evolverlo in modo più moderno.
Si andava alla ricerca di nuovi metodi di lavorazione, come per altre arti quali la ceramica, l’ebanisteria, la seta.
Un esempio per tutti: la sbiancatura del lino, qui particolarmente interessante per la presenza delle miniere di manganese (ma questa sarà un’altra storia che viene da lontano…).
Nonostante diversi tentativi non era ancora stato introdotto il telaio JAQUARD. Così nel 1872 fu provato un nuovo lancio, con un premio, alla riuscita dell’imprenditoria. E, infine verso la fine del secolo, con un opificio per la tessitura del lino. Sarà quello di Michele SOLARI a Sestri Levante ad operare tale soluzione.
Per tutto l’Ottocento, comunque, la filatura, la tessitura e la sbiancatura del lino ha continuato a praticarsi fra le mura domestiche di povera gente. Una cultura tramandata da secoli e poco considerata.

Immagine citata nel testo

Figura 17 – Fusello, in avorio, utilizzato dalle merlettaie chiavaresi (Collezione e foto dell’Autrice)

Le merlettaie chiavatesi, nuovi punti e mercati

Così, come avvenuto per la seta, più il tempo passava e più il mercato si rivolgeva alla sola borghesia che comperava a qualunque prezzo, anche a causa dell’agguerrita concorrenza straniera.
Mutava anche la lavorazione per adeguarsi ai tempi e alle mode. E le merlettaie chiavaresi fecero ricorso ad un punto moderno basato su intrecci di nodi più semplici e di rapida esecuzione. Un’alternativa al punto orientaleggiante antico  anche in funzione di una migliore produzione. Inoltre, si riunirono in una forma di accentramento similcapitalistico della produzione.

Solitamente erano lavoratrici casalinghe che smerciavano in proprio, ma cominciarono a rivolgersi ad alcuni commercianti. Questi, consegnavano la materia prima e le donne dovevano lavorarla in cambio di un compenso pattuito in precedenza. Bernardo REPETTO, Francesco DELLA TORRE e Colomba CAFFARELLO BIGGIO (la madre di Nino BIXIO) furono alcuni di questi impresari.
Con la vendita del macramé realizzarono un circuito redditizio. Rafforzarono la produzione e la vendita in ogni parte d’Italia, sia con lo smercio all’ingrosso che al minuto dei prodotti lavorati. 

L’Istituto del macramé RIVAROLA

Successivamente nacque l’istituto del macramé RIVAROLA, a cavallo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, ponendolo nell’ospizio di carità e lavoro. Lo scopo fu di …accogliere ragazze orfane, prive di sostentamento, per l’avvio ad un lavoro indipendente… un pò come per le Fieschine.
In un primo tempo furono ospitate presso locali nella stessa proprietà RIVAROLA. Poi, l’architetto PRATI, trovò una struttura atta ad ospitare le ragazze presso il Lido. Ma successivamente, seguite dalle suore Giannelline, occupano un vasto immobile annesso alla chiesa di Santa Croce dei Cappuccini sul Colle di Genzole,
un tempo di proprietà di questi frati.
Per tutto l’Ottocento questo sarà il punto d’eccellenza per la produzione del macramè di tutta la zona. Le ragazze ricevevano in cambio vitto e alloggio oltre ad una parte del ricavo dai prodotti venduti e da loro creati. allo stesso modo avveniva per gli istituti di Brella e di Fagagna o per quello delle sorelle MAURIZIO a Vicosoprano. Molti altri enti religiosi, visti i notevoli guadagni emergenti da quest’arte sia di Chiavari (Figura 29, Figura 30, Figura 31, Figura 32 e Figura 33) che di Lavagna, produssero rilevanti e preziosi manufatti come gli asciugamani con pizzo e nodi (Figura 2, Figura 34, Figura 35 e Figura 36). Tuttavia, continuava anche il lavoro domestico. Tutta questa attività restò in vita sino al diciannovesimo secolo considerando che le lenzuola (Figura 19 e Figura 20) e gli asciugamani (Figura 2) costituivano il corredo anche per gli uomini del ceto medio.

