Musei legati con un filo di rame

Il momento dell'inaugurazione della vetrina

Copertina -Il momento dell’inaugurazione della vetrina dedicata alla  Miniera di Libiola: dalla pietra al metallo più di 5000 anni fa… in presenza del Sindaco di Sestri Levante dott.ssa Valentina GHIO e della conservatrice del MuSel – Museo Archeologico e della Città di Sestri Levante dott.ssa Marzia DENTONE. 

Prologo

Conoscere è sempre il naturale spunto per conservare e tutelare.
Questa la spinta a far scoprire, letteralmente, la nuova vetrina dai più giovani, dai tre ragazzi presenti alla manifestazione (Copertina). Un legame forte fra il nostro passato ed il nostro futuro.
La nostra storia che viene da lontano comincia al MuSel, il Sistema Museale Integrato di Sestri Levante e Castiglione Chiavarese dov’è conservata la copia del manico di piccone, in legno di quercia, trovato nell’Ottocento in uno dei cunicoli della Miniera di Libiola. Il manufatto fu visto, recuperato e descritto da Arturo ISSEL nel1892. Poi finí fortunosamente nei magazzini del Museo di Archeologia Ligure di Pegli dove fu riscoperto alla fine del secolo scorso e sottoposto ad analisi al radiocarbonio. Fu la lungimiranza di Roberto MAGGI, che si recò di persona al laboratorio di  Berlino, a volere l’analisi. Allora risultò fra i più antichi reperti mai rinvenuti in una miniera. La datazione radiocarbonica del manico dimostrò che risaliva all’Età del Rame, fra 3490 e 3120 a.C., portando così ad attribuire lo svuotamento del cunicolo e le prime attività estrattive a Libiola a 5500 anni fa. Poteva trattarsi di un’ascia o di una zappetta, usata quindi dai minatori preistorici. Sappiamo peraltro che assieme a questo strumento furono rinvenuti anche una paletta lignea ed un ciottolo con tacche, che però attualmente risultano dispersi.
Il manico di Libiola è del tutto analogo all’immanicatura dell’ascia di bronzo che appartenne a Ötzi, l’uomo di Similaun oggi conservata al Museo Archeologico di Bolzano.

La visita al sito di Monte Loreto

La giornata di sabato 23 ottobre è iniziata doverosamente a Masso, dove si trova il Polo Archeominerario di Castiglione Chiavarese (conosciuto anche come MuCast), nel cui museo è ricostruita una delle trincee di Monte Loreto sfruttata dai minatori preistorici. Grazie ad anni di lavoro di un èquipe formata da archeologi della Soprintendenza della Liguria, dell’Università di Genova e di Nottingham e dagli specialisti del Centro Studi Sotterranei di Genova, è stato approfonditamente studiato il sito minerario di Monte Loreto, dove, come aveva già osservato Arturo ISSEL, la parte superficiale di parecchi filoni, tra i più ricchi, fu anticamente sfruttata (ISSEL, 1892). Sono state le ultime indagini archeologiche che hanno permesso di verificare l’effettiva antichità di queste evidenze e dimostrare che per Libiola e Monte Loreto si tratta, ad oggi, dei due più antichi siti di estrazione del rame dell’Europa Occidentale. Due le aree di attività nella Preistoria a Monte Loreto: una non lontano dalla sommità e l’altra lungo il versante e ai piedi della collina. La presenza di minerali, in particolare di carbonati sulle pareti interne, testimonia che nella trincea si trovava un filone che è stato asportato. Nel corso degli scavi archeologici sono stati ritrovati mazzuoli, residui di minerali, frammenti ceramici e livelli particolarmente ricchi di carboni, che testimoniano l’adozione della pratica del fuoco controllato e prolungato, funzionale a indebolire la struttura della roccia incassante in modo da estrarre il minerale con i mazzuoli.
Assieme a Nadia CAMPANA della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova e le province di Imperia, La Spezia e Savona, a Paola CHELLA della Direzione Musei della Liguria e a Emery VAJDA della Cooperativa GeoLogica, attuale gestore del MuCast, è stato possibile scoprire la trincea preistorica, che è stata intercettata da una galleria di epoca moderna, e i basalti a pillows lì presenti lungo il versante.

