Le fusaiole litiche della necropoli di Cafaggio (Ameglia)

copertina

Copertina – Alcune tombe della necropoli dell’Età del Ferro di Cafaggio (Ameglia, La Spezia) dalla quale provengono le fusaiole litiche studiate.

Le fusaiole: oggetti d’uso e di prestigio

Le fusaiole sono piccoli oggetti di forma generalmente conica o biconica dotate di foro assiale, anch’esso conico, bionico o cilindrico. Queste sono le forme prevalenti e più diffuse, ma non mancano forme cilindriche, globulari, etc..
Le fusaiole sono interpretate come accessori della filatura. In realtà esistono altre ipotesi sulla loro funzione (DI FRAIA, s.d.,p. 2 e 3). Ma nessuna alternativa appare verosimile.
Il processo della filatura e la funzione della fusaiola sono descritti già da Catullo ed Ovidio. Ed ancora, sono illustrati su bassorilievi dell’ VIII-VI sec. a.C. (la filatrice del Louvre) o su vasi greci del VI-V sec. a.C. (ad esempio il vaso di Amasis del British Museum).
Una certa quantità di lana cardata (pennecchio) veniva avvolta su un bastone leggero (conocchia) tenuto dalla filatrice nella mano sinistra; essa iniziava a tirare e ad attorcigliare le prime fibre, che venivano fissate ad un’asticella ispessita al centro o rastremata verso una delle due estremità (fuso), generalmente di legno, su cui era infilato nella parte inferiore un elemento forato (fusaiola); era così possibile continuare a tirare e torcere le altre fibre, che, grazie all’azione rotatoria che veniva impressa al fuso, appesantito dalla fusaiola, che fungeva quindi da contrappeso e da volano, venivano allungate ed intrecciate, trasformandosi in filo. La filatrice poteva aiutarsi nel suo lavoro torcendo le fibre su una gamba oppure inumidendole o liberandole da eventuali grumi con la bocca… (TARPINI, 2001, p. 38).
Una curiosità: la fusaiola più diffusa, quella troncoconica, era inserita nel fuso con la base minore del tronco di cono rivolta verso il basso. Tuttavia, nelle pubblicazioni e nei cataloghi è stata da sempre rappresentata al contrario e cioè con la base maggiore in basso. L’unica eccezione è LIPKIN (2008) che le rappresenta come in opera durante la filatura.

L’uso delle fusaiole

L’uso delle fusaiole è documentato, in archeologia, dal Neolitico (LEONARDI, 2011, p. 339). Ma è dall’Età del Bronzo che si diffonde in maniera esponenziale, differenziandosi anche nelle forme e, talvolta, nei materiali.
Nella maggior parte dei casi le fusaiole sono in ceramica o terracotta (BERNABO’ BREA, BINCHI e LINCETTO, p. 111). Si conoscono, però, rare fusaiole in bronzo, in legno, in osso ed in pietra (come nel caso della nostra storia). Molto rari sono i casi di fusaiole in pasta vitrea che, per la loro fragilità e preziosità, avevano solo un significato commemorativo ad uso delle sepolture.
Le dimensioni, la forma ed il materiale col quale erano realizzate le fusaiole, aveva influenza fondamentale sulla meccanica di rotazione del fuso. Sono tutti parametri direttamente correlati al peso della fusaiola. …Sostanzialmente, quando il peso del fuso è maggiore, il moto rotatorio dura più a lungo e, allo stesso tempo, la rotazione risulta debole; questo peso è adatto per fibre grossolane e lunghe… (CUTAIA, 2013-2014, p. 76).
Il peso massimo delle fusaiole, attestato su base etnografica è di 140/150 gr (BIANCHI, p. 610), ma compreso fra 9 e 24 gr. nel caso delle fusaiole di steatite di Cafaggio.
Un’osservazione diagnostica importante è che l’utilizzo continuo del manufatto ne danneggia, seppure in maniera limitata, il foro centrale ed i suoi bordi. L’inserimento del fuso e di eventuali frammenti vari o piccole zeppe per bloccarla, sono suscettibili di abradere le pareti del foro e delle superfici. Carole CHEVAL (DI FRAIA, p. 4) sostiene che l’inserimento di fibre vegetali, cavicchioli o frammenti lignei per bloccare la fusaiola sul fuso lasciano abrasioni significative e specifiche. L’Autrice ha studiatio le fusaiole fittili, ma come vedremo questo vale anche per quelle litiche. Le abrasioni lasciate dal fuso sono completamente differenti da quelle lasciate dalle piccole zeppe o da schegge di legno. Ed anche queste sono tracce completamente differenti da quelle prodotte dal filo sui vaghi delle collane indossate per lungo tempo.
Nel caso dell’inserimento del fuso si produrranno microdistacchi (Figura 1) di frammenti e/o schegge litiche (o fittili). Nel caso delle piccole zeppe per bloccare la fusaiola al fuso saranno abrasioni tondeggianti e lisce (Figura 2 sn). Nel caso di schegge lignee potranno essere scalfitture allungate ed irregolari. Ma nel caso del solo filo di collane o pendenti saranno semplici lucidature (Figura 2 dx) o solchi lisci (DI FRAIA, p. 4).

Alcuni concetti di base

Più volte è stato detto come l’uomo antico conoscesse a fondo ed intimamente il territorio. Come avesse imparato a riconoscere i suoni, i rumori e gli odori della natura per motivi di sopravvivenza. Ma al contempo quanto fosse specializzata la sua conoscenza dei materiali in ragione della loro potenzialità d’uso e lavorabilità.
L’ambra e altri materiali insoliti come giada, ossidiana e cristallo di rocca, hanno attirato l’interesse come materie prime per la produzione di oggetti decorativi fin dalla tarda preistoria, e in effetti l’ambra conserva un alto valore nei gioielli di oggi. Ci sono molti aspetti che entrano in gioco quando si valuta il valore sociale di queste materie prime, che vanno dalle proprietà intrinseche dei materiali (colore, consistenza, durezza …) che possono renderle attraenti per la fabbricazione di ornamenti, ad altri aspetti ambientali o culturali. Ciò può riguardare, ad esempio, la loro relativa scarsità e il successivo valore aggiunto come esotici o “esclusivi”...  (MURILLO-BARROSO, et al., 2018). Probabilmente questo concetto è più estensivo. Lo dimostra la scelta specializzata di ben precisi materiali: la separabilità in grosse lastre delle filladi per realizzare le tombe a cassetta della necropoli di Cafaggio (Copertina e Figura 3), o delle marne calcaree (e simili) per quelle della necropoli di Chiavari e di alcune sue misteriose lastre.
E veniamo all’oggetto della nostra storia che viene da lontano, alle fusaiole della necropoli di Cafaggio. Parliamo di steatite. Un materiale forse povero, ma molto facilmente lavorabile e, soprattutto, duraturo. Un litotipo che non si trova nella regione circostante a Cafaggio e che doveva provenire dall’esterno. Da un esterno che doveva avere collegamenti diretti e di scambio con la comunità che aveva edificato la necropoli. Sappiamo, ad esempio, che della steatite era lavorata alla Pianaccia di Suvero ed in Valle Lagorara. Ma soprattutto era diffusa oltre giogo, lungo il versante padano dell’Appennino. La steatite, o direttamente le fusaiole di Cafaggio erano, probabilmente, frutto di scambi commerciali.
Le caratteristiche petrologiche e geotecniche del materiale utilizzato orientano per questa ipotesi.

La steatite

La steatite è una roccia metamorfica. La sua genesi è conseguenza di due tipi di processi geologici. Per quanto riguarda i giacimenti liguri ed emiliani è riconducibile al solo metamorfismo regionale di basso grado. In particolare che ha agito su rocce ultra femiche (peridotiti in particolare) durante l’orogenesi appenninica. Questo per quanto concerne i giacimenti primari.
Caratteristica importante della steatite è il suo basso grado di durezza. Vale circa 2,5-3 della scala di Mohs. Tuttavia, in letteratura archeologica viene spesso riferita al 1° grado della medesima scala di Mohs. Ma ciò deriva dall’assimilarla al talco, del quale rappresenta una varietà.
Per la sua bassa durezza, la steatite è facilmente lavorabile. Secondo MICHELI, FERRARI e MAZZIERI (2014, p. 10) tale fragilità la renderebbe difficile da trovarsi in giacitura secondaria (ad esempio nel greto dei torrenti). E questo significherebbe che tutta la steatite utilizzata nei vari atelier noti sarebbe stata estratta da affioramenti prossimali o proveniente da scambi.
I siti archeologici più vicini a Cafaggio classificati come atelier per la produzione di ornamenti in steatite, sono quelli di Valle Lagorara e della Pianaccia di Suvero.
Nel primo era lavorata, a scopo francamente familiare, una steatite verde locale, ma di poco pregio. Nel secondo il materiale aveva qualità e consistenza migliore e per questo consentì una produzione di tipo commerciale (GERNONE, G., & MAGGI, R., 1998; MAGGI, R., & DI DIO, M., 2009; MAGGI, R., MACPHAIL, R. I., NISBET, R., & TISCORNIA, I., 1987). Nella medesima regione, si devono ricordare le numerose fusaiole, anche in steatite verde, provenienti dal castellaro di Zignago (AA.VV., 1987, p. 31). Infine, dalla necropoli di Chiavari provengono due fusaiole litiche (PALTINERI, 2010, p. 106), certamente in steatite, una verde ed una nocciola-marrone chiaro .
Di epoca più tarda sono i riscontri di utilizzo della steatite (nera) per la manifattura di perline fra la Lunigiana ed il parmense. Ritrovamenti sono segnalati da Luni (Luni I, c. 752; Luni II, tav. 170.18, 315.7), Filattiera loc. San Giorgio, Filattiera Pieve (materiali inediti), Zignago nel villaggio trecentesco e in diversi altri scavi inediti di Parma. I contesti di questi ritrovamenti hanno una cronologia che varia da epoca romana al basso medioevo (BIAGINI, GHIRETTI e GIANNICHEDDA, 1995, p. 180). 

Le analisi sulle fusaiole di Cafaggio

Premessa fondamentale all’esecuzione delle analisi sulle fusaiole di Cafaggio, è stata quella di eseguire solo ed unicamente indagini di tipo NON distruttivo. Naturalmente, tale limitazione ha dato un carattere di indiziarietà alle conclusioni. Sono state eseguite unicamente osservazioni macroscopiche ed approfondimenti a livello microscopico, limitati alle sole superfici esterne dei manufatti. Per le analisi petrologiche è stato utilizzato un microscopio digitale Celestron HandHeld Digital Microscope PRO mediante il quale sono state ottenute anche le immagini digitali.
Le osservazioni macroscopiche e le verifiche hanno definito, per ogni manufatto, le caratteristiche fondamentali: colore, struttura, lucentezza, aspetto, inclusioni, reazione al magnete, apprezzamento della durezza (Mohs), sensazione al tatto e tipo di fratturazione.
È possibile che alcune caratteristiche abbiano risentito, in parte, della presenza di tracce di usura sia lineari (da striscamento) che vacuolari (da urto), quando particolarmente frequenti.
A completamento è stata eseguita una verifica della geometria dei fori. In pratica sono stati misurati i diametri dei fori assiali sulle superfici superiore ed inferiore dei manufatti. Per ciascun di essi sono state eseguite misure lungo direzioni fra loro ortogonali al fine di verificare la regolarità della circonferenza. Quindi è stato definito il rapporto fra il diametro medio della superficie maggiore e l’analogo della superficie minore, al fine di verificarne lo scarto dalla forma cilindrica.

Si è riscontrato che i diametri si riducono, in maniera più o meno evidente in corrispondenza delle facce inferiori. Questa forma lievemente conica potrebbe anche essere stata intenzionale e finalizzata a conferire una maggiore tenuta per attrito laterale al sistema in fase operativa.

Immagine nel testo

Figura 4 – Alcune delle fusaiole di Cafaggio, disegnate come poste in opera (da LIPKIN, 2008). Potrebbe fare eccezione la biconica che per la sua forma simmetrica poteva essere indifferentemente inserita nel fuso, senza alterarne la funzionalità.

