Un’altra sopra la fortezza di Portovenere di negro, e giallo e cavando le dette pietre si giova alla fortezza perché si slarga il fosso e saffonda… (6 luglio 1626)

copertina

Copertina – Nell’immagine del 1985 sono ritratte le cave dietro ed a ridosso del castello di Porto Venere. Già nel 1610, Gio.Batta MORELLO aveva richiesto di aprire queste cave che, oltre a consentirgli di estrarre il portoro, avrebbero migliorato le difese della fortezza ampliandone ed approfondendone il fossato.

Alienazione di fabbricato e terreni in località Crocetta di Porto Venere

Di recente, il Comune di Porto Venere ha previsto l’alienazione di un’ampia area in località Crocetta. Un’area suggestivamente panoramica (Figura 1), il cui pregio si estende, fra l’altro, ad un edificio utilizzato nel tempo da agricoltori e cavatori (Figura 2), oltre che ai terreni connessi.
Dietro segnalazione di alcuni cittadini e di associazioni ambientaliste la Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio ha ricordato che l’edificio, …sulla base della documentazione fornita… dal …Comune (di Porto Venere), è stato ritenuto privo dei requisiti di interesse culturale con provvedimento del Segretariato Regionale prot. n. 4593 del 20/10/2017….
Nel documento, tuttavia, era comunque segnalata …la sussistenza di un rischio archeologico del sedime dell’immobile… (Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio in data 11 gennaio 2022).

Questa notizia, riportata dalla stampa locale (ANTOLA, 2022; COGGIO, 2022a; COGGIO, 2022b; COGGIO, 2022c e COGGIO, 2022d), fornisce l’occasione per questa storia che viene da lontano e precisamente dal 1610.

Porto Venere, la fortezza (castello Doria) e la chiesa di San Pietro

La peculiarità della porzione terminale del promontorio occidentale della Spezia è l’imponente falesia del Muzzerone (Figura 3 e Figura 4). Qui si calano e compendiano alcune emergenze. Quelle storiche col castello Doria (Figura 5 e Figura 6), il Borgo di Porto Venere (Figura 7 e Figura 8) e la chiesa di San Pietro (Figura 9). Quelle di archeologia industriale con le cave (Figura 10) e l’impianto della Crocetta (Figura 11). Ed infine quelle naturalistiche con la sequenza di argilliti e marne nerastre, nodulari con lumachelle di Grotta Arpaia (CIARAPICA e PASSRRI, 1980: Figura 12) e la fascia ecotonale di tramite fra l’ambiente della falesia a macchia mediterranea, il bosco misto (di biancospino, Pino d’Aleppo e leccio) e la gariga (a lentisco, alaterno, euforbia arborea, ruta ed elicriso). Fra questo ambiente caldo ed esposto a SW e quello dei coltivi terrazzati, più fresco ed esposto a NE. Per le emergenze agricole va ricordato l’antico e caratteristico uliveto sopravvissuto alla gelata del 1985, forse proprio perché posto a monte di un muro molto particolare che agisce quale convettore dell’aria calda marina (Figura 13 e Figura 14). È una struttura poco conosciuta, ma estremamente interessante ed originale, è un manufatto ad andamento arcuato e dimensioni importanti (Figura 15), tale da opporsi alla forza del vento. E questa sua funzione ha condizionato la sagomatura dell’uliveto retrostante che ha così assunto un assetto particolarmente suggestivo. Sembra che la morfologia del manto vegetale sia in continuità con quella del muro (Figura 13 e Figura 14).
Tutto questo viene compendiato e coinvolto naturalmente nel variegato aspetto paesaggistico.
Su tutta l’area domina imponente il castello Doria, il castrum novum o superius (VECCHI, 2022), costruito nel 1161, forse su una difesa genovese precedente di una cinquantina di anni. La fortezza era l’occhio vigile a protezione del borgo murato (Figura 5 e Figura 6), ma si trovava anche in posizione strategica verso l’entroterra.
Fu più volte ristrutturato, ampliato ed ammodernato seguendo l’evoluzione delle tecniche belliche di offesa e di difesa. In quest’ottica, seppure con un carattere un po’ speculativo, si pone l’argomentazione del Morello per giustificare l’apertura delle cave di portoro direttamente nel fossato posteriore della fortezza.

Il muro pantesco

Una particolarità architettonica dell’area è, quindi, l’imponente muro a secco, realizzato in prevalenti conci abbozzati di portoro (Figura 15), disposti in corsi più o meno regolari. Il muro ha pianta semicircolare di notevole spessore. A metà altezza è largo circa un metro e venti. All’esterno è alto circa 4 metri ad all’interno circa 2.
Ma la sua unicità è la destinazione a cinta e paravento, oltre a quella di contenimento del terreno (VECCHI, 2022).
L’aspetto esteriore è a …corsi che, per quanto apparecchiati secondo l’opus incertum, tendono a riferirsi ad una disposizione più organica, quale la muratura a filaretto, con corsi di spianamento sub-orizzontali. Si rileva anche una voluta alternanza di maggiore e minore altezza nella disposizione dei conci, pur con alcuni sdoppiamenti; l’uso di zeppe negli interstizi serve a unificare i corsi, ma anche a difenderli dai dilavamenti. La muratura interna alle facce lapidee sembra essere a sacco. (…) Potrebbe trattarsi di una costruzione del genere definito “giardino pantesco”, recinto elevato a protezione degli olivi o piante dalle raffiche marine, specie di un vento di traversia come il libeccio a Portovenere. In questo caso ci troveremmo davanti ad una struttura che è per ora attestata solo nell’isola di Pantelleria… (VECCHI, 2022).
E questa particolare struttura rende unico questo muraglione. Unicità che, come detto, si riflette sulla morfologia dei retrostanti ulivi, col loro manto che si prosegue e prolunga secