Archeologia e storia profonda dell’olivicoltura

Copertina

Copertina – Moderno oliveto di fronte alla necropoli fenicia dell’isola di Mozia (Marsala).

Le origini

La storia del consumo di legno e frutti degli alberi del genere Olea si perde nei tempi più remoti.
Rinvenimenti da Gesher Benot Ya`aqov in Israele risalgono a quasi 800.000 anni fa (Figura 1) e indicano che forme umane arcaiche, molto precedenti la nostra (Figura 2), annoveravano le olive selvatiche (Figura 3) fra il loro nutrimento. Le olive sono amare e diventano appetibili al nostro palato attuale dopo opportuni processi (ad esempio un mese in salamoia); dobbiamo perciò presumere che quegli antenati avessero gusti più rustici, o che già praticassero manipolazioni, sempre che i reperti non siano pervenuti nel sito per fattori casuali.
Si può invece escludere che sia casuale il nocciolo di oliva selvatica (Figura 4) risalente a circa 17.000 anni fa rinvenuto con gli scavi condotti nell’abitato di cacciatori-raccoglitori di Ohalo, presso il lago di Galilea, perché associato ad abbondanti testimonianze di raccolta di cereali selvatici. Questi, quando utilizzati a fini alimentari o per bevande fermentate, possono richiedere pratiche di tostatura o comunque passaggi vicini al fuoco, talchè accade che alcune cariossidi si carbonizzino, diventando così durature nei millenni a giovamento dell’archeologia. Ciò non accade con le olive, che rimangono deperibili, e di conseguenza sono molto rare nei rinvenimenti archeologici più antichi. Ci sono tuttavia alcune importanti eccezioni, dovute a particolari condizioni del sito. Ancora in Israele, a Kfar Samir, presso Haifa, sono stati trovati noccioli di oliva in un pozzetto che conteneva anche resti di vimini intrecciati, datati col radiocarbonio a circa 6.500 anni fa. Le analisi archeobotaniche indiziano morfometrie prevalentemente di tipo selvatico (Figura 5) benchè non manchino attributi di orientamento domestico. Ricordiamo che l’agricoltura occidentale iniziò circa 11.000 anni fa sulle colline che attraverso Palestina, Siria, Turchia e Iran circondano la piana mesopotamica.

La selezione

Gli incipienti contadini (ma è più probabile che fossero contadine –Figura 6– perché fra i cacciatori raccoglitori le donne hanno generalmente maggiore consuetudine con l’ambiente vegetale) selezionarono tra le popolazioni naturali le varietà di orzo, segale e grano adatte alla coltivazione. Si trattò di un processo di addomesticazione, ovvero di creazione di nuove varietà, forse spinto da motivi religiosi, che visto a posteriori sembra rapido. Ma non improvviso: fu infatti preceduto in quelle zone da una millenaria intensa consuetudine con le varietà selvatiche, che, anche sulla base di confronti etnografici, prima della coltivazione vera e propria ha presumibilmente conosciuto fasi di cura, quali ad esempio il documentato trattamento della vegetazione col fuoco controllato per ampliare gli spazi erbosi, nonché ipotizzabili recinti per tener lontani gli erbivori concorrenti, sventolii contro per gli uccelli e quant’altro. La coltivazione dei cereali (Figura 7) fu ben presto seguita da quella di legumi (es. ceci, lenticchie; Figura 8) e della vite (Figura 9). La mancanza dell’ulivo nell’agricoltura delle origini si spiega col fatto che l’olivicoltura è più complessa della cerealicoltura. La riproduzione delle piante è più delicata, il ritorno in raccolta avviene dopo alcuni anni, è necessaria la potatura. L’olivicoltura si addice a società pienamente agricole e strutturate in classi sociali, come quelle dell’Età del Bronzo; ciò significa III millennio aC nel Levante e II millennio aC in Italia. 