L’inaugurazione del nuovo spazio espositivo del MuSel

Nel pomeriggio di sabato 23 ottobre è stato, poi, inaugurato un nuovo spazio espositivo al MuSel che comprende, fra l’altro, un mazzuolo ed una macina in arenaria Macigno, Ambedue gli strumenti sono stati rinvenuti proprio a Libiola e risalgono all’Età del Rame. 
Il mazzuolo presenta tacche per l’immanicatura a testimonianza che anche qui, come a Monte Loreto (Masso), venivano adoperati mazzuoli per l’estrazione del minerale. I minatori preistorici colpivano la roccia preliminarmente indebolita per averla scaldata col fuoco e, probabilmente, raffreddata con getti d’acqua. La macina era utilizzata per il successivo processo di arricchimento: i minatori preistorici frantumavano il minerale per selezionarne la porzione più ricca (Figura 1) da destinare alle successive operazioni metallurgiche, la riduzione e la colatura, attraverso le quali si giungeva poi alla forma finale.
Il rame è un simbolo e rappresenta un vero e proprio fil rouge per la storia e l’identità di questo territorio. Qui ci sono le più antiche miniere d’Europa, con una storia estrattiva ed industriale che si è protratta fino agli anni Sessanta del secolo scorso. E da qui la vocazione metallurgica si è prolungata nel tempo fino alle sperimentazioni dell’Ingegner BRUCK per recuperare rame anche dalla lisciviazione delle discariche di Libiola ed ai più recenti stabilimenti della Fabbrica Italiana Tubi.
La vocazione del museo è quella di essere un organismo vivo e dinamico e per questo deve essere sede e stimolo di ricerca scientifica e, soprattutto, deve continuamente rinnovarsi ed aggiornarsi. Il museo sottolinea e rappresenta la storia del territorio e delle persone, la ricerca e conoscenza delle origini, ma anche lo stimolo alla consapevolezza del futuro.

L’introduzione di Nadia CAMPANA e Paolo PICCARDO

Dopo gli indirizzi di saluto del Sindaco di Sestri Levante Valentina GHIO sono state illustrate le motivazioni e le basi scientifiche che hanno condotto al nuovo allestimento.
Era il tassello fondamentale, ma mancante per la storia del territorio.
È stato il compito affidato a Nadia CAMPANA quello di illustrare le premesse alla scelta dei manufatti da esporre.
Al manico di quercia che costituiva un’ascia di bronzo, già conservato al MuSel, sono stati associati un mazzuolo con tacche per l’immanicatura che testimonia finalmente l’uso per l’estrazione del minerale cuprifero anche a Libiola (come a Monte Loreto) ed una macina in arenaria Macigno su cui si sminuzzava il minerale per arricchirlo prima della fase metallurgica (Figura 1).
È stata particolarmente efficace e simbolica tale scelta che rappresenta le tre icone: quella della ricerca ed estrazione mineraria, quella della preparazione del minerale e quella della fase metallurgica, per estensione lo scopo di ottenere un prodotto finito di avanguardia tecnologica.
Si è associato a questo momento l’interessante punto di vista del chimico, nella persona di Paolo PICCARDO del DCCI (Università di Genova), che ha dettagliato il fine e sofisticato gioco fra gli elementi presenti nel complesso sistema dei solfuri misti, le forze in gioco e le variabili ambientali che entravano nel processo metallurgico.

Figura centrale

Figura 1 – I minatori di 5000 anni fa estraevano i minerali cupriferi con mazzuoli e picconi e poi sminuzzavano il minerale per selezionarne solo la porzione più ricca. Questa era destinata alle successive fasi metallurgiche: la riduzione per ricavare il rame e la colatura del metallo in matrici di fusione per produrre l’oggetto voluto.

Gli interventi di Pietro MARESCOTTI, Roberto MAGGI e Fabrizio BENENTE

La manifestazione è proseguita con l’introduzione dell’assessore alla Cultura Maria Elisa BIXIO e tre interessanti interventi atti a delineare le origini giacimentologiche e storiche dei siti minerari di Libiola e Monte Loreto, pur lasciando alcuni interrogativi ancora aperti che gli studiosi in futuro potranno approfondire.
Pietro MARESCOTTI, geologo del DISTAV (Università di Genova) ha ricostruito la storia ed il contesto geologico, tettonico e giacimentologico che ha consentito la formazione, prima, e la messa in posto, poi, dei giacimenti a solfuri misti della Liguria Orientale. Il dato interessante emerso nel corso della sua relazione è stato anche il fatto che dei 38 siti minerari attualmente censiti la maggior parte sono concentrati proprio nella Liguria di Levante: andando più nel dettaglio ben 25 siti si trovano nell’areale tra Valli Graveglia, Gromolo e Petronio.