Le fusaiole di Cafaggio

Lo studio petrologico eseguito sulle fusaiole di Cafaggio è stato svolto utilizzando le superficii come sezioni lucide. Un’approssimazione compatibile con l’aspetto delle superfici esterne dei manufatti  Le osservazioni sono state basate, in gran parte, sulle variegate forme di usura presenti. 
Risultato fondamentale è che le fusaiole sono state realizzate tutte da nuclei di steatite.
Nelle descrizioni successive, le superfici superiore e inferiore si riferiscono a quelle dei manufatti in opera, come rappresentati in Figura 4.
Le tracce riscontrate sulle superfici delle fusaiole sono state ricondotte a differenti tipologie: tracce d’uso (nn. 1 e 2 segg.), da usura (nn. 3 e 4 segg.) e di manifattura (n. 5 seg.).

  1. abrasioni da pressione, cioè da inserimento di un oggetto affusolato e resistente nel foro superiore. Queste abrasioni sono caratteristiche della faccia superiore della fusaiola e derivano dall’azione di inserimento del fuso (Figura 1, Figura 5, Figura 6 e Figura 7);
  2. abrasioni da pressione per inserimento di molti oggetti piccoli ed appuntiti (tipo cure-dent). Le abrasioni di questo tipo sono generalmente tondeggianti e posizionate al bordo del foro (Figura 8 e Figura 9). Potrebbero essere state inserite anche più di una zeppa per volta ed in maniera contigua e ravvicinata. Il ripetitivo e prolungato impiego ha generato un assottigliamento del bordo del foro (Figura 10);
  3. abrasioni da urto violento e risposta plastica del materiale. Hanno provocato concavità più o meno evidenti (Figura 11, Figura 13 e Figura 14), anche centimetriche,  talvolta condizionate dalla fratturazione (Figura 12);
  4. abrasioni da urto leggero. Sono i piccoli, tondeggianti e, sovente, diffusi vacui prodotti da urti in fase d’opera; 
  5. abrasioni da manifattura conseguenti e testimoni delle fasi di lavorazione. Sono generalmente fasci di micrograffi, molto sottili, corti, variamente orientati e che evidenziano lo striscio (Figura 15 e Figura 16). La produzione delle fusaiole avveniva attraverso diverse fasi successive. Una di queste consisteva nell’abradere l’abbozzo su superfici granulose più o meno grossolane (arenaria a grana grossa, grovacca, …). Le superfici rimanevano graffiate da fasci di tracce fini, fitte e rettilinee. Successivamente era praticata una levigazione su superfici granulose fini (arenaria fine, siltite), Questa operazione aveva lo scopo di eliminare le tracce lasciate dalle fasi precedenti. Blocchi arenacei a superficie piatta adatti a tale scopo sono stati ritrovati, ad esempio, nel deposito archeologico della Pianaccia di Suvero (MAGGI, MACPHAIL, NISBET e TISCORNIA, 1987).
Considerazioni su alcune fusaiole

Le tracce di usura consentono qualche considerazione interpretativa sulla storia delle diverse fusaiole.
La forma biconica quasi simmetrica della fusaiola di T10/9 di Figura 4 suggerirebbe che non fosse necessario un senso preferenziale di inserimento del fuso. Qualunque fosse il senso di inserimento non doveva influenzarne la rotazione durante la filatura. Ciò sembrerebbe confermato dalla coesistenza, seppure più o meno frequente, di tracce da inserimento (zeppe e fuso) riscontrate su ambedue le facce. Ma smentisce questa ipotesi l’orientamento ben definito del foro centrale conico.
Al contrario, il corpo troncoconico necessitava di un ben preciso senso di inserimento per ottenere una corretta rotazione del sistema. Tuttavia le osservazioni macro e microscopiche eseguite sulla fusaiola T9/8 di Figura 4, troncoconica, hanno palesato che le tracce lise ed arrotondate da inserimento delle piccole zeppe compaiono sulla faccia superiore, mentre quelle di pressione da inserimento del fuso compaiono su quella inferiore. Anche in questo caso, però, l’orientazione del foto centrale smentisce l’ipotesi che la fusaiola sia stata utilizzata capovolta. Quindi, rimane l’incognita della posizione delle tracce.
Un altro caso particolare è quello della fusaiola T35/12 di Figura 4 (Figura 15 e Figura 16) che è ricoperta da infinite tracce finissime. Queste non sono compatibili con l’usura dell’oggetto, se non in fase di manifattura. Bisogna aggiunge la presenza di un’ampia frattura aperta Tali due particolari inducono a ritenerla un manufatto non finito oppure il riciclo di un precedente manufatto danneggiatosi in lavorazione. La deposizione nella tomba a cassetta di un non finito sembra confermare il ruolo anche simbolico ed onorifico delle fusaiole.
Infine, un risultato molto interessante è stato il riscontro dell’analogia litologica fra la fusaiola T49/7 di Figura 4  (Figura 13 e Figura 14) e quella descritta da PALTINERI (2010, pag. 106) per la necropoli di Chiavari (Figura 17). L’analogia di litofacies impiegata per la loro manifattura pone però il problema della provenienza del materiale e dell’analogia giacitura. Ambedue le fusaiole provengono da deposizioni in tombe a cassetta, ma che differiscono di circa tre secoli.