L’arrivo in Italia

Così di quell’epoca troviamo evidenze di coltivazione in Puglia. Il sito di Piazza Palmieri a Monopoli (Bari), datato intorno a 1500-1200 aC ha restituito 30 noccioli morfometricamente attribuiti a forme domestiche (Figura 10). Molto interessante il fatto che un’analisi particolarmente approfondita ne attribuisce 21 a cultivar derivati dalle popolazioni di ulivi selvatici del Mediterraneo occidentale e 3 a cultivar greci (Figura 11). Sembra la prova di alberi arrivati in Puglia insieme alle conoscenze atte ad addomesticare e coltivare gli ulivi locali.
Così come per i cereali anche per le olive le varietà selvatiche sono utilizzabili (e tuttora utilizzate) per essere consumate come cibo e per produrre olio. Gli studi palinologici informano che col miglioramento climatico postglaciale l’ulivo selvatico si diffuse sulle coste del Mediterraneo occidentale (Figura 12) con genotipi diversi da quelli orientali, forse derivanti da rifugi ecologici di più antica cronologia. Pertanto le popolazioni neolitiche che colonizzarono il Mediterraneo avevano a disposizione olivastri, seppure in quantità assai ridotta, neppure lontanamente paragonabile alla attuale densità di ulivi domestici (Figura 23, Figura 24 e Figura 25).
Una rcerca degli anni 1990 individuava tracce di coltivazione nelle zone di Valencia e Alicante (Figura 13) 7.000 anni fa, ma è stata successivamente criticata e non più sostenuta: oggi si ritiene che si trattasse di forme di gestione di ulivi selvatici. Analogamente sono attribuiti all’utilizzo di olive selvatiche i rinvenimenti ottenuti dal riparo sottoroccia La Scaffa in Corsica.

Immagine citata nel testo

Figura 12 – L’areale storico della diffusione e della coltivazione dell’olivo (da nataterra.it)

In Liguria…

In Liguria analisi chimiche volte all’individuazione di residui organici in recipienti ceramici dalla Caverna delle Arene Candide, presso Finale Ligure, hanno riscontrato in vasi risalenti a 7800-7300 anni fa (inizio del Neolitico) tracce di contenuti pertinenti a grassi animali, a cera d’api, ma anche grassi vegetali. Questi ultimi purtroppo al momento non sono meglio qualificabili, pertanto che si tratti di grasso rilasciato da olive è per ora solo una possibilità o se si vuole probabilità, visto che il legno di Olea è ben rappresentato fra i resti antracologici.
Se le olive hanno poca attitudine ad entrare nel record archeologico, ancora di meno lo ha l’olio, deperibile e liquido. D’altra parte l’attestata presenza e consumo di olive non implica automaticamente la produzione di olio. Anche per questo aspetto bisogna rivolgersi inizialmente al Mediterraneo orientale. L’elevata percentuale di acido oleico nelle tracce di acidi grassi liberi conservatisi nelle porosità di contenitori di terracotta dal sito di Ein Zippori, (Figura 14 e Figura 15) anch’esso in Israele, suggeriscono che abbiano contenuto olio d’oliva (da frutti selvatici). Si tratta di una testimonianza molto antica, di circa 7.500 anni fa, in pieno Neolitico, ma non del tutto cogente, semplicemente perché, come ha osservato Tomaso DI FRAIA, quei vasi possono aver contenuto olive intagliate e/o schiacciate, che rilasciano olio.
Lo stesso argomento vale per altri casi del Mediterraneo orientale e per vasi del 1500 aC circa trovati a Coppa Nevigata in Puglia.

L’olio romano e la Liguria

L’uso dell’olio nella tarda Età del Bronzo ellenica, evocato dai poemi omerici, trova riscontro in raffinati contenitori delle civiltà Cretese e Micenea, interpretati come contenitori di unguenti e profumi a base d’olio, e soprattutto nelle tavolette micenee di scrittura lineare B (XIV-XIII sec. aC), che distinguono l’ulivo domestico da quello selvatico; a mente che quest’ultimo essendo meno grasso risulta più adatto per unguenti. Mancano però, per quanto a me noto, chiare attestazioni del consumo dell’olio a scopo alimentare, che non sembra essere stato il motore del primo olio d’oliva. Lo stesso mondo romano tributava (ancora) importanza all’omphacium , olio ottenuto da olive raccolte acerbe e usato per balsami e farmaci. Olive sono presenti a Genova nel VI-V secolo aC; trovate nel porto di quello che era l’emporio dei Liguri; è probabile che si tratti di merce di importazione piuttosto che di esportazione.
Insomma, l‘archeologia riesce a delineare la storia materiale dell’olivicoltura nei millenni preromani, ma per quel che riguarda specificamente la produzione di olio, ed in particolare per l’uso alimentare, in attesa che i metodi biochimici di indagine dei residui nelle ceramiche affinino la capacità di distinguere i residui dei diversi grassi vegetali, la certezza arriva con l’Età Classica greca (Figura 26 e Figura 27) e Romana (Figura 16).
Piace in proposito ricordare che è aperto al pubblico e visitabile lo straordinario quartiere dei torchi oleari della villa romana del Varignano Vecchio di Portovenere (Figura 17, Figura 18 e Figura 19).

