Il patrimonio di San Venerio del Tino in Corsica: le chiese perdute

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Copertina: i resti del monastero benedettino di San Venerio e la posteriore cappella olivetana

Dall’isola del Tino

Pochi anni dopo il 1050 veniva fondato  sull’isola del Tino (Tyrus), parte dell’arcipelago di Portovenere, il monastero dedicato a Santa Maria e San Venerio, un eremita che lì avrebbe vissuto fra il V e VI secolo (Figura 1). Si univa così la tradizione eremitica insulare, testimoniata in molte isole del Mar Ligure e Tirreno, con il nuovo lievito del monachesimo benedettino, sostenuto dalla riforma religiosa. Promotori della fondazione del cenobio erano stati prima i marchesi Obertenghi, poi signori locali, come i da Vezzano, che avevano con donazioni di terre, servi, cappelle creato un ricco patrimonio monastico.

La legenda di San Venerio

Nella legenda di san Venerio, parte che si ritiene aggiunta posteriormente, si narra anche di una fuga in Corsica dell’eremita che, per i miracoli compiuti, era assillato continuamente dai fedeli. Sarebbe tornato al Tino solo al momento della morte, avvenuta in solitudine, ed il suo corpo sarebbe stato sepolto dagli angeli, finché un vescovo, avvisato da un sogno, non gli avrebbe dato una più degna sepoltura in una chiesa appositamente edificata. Proprio su questo luogo santo sarebbe sorto poi il monastero (Figura 2).

Il patrimonio corso

Il patrimonio in Corsica di San Venerio del Tino, terre e cappelle,  si creò a partire dagli ultimi decenni del secolo XI, tramite le consuete donazioni di patroni, i marchesi Obertenghi, o di domini locali ad essi legati, come i da Pino o Pinaschi. I fondi monastici corsi erano dislocati prevalentemente nella Balagna.  Le due chiese di San Niccolò e Sant’Ambrogio di Spano sono  poste presso un’insenatura sul mare, con un approdo che serviva i piccoli commerci (Figura 3). Rimangono resti dell’abside e del perimetro solo della prima, di modeste dimensioni, ad una sola navata (Figura 4).
Le altre cappelle sono poste su rilievi. Erano in origine collegate a proprietà fondiarie e a piccoli nuclei abitativi medievali limitrofi, spesso nati durante l’abbandono delle coste davanti al pericolo saraceno. poi scomparsi a vantaggio di agglomerati anche fortificati. 
Su speroni delle colline sottostanti Belgodere si trovano i resti di tre chiese: San Gavino de Mala (Figura 5),  San Tommaso de Liocho e San Marcello. Di quest’ultime due sono stati rinvenuti soltanto dati toponomastici, catastali e conci lavorati reimpiegati in altre costruzioni, ad opera di un’appassionata studiosa corsa, M.me Geneviève MORACCHINI MAZEL. Di San Gavino ella ha potuto ricostruire almeno la pianta, con tracce di una chiesa anteriore (Figura 5).

La chiesa di San Quilico, oggi detta di Bisinchi, comune situato a 600 metri sulle pendici della riva destra del Golo, a pochi chilometri dal castello di Rostino, è quella meglio conservata (Figura. 6). Si trova a oltre 700 metri di altitudine, su un pianoro che sovrasta l’attuale villaggio. 

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Figura 5 – Resti e ricostruzione della pianta della chiesa di San Gavino (rielaborazione da MORACCHINI MAZEL)

L’ultima donazione

Infine nel 1080 il marchese obertengo Alberto Rufo, del fu Alberto, con la moglie Giulitta donò al monastero di San Venerio del Tino, per l’anima del padre e per il fratello Ugo, la corte di Frasso con tutti i beni e i servi pertinenti.  La curtis era un terreno produttivo con edifici abitativi e talvolta anche la dimora signorile. Il toponimo Frasso è frequente in Corsica e questo ha creato diverse proposte di identificazione della località. 
Le motivazioni di queste donazioni di beni corsi al monastero del Tino  (e anche ad altri quattro cenobi italiani, insulari e di terraferma),  come di quelle nel territorio lunigianese, sono religiosi (pro remedio animae), ma anche politici. È un momento storico che vede i pontefici (la Corsica era parte del Patrimonium Petri) operare fra le brame di espansione nell’isola da parte di Pisa e Genova, oltre che col potere dei marchesi Obertenghi (Figura 7).

L’epilogo e la dominazione fra Pisa e Genova

All’influenza artistica di Pisa vengono riferite le molte fondazioni (o anche ricostruzioni) di chiese in stile romanico. Nel 1092, con l’elezione ad arcivescovado da parte del pontefice Urbano II, Pisa aveva avuto poteri metropolitani sulla Corsica. Nel 1133, divenuta anche Genova arcivescovado, le diocesi corse furono divise fra le due città.

Una storia affascinante

Queste chiese, ormai ruinate e lontane dalle strade, sono state riportate alla memoria da M.me Geneviève MORACCHINI MAZEL (1926-2014), che 60 anni fa cominciò a percorrere tutta l’isola per rintracciare e schedare il patrimonio di chiese romaniche e preromaniche.  I tre cospicui volumi di M.me MAZEL, gli articoli sulla rivista Cahiers Corsica e il più sintetico Corse romane, nella collana  Zodiaque, rimangono fondamentali. Amava inoltre guidarti a visitare le rovine visibili, spesso perdute nella brughiera.
M.me MAZEL, come presidente della Fédération d’associations et groupements pour les études corses (FAGEC), ha anche collaborato con la Sezione Lunense dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, ed ha  visitato, insieme alla sua Associazione, alcuni dei siti archeologici o monumentali dell’antica Diocesi di Luni.

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Bibliografia

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