L’alabastro, o meglio le concrezioni che si formano dall’attività carsica, sono state da sempre oggetto di ricerca, estrazione ed utilizzo un po’ ovunque. Anche nelle grotte più note e famose non mancano, spesso, camere di asportazione delle concrezioni che, ridotte in lastre abbastanza sottili da essere traslucide, erano destinate ad utilizzo ornamentale.
A questa “logica” non è sfuggita la Grotta Grande di Pignone (SP). Qui, già dal XVII secolo erano state notate e attenzionate, a scopo estrattivo e ornamentale, le sue concrezioni. Ma è dall’Ottocento e fino al 1955 che si hanno notizie certe della loro estrazione e commercializzazione.
Certo una risorsa per il paese di Pignone, soprattutto nel Dopoguerra, ma l’alienazione di un patrimonio naturale la cui rigenerazione potrà attendersi solo in tempi geologici.
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La Grotta dell’Orso di Cassana (Borghetto Vara) è la caverna ossifera che ha dato il primo ritrovamento in Italia. È il 1824 quando sono raccolti i primi resti fossili di un Ursus spelaeus. In precedenza ci sono rare notizie di ritrovamenti entro grotte. La prima descrizione scritta è della metà del settecento, pubblicata postuma, e si riferisce ai ritrovamenti di resti animali, soprattutto marini, fatti in Germania.