Il Lago di Bargone

Rimanendo nella Liguria di Levante, un riferimento è legato allo studio palinologico del Lago di Bargone (Casarza Ligure, GE), un bacino intorbato molto interessante (Figura 20), perché pur essendo montano, a 830 metri di quota, è ubicato sul versante marittimo a soli 5 chilometri dalla costa, con cui è in comunicazione visiva. Come noto lo studio palinologico ricostruisce la storia della copertura vegetale di un’area la cui dimensione varia secondo la geografia dei luoghi, ed è comunque misurabile nell’ordine di grandezza di alcuni o di svariati chilometri quadrati (Figura 21). Pertanto nel nostro caso il polline riflette la vegetazione della fascia costiera, che come è caratteristico della Liguria da monte scende ripida al mare. Gli antichi laghetti intorbatisi nel corso del tempo sono archivi biostratigrafici, cosicché lo studio geoarcheologico dei sedimenti che contengono il polline può far emergere indicazioni sulle pratiche che i gruppi umani attuarono per attivare le risorse ambientali della zona. Così lo studio congiunto palinologico, archeobotanico e geo archeologico dei 4,5 metri superiori del deposito stratificato del sito di Bargone ha offerto la possibilità di delineare l’evoluzione del rapporto tra copertura vegetale e attività antropica dalla fine della glaciazione al Medioevo. In riferimento a quel che qui interessa, nella seconda Età del Ferro, a partire dal 500/400 aC, i dati estratti dal sedimento indicano l’intensificarsi della pastorizia, l’uso del sito come abbeveratoio per gli animali condotti al pascolo, e la pratica locale del fuoco controllato per generare erba fresca e frenare l’invadenza dell’erica. L’insieme indizia aumento della pressione antropica, presumibilmente correlato all’incremento demografico, che l’archeologia per altre vie suggerisce. Da parte sua il polline (Figura 27) testimonia notevoli cambiamenti della vegetazione, che poiché concernono simultaneamente varie essenze sono da riferirsi ad una scala territoriale più ampia di quella locale, presumibilmente l’intera fascia fino alla costa per una consistente estensione longitudinale. 

Il paesaggio

Il paesaggio diventa più aperto. Si riduce drasticamente l’abete bianco, che si presta all’utilizzo per il naviglio e per carpenteria, scompare di fatto il tiglio e si riducono faggeta e querceto. Aumentano invece sensibilmente la coltivazione di cereali, la prateria e l’arboricoltura; compaiono il noce ed il castagno e si riprendono il nocciolo e l’ontano, del quale la suggestione porta a domandarsi se fosse già conosciuto il suo potere fertilizzante. L’incremento più drastico è quello di Olea,  il cui polline (Figura 27) peraltro, come in altri siti mediterranei, è presente con basso tenore lungo tutta la serie stratigrafica. Benchè sia possibile che questo polline sia sovrarappresentato, l’incremento è tale da far supporre che l’attenzione per quest’albero sia sfociata in coltivazione. Ciò in contrasto con le fonti latine e greche che tendono a menzionare che in Liguria l’olio d’oliva venisse importato. Va però considerato che le fonti si riferiscono genericamente al territorio occupato dalle tribù liguri che era allora molto più ampio dell’attuale regione eponima, senza contare che non di rado l’archeologia smentisce quanto affermato dalle fonti stesse (oggi si direbbe dai media). Inoltre, e soprattutto, qui stiamo ragionando di una fascia costiera che l’archeologia ha dimostrato aver conosciuto fin da VII secolo aC l’influsso di naviganti e mercanti etruschi, i quali usavano per l’ulivo e l’olio vocaboli di derivazione greca, a segnalare che ben conoscevano entrambi (Figura 22).

Gesher Benot Ya`aqov, distretto Nord, Israele

Circa 800.000 anni fa l'oliva selvatica è entrata nell'alimentazione...

Ohalo Manor Kinneret, Kibbutz Kinneret, distretto Nord, Israele

Shamir, distretto Nord, Israele

Haifa, distretto di Haifa, Israele

Piazza Palmieri, Monopoli, città metropolitana di Bari 70043, Italia

Valencia, provincia di Valencia, Spagna

Alicante, Alicante, Spagna

Oletta, Alta Corsica, Francia

Finale Ligure, Piazza Vittorio Veneto, Finale Ligure, provincia di Savona 17024, Italia

Zippori, distretto Nord, Israele

Via Coppa Navigata, 71043 Manfredonia provincia di Foggia, Italia

Bargone, Casarza Ligure, città metropolitana di Genova, Italia

https://www.osservatorioraffaelli.com/rete-idroemtrica-presso-lago-di-epoca-glaciale-di-bargone/