Maria CHIAPPE e il macramé

Maria CHIAPPE ha contribuito notevolmente, sino agli anni 60 del secolo scorso, a risollevare le sorti di questa attività nel chiavarese, fino a diventare una figura leggendaria.
Maria era nata a Chiavari nel 1898 da una famiglia di tradizione lavorativa. Nello specifico rivede e perfeziona, nella sua grande esperienza, i punti ed i nodi.
Nel dopoguerra si è dedicata al recupero di questa tecnica tanto amata approfondendo punti e decori. Lo faceva anche presso antiche famiglie, o con ricerche nel mondo islamico, considerando questa arte di fare nodi proveniente proprio da quelle tradizioni.
Maria CHIAPPE ritrovò una notevole quantità di punti antichi. Rinnovò la tecnica e creò uno stupendo repertorio utile anche oltre ai consueti asciugamani. Produsse anche copri-sedie, vasi, portalampade, fazzoletti, scarpe, tovaglie e tovaglioli, nonché indumenti vari e cifre per biancheria.
Il lino da lei lavorato aveva il valore di una vera opera d’arte. E quest’arte continua ancora, seppure con minore produzione, sino ai giorni nostri.
Le testimonianze iconografiche del pizzo a nodi sono assai più difficilmente rintracciabili rispetto a quelle (Figura 24, Figura 25 e Figura 26), numerosissime, che documentano l’uso e la diffusione degli altri tipi di pizzo. Infatti, la ritrattistica aulica in questo caso non è assolutamente utilizzabile come fonte, mentre occorre indirizzare la ricerca verso un tipo di pittura in cui siano indagati realisticamente tutti gli aspetti della vita quotidiana… (LUNGHI e PESSA, 1996).

Continua…

Burano, Venezia, città metropolitana di Venezia, Italia Lorsica, città metropolitana di Genova, Italia Zoagli, città metropolitana di Genova, Italia Paraggi, Santa Margherita Ligure, città metropolitana di Genova, Italia Noceto, Ne, città metropolitana di Genova, Italia San Massimo, Rapallo, città metropolitana di Genova, Italia Via San Michele Di Pagana, 16035 Rapallo città metropolitana di Genova, Italia Roccatagliata, Neirone, città metropolitana di Genova, Italia

Galleria Voltri Ovest - Progetto Gronda Di Genova - A10, 16158 Genova città metropolitana di Genova, Italia

Genova, città metropolitana di Genova, Italia Vicosoprano, Rezzoaglio, città metropolitana di Genova, Italia Cremona, provincia di Cremona, Italia Piacenza, provincia di Piacenza, Italia Bobbio, provincia di Piacenza, Italia Santo Stefano d'Aveto, città metropolitana di Genova, Italia Borgonovo, Mezzanego, città metropolitana di Genova, Italia Chiavari, città metropolitana di Genova, Italia Portofino, città metropolitana di Genova, Italia Santa Margherita Ligure, città metropolitana di Genova, Italia Rapallo, città metropolitana di Genova, Italia

Bibliografia

AA.VV. (1982 – 25 febbraio-31 marzo). Dal privato al pubblico. Catalogo della Mostra di tessuti e merletti antichi donati al Museo Luxoro. Genova: Comune di Genva. Assessorato Servizi Culturali.
LUNGHI, M., e PESSA, L. (1996). Macramè. L’arte del pizzo a nodi nei paesi mediterranei. Genova: SAGEP.
NICOLINI, F. (1978). Tessitura Artistica nel Genovesato e nella Liguria Italiana (dal Secolo XV al Secolo XIX). Genova – Savona: Editrice Liguria.
PARMA ARMANI, E. (1990). Il Museo del Pizzo al tombolo di Rapallo. La manifattura Mario ZENNARO 1908-1968. (E. PARMA ARMANI, A cura di) Genova: SAGEP.

Ed inoltre, relativamente al territorio spezzino:
SPAGIARI P. (1990). Costumi femminili della Liguria occidentale. In DAVANZO POLI D. (a cura di) Il merletto nel Folklore Italiano.

Sotto l’alto patrocino del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Consorzio Merletti di Burano,1990
SPAGIARI P. (2005). La canapa nell’abbigliamento popolare ligure. La collezione Podenzana del Museo Civico Etnografico U.Formentini alla Spezia. In PONI C. e FRONZONI S. (a cura di ) Una Fibra versatile dal Medioevo al Novecento. Istituzione Villa Smeraldi, Bologna,2005.

Rispondi