Una spiegazione semplice e chiara che ha ulteriormente sottolineato come i mineralogisti ed i minatori di Libiola conoscessero perfettamente il territorio, le sue variabili e le sue forme, ma soprattutto sapessero quali indizi, colori, odori e sensazioni seguire per individuare quei giacimenti.
Roberto MAGGI, archeologo del LASA (Università di Genova, già Soprintendenza Archeologica della Liguria) ha cercato di definire chi erano e da dove venivano gli uomini di Libiola. Innanzitutto erano persone che avevano le cognizioni e conoscevano i segreti di quell‘arte mineraria e metallurgica, forse appresa altrove… In particolare, MAGGI ha presentato un’ipotesi suggestiva, scaturita dall’osservazione e dal confronto fra alcuni oggetti rinvenuti in una grotticella sepolcrale prossima a Monte Loreto (la Tana da Prima Ciappa) e quelli, in realtà pochissimi, analoghi ritrovati in altri siti mediterranei. L’originalità è che questi altri materiali simili provengono da siti archeologici insulari o dell’Italia meridionale e, soprattutto, connessi o prossimi a giacimenti minerari. La suggestione è che da laggiù provenissero anche i primi prospettori, minatori e metallurghi… Viene quindi suggerito che chi lavorava nelle miniere di Libiola e Monte Loreto fosse in contatto con genti del Sud, che già si muovevano secondo le rotte dell’ossidiana.

L’intervento di Fabrizio BENENTE

Infine, l’originale ed alternativo intervento di Fabrizio BENENTE del DAFIST (Università di Genova; già direttore scientifico del MuSel e attualmente Prorettore alla Terza Missione dell’Università di Genova) che ha portato i dubbi e le sensazioni dell’archeologo medievista.
Il Medioevo, un’epoca controversa e fino a poco tempo fa ritenuto un periodo oscuro. Forse per certi versi lo è stato, ma sicuramente per questo motivo è stato anche sottovalutato se non proprio snobbato dagli studiosi.
BENENTE si è fatto promotore di dare visibilità a quelle categorie invisibili alla storia ufficiale, ma che comunque esistevano e ne erano il motore pur senza compiere imprese apparentemente memorabili: erano i contadini, i pastori ed i minatori.
È partito da un’analisi attenta delle tracce storico-archeologiche ad oggi note sul territorio: da Brugnato a Castelfermo, da Ruta a Santa Maria di Piazza (con le due testimonianze epigrafiche), per poi restringere il campo alle aree di Monte Loreto e Libiola ed alla frequentazione umana di questi territori.

A Monte Loreto sono stati messi in evidenza, sopra i livelli di Età del Rame, tracce ascrivibili all’età bizantina, tra il VI e il VII secolo d. C., caratterizzate da spazi per l’arrostimento del materiale estratto e da una rudimentale fucina.
Ma che cosa conosciamo di più di un sito minerario attivo 5500 anni fa? Poi probabilmente 1500-1400 anni fa? E infine sessanta/settant’anni fa? E quali sono le indicazioni che ci forniscono le evidenze archeologiche? Come possiamo arrivare ad un ragionamento più complesso nel quadro del popolamento e dello sfruttamento delle risorse del territorio?
Ebbene, analizzando i dati oggettivi della storia mineraria della Liguria Orientale esiste un grande iatus. Abbiamo imparato a conoscere e riconoscere l’attività più antica nelle miniere di Libiola e Monte Loreto. Poi sappiamo delle ricerche e delle concessioni rilasciate dalla Serenissima Repubblica di Genova a vari personaggi a cominciare dal Quattrocento. Ma poco o nulla sappiamo del periodo bizantino e dell’Alto Medioevo. Mancano i documenti? Non abbiamo trovato le tracce dei lavori perché definitivamente erose delle lavorazioni moderne?

A conclusione, una proposta di BENENTE

Libiola per esempio è l’unico territorio in quest’area definito come curtis, termine che indica tutta una serie di cessione di diritti sulle persone, sul bosco, sulla terra, sul pascolo, sulle cose. Perché questo? Perché era talmente importante che vi si doveva organizzare anche qualcosa di diverso dal pascolo, dal bosco, dagli appezzamenti di terreno. Forse qualcosa come i diritti sull’estrazione mineraria? Non si sa ancora, ma si sa che nel X-XI secolo il diritto sull’acqua, che alimentava i mulini, era detenuto e assegnato dal vescovo di Genova. Che sia stata la stessa cosa anche per le miniere? Anche queste erano una grande risorsa, come lo era l’acqua.
Nell’archeologia medievale, ma anche nell’archeologia classica e tardoantica, occorre sempre mettere a confronto i vari tipi di fonti a disposizione e aprire le prospettive di ricerca.
Quindi, rivedere le fonti con una mente più aperta ai nuovi indizi emersi dagli scavi e dagli studi degli ultimi 35-40 anni e rileggere quei documenti anche fra le righe. Questa è stata la proposta lanciata da BENENTE a termine e conclusione della giornata.
Molto interessante e stimolante.

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