Il vago di collana

Il manufatto che è stato diagnosticato come vago di collana è un elemento tronco-conico, nero ed a lucentezza vitrea. La corona della faccia minore è molto liscia, ma irregolarmente svasata e ondulata. Queste concavità appaiono prodotte da evidente usura (Figura 18). Il foro è irregolare, a sezione lievemente elissoidale (Figura 1 destra). È l’immagine dell’usura indotta da un cordino inserito nel foro, il tutto indossato. Così, il vago di collana, sarebbe stato soggetto a continuo movimento ed all’usura del cordino. Il basso grado di durezza (3 della scala di Mohs) della steatite è compatibile con queste figure di usura. Ma non solo. A questo continuo sfregamento si devono ricondurre anche i micro graffi sub-paralleli lungo le superfici laterali (Figura 19). E pure la leggera ruvidità e granulosità al tatto.
Il vago di collana è stato prodotto da un nodulo di steatite nera.
Lungo il promontorio orientale della Spezia non sono noti affioramenti di tale materiale. Bisogna allargare il campo di ricerca al territorio compreso fra Piacenza, Parma e Modena per trovare riscontro sia di affioramenti di steatite nera (medio-alta Val di Taro, Val Trebbia e Val di Nure) che di ritrovamenti (sepolture neolitiche della cultura VBQ) di vaghi di collana realizzati con tale materiale (MAZZIERI e MICHELI, 2014; MICHELI, FERRARI e MAZZIERI, 2014).
Le analogie tipologiche fra i vaghi emiliani e questo campione sono evidenti. Ma si ripete il problema della differenza di età. I vaghi emiliani sono di VII-VI sec. BC mentre quello di Cafaggio, proviene dalla necropoli di IV sec. BC.

Alcune considerazioni

Alcuni Autori (FOREIGN, 1828; MICHELI, FERRARI e MAZZIERI, 2014;(BIAGINI, GHIRETTI e GIANNICHEDDA, 1995) ricordano come la steatite possa cambiare colore e durezza se esposta al fuoco.
Innanzitutto non va sottovalutato che, talvolta, la steatite viene confusa nelle traduzioni dall’anglosassone con la pietra ollare.
Detto questo, i manufatti esaminati sono tutti in pietra naturale. Dalle osservazioni non sono mai emersi indizi di esposizione al fuoco e, tantomeno, alle temperature in grado di modificarne le caratteristiche. Queste temperature sono comprese fra i 1000-1100° C, per la trasformazione in enstatite, ed i 1200° C ed otre, per la trasformazione in cristobalite. Per i materiali di Cafaggio, l’unica esposizione razionalmente possibile sarebbe stata quella al fuoco della pira funebre (come ad esempio alcuni ornamenti). Ma anche in tale eventualità le fusaiole sarebbero state esposte a non più di 600° C.
Inoltre tutte le fusaiole di Cafaggio, ad eccezione di una recuperata fuori contesto, erano poste nelle tombe a cassetta, di fianco alle urne cinerarie e armate sui fusi assieme al pennecchio di lana.

Il presente articolo è liberamente tratto dalla recente monografia di Anna Maria DURANTE e Silvia LANDI: La necropoli di Ameglia Cafaggio, edita per i tipi della Casa Editrice SAGEP di Genova.
Il volume è disponibile sia in forma cartacea che digitale.
È stata richiesta autorizzazione alla pubblicazione delle foto con nota mail del 18.04.2023_10:30

Ameglia, provincia della Spezia, Italia

Ameglia, provincia della Spezia, Italia

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