L’isola del Tino, l’isola di San Venerio: fragilità geologica ed archeologica

copertina

Copertina: l’isola del Tino, un’isola di suggestione religiosa, archeologica ed ambientale, nel riverbero del controluce.

La geologia dell’isola del Tino

Le isole del Tino e del Tinetto costituiscono la parte terminale del Promontorio Occidentale del Golfo della Spezia. Sono anche il culmine dell’affioramento carbonatico triassico noto in letteratura geologica come la Lama della Spezia (Figura 1). Questa lunga sequenza carbonatica e carsica inizia da Cassana, poco prima di Pignone, e si protrae con continuità fino allo scoglio del Tinetto.
Il motivo strutturale che ricorre lungo tutto il promontorio è un’ampia anticlinale coricata con vergenza tirrenica. Si tratta di un’ampia piega convessa verso l’alto, che trattiene i terreni più antichi al nucleo e tende ad immergersi verso il mare aperto.
La serie triassica che costituisce l’ossatura delle isole, rappresenta il nucleo della piega nonché la porzione più antica del promontorio.
È evidente come questa struttura abbia condizionato la consistenza del paesaggio.
La sequenza dei terreni è molto varia, complessa ed articolata, ma sui due isolotti del Tino e del Tinetto gli affioramenti sono limitati alla presenza:

– dei Calcari di Portovenere (lungo la falesia, al di sopra della linea rossa in Figura 2) costituiti da strati di calcari grigio-neri alla frattura fresca che degenerano in tonalità grigio-chiare dopo esposizione agli agenti atmosferici; lo spessore medio degli strati si attesta sui 10 cm e sono alternati a presenze francamente marnose o dolomitiche;
– e della Dolomia Saccaroide (a livello del mare, sotto la linea rossa di Figura 2) costituita da banchi di dolomia secondaria e di Portoro.

Le fragilità dell’isola del Tino

La carta geologica di dettaglio, a scala 1:5000, in Figura 3 è derivata da DEL SOLDATO M. (1995).
Il rilevamento geologico-strutturale evidenzia che le principali problematiche che interessano l’isola sono due.
La prima interessa il corpo detritico sul quale è stata realizzata la strada di accesso al faro e parte della vecchia caserma militare (Figura 4, Figura 5 e Figura 6). 
Molto più grave ed incisiva è invece la seconda criticità che interessa il complesso monumentale.
Questa è una situazione piuttosto complessa.
È il risultato della concomitanza di più  fattori, fra i quali la tettonica e l’andamento generale della giacitura degli strati. La tendenza è quella con rapporto strati/versante di franapoggio diretto verso est, com’è evidente in Figura 7. Gli strati di roccia della sottile striscia di Dolomia Secondaria, che si trova alla base della falesia, e quelli soprastanti dei Calcari di Portovenere, sprofondano concordemente in mare (Figura 8).

La struttura sommersa del Tino

Negli anni Novanta del secolo scorso è stata eseguita un’indagine subacquea per confermare l’esistenza o meno di un basamento lapideo comune alle due isole.  In realtà, esse costituiscono due estremità emergenti (horst), separate da un canale (graben) con gli accessi orientati ad est e ad ovest (Figura 9). Sono alti e bassi strutturali, delimitati da linee tettoniche (faglie).
In direzione est il fondale fra il Tino ed il Tinetto appare roccioso. È ricoperto da ciottoli, massi e blocchi anche di grandi dimensioni, provenienti da crolli dalla falesia sud del Tino (Figura 10, Figura 11).
Dove manca la copertura detritica, spiccano ed emergono distintamente dal fondale le testate dei banchi calcarei, probabilmente riferibili alla Dolomia Secondaria (Figura 12).
Le documentazioni fotografiche dell’epoca (Figura 10, Figura 11 e Figura 12) sembrano confermare l’immersione degli strati in direzione ovest, in palese contrasto con l’andamento degli affioramenti emersi dove la tendenza generale è quella dell’immersione verso est.
Procedendo dal Tino verso lo scoglio intermedio maggiore, emergente, il fondale tende a risalire da -6 m a -1 m. Lungo l’allineamento sono stati identificati due grossi massi che si elevano fino a -3 m dal l.m.m. Tali blocchi sembrano doversi relazionare a fenomeni di crollo avvenuti in corrispondenza della falesia della parete sud dell’isola del Tino.

Il fondale fra le due isole si presenta sub-pianeggiante, a profondità media di circa 6 m dal pelo libero dell’acqua e lievemente inclinato verso ovest dove all’altezza del Tino è stato misurato il massimo di profondità (- 9 m).

immagine nel testo

FIGURA 9 – Sezione geologica e strutturale attraverso le isole del Tino e del Tinetto (orientata circa N-S).

Le criticità dell’area archeologica

L’area monumentale si trova soggetta ad una serie di criticità geologiche. Forse ci potremmo chiedere per quale motivo è stata realizzata e poi ampliata in quel preciso sito, con quelle condizioni ambientali.
Il motivo è certo più forte, importante e condizionante (clicca qui) del semplice concetto di buona costruzione.
Ad ogni modo, oggi ci troviamo ad affrontare una situazione critica che, per altro, non pare sia di facile soluzione. Sia ben chiaro, non dal punto di vista tecnico, ma per motivi diversi, di competenza, di disponibilità economica, ….

Dal punto di vista geologico l’area monumentale si trova soggetta ai risentimenti di:
– giacitura degli strati a franapoggio:
– un contatto litologico qui sottolineato dal diverso spessore degli strati (Figura 13);
– una linea tettonica importante (Figura 3);
– intensa fratturazione della roccia che, connessa alla giacitura a franapoggio, innesca crolli continui di blocchi e spezzoni di strato (Figura 14, Figura 15 e Figura 16);
– fenomeni di pseudocarsismo;
– una costa alta;
– piani di fondazione disomogenei e/o fortemente inclinati dei diversi edifici: ad esempio quello del chiostro medievale (Figura 17, sn), del refettorio e della Cappella olivetana rinascimentale (Figura 17, dx);
– la continua azione battente e dirompente del mare.
Le conseguenze si sono manifestate con forme di dissesto che hanno interessato le strutture più esterne, orientali, quelle a ridosso degli strati immergenti a est (numeri 1, 2 e 8 nella Figura 18) e quelle più prossime al bordo della falesia.
L’instabilità si è poi propagata risalendo il versante.

…I resti più controversi rinvenuti al Tino sono costituiti dall’abside di una chiesetta in parte fondata in roccia (…) vale la pena ricordare nuovamente «l’estrema instabilità geologica del sito» che ha causato, nel tempo, frane, e cedimenti di piccole cavità sotterranee, originando crolli, scollamenti delle murature, traslazione e rotazione delle stesse anche a livello delle fondazioni (Cimaschi, 1963)…

Oggi, una nuova fase storica di abbandono.
E contemporaneamente di riconquista della vegetazione.
Una ripresa di possesso degli spazi, ma anche delle fessure nei muretti a secco e, peggio, di quelle nei monumenti…
La nuova fase di oblio che nasconde tutto… ma che non conserva.

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