 

Ελιά, Elea, Crète 700 08, Grecia

Villa romana Varignano Vecchio, 19025 Porto Venere provincia della Spezia, Italia

Bibliografia

AROBBA D., CARAMIELLO R. (2014) – Risorse vegetali e antichi paesaggi, in P. Melli a cura di, Genova dalle origini all’anno mille, Genova, Sagep.
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DI FRAIA (2020) – L’olivo e l’olio d’oliva in Italia nel quadro degli sviluppi socioeconomici della protostoria mediterranea, Studi di Preistoria e Protostoria, 6, Preistoria del cibo: 969-974
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MAGGI R., DIEU L., BURGEVIN E., MAZUY A., BOSCHIAN G., SPARACELLO S.V. (2023) – Caverna delle Arene Candide. Scavi 1997-2012. Appunti sul Neolitico, in Rivista di Scienze Preistoriche, numero speciale Preistoria e Protostoria della Liguria, LXXIII-S3, Firenze: 419-466.
NISBET R. (1997) – Arene Candide: charchoal remains and prehistoric woodland use, in Maggi R., ed. – Arene Candide: a functional and environmental assessment of the Holocene sequence (excavations Bernabo Brea-Cardini 1940-50). Memorie dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana n.s., 5, Roma, Il Calamo: 103-112.
PRIMAVERA M., FIORENTINO G. (2020) – L’uso dei frutti di piante arboree e l’arboricoltura in Puglia durante l’Età del Bronzo, Studi di Preistoria e Protostoria, 6, Preistoria del cibo: 527-534.
TERRAL J-F., ARNOLD-SIMARD G. (1996) – Beginnings of Olive Cultivation in Eastern Spain in Relation to Holocene Bioclimatic Changes, Quaternary Research, 46: 176–185.

Diagramma del polline preparato per la sezione dei sedimenti a Gesher Benot Ya’aqov. Disegno A. Walanus (Università AGH della Scienza e della Tecnologia, Cracovia). da springer.com

Note di aggiornamento

2023.10.27

Il ritrovamento della mandibola di un bambino di 3 anni, risalente a 2 milioni di anni fa, ha consentito di retrodatare significativamente la comparsa di Homo erectus. La scoperta è stata effettuata in Etiopia dalla missione archeologica guidata dalla Sapienza. I risultati della ricerca sono pubblicati su Science e ripresi dal sito  Pikaia.eu.

Immagine citata nel testo
Figura - Olio e pane da Pompei - L'analisi del radiocarbonio dell'olio ha permesso di datare a 79 d. C. (Museo Archeologico di Napoli da -FB Roma Invicta)
Immagine citata nel testo
Figura - Pagnotta carbonizza divisa in otto spicchi ritrovata nell' antica Pompei (Museo Archeologico di Napoli-FB Pina Garofalo)

2023.11.12

I Romani usavano poco l’olio d’oliva come condimento. Era molto più comune e diffuso l’impiego nei cosmetici, negli unguenti e per alimentare le lucerne. 
Tuttavia a Pompei ci sono affreschi che rappresentano, insieme, una bottiglia d’olio d’oliva ed un pane (sopra nell’immagine a lato, da web-FB Roma Invicta).
Presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, sono conservati una bottiglia con olio d’oliva, del tutto simile a quella degli affreschi (al centro nell’immagine a lato, da web-FB Roma Invicta), ed un pane carbonizzato (in basso nell’immagine a lato, da web-FB Pina Garofalo).
Su quest’olio di oliva è stata eseguita una datazione al radiocarbonio, analisi possibile su reperti di origine organica. 
Già in precedenza era stato stabilito che la sostanza cerosa contenuta nella bottiglia fosse un olio vegetale che aveva subito sostanziali alterazioni. La forma e la tipologia della bottiglia hanno portato ad ipotizzare, con una certa approssimazione, che il suo contenuto fosse olio, alimentare, di oliva, solidificato. 
La datazione al radiocarbonio avrebbe riferito l’olio al I secolo dC, coerente con la tipologia di quel pane, anch’esso carbonizzato, e conservato al Museo Archeologico di Napoli.
Quella forma di pane era tipica del I secolo dC. Era il panis quadratus.
Nel 79 dC è avvenuta la famosa, estesa e distruttiva eruzione del Vesuvio…

2023.11.12

Immagine, di parecchi anni fa, storica (da web), della raccolta delle olive praticata in Sicilia.
Una raccolta a bassissima incidenza nel massimo rispetto delle piante e del prodotto, Eseguita accuratamente a mano con deposizione in piccoli cesti.

Immagine citata nel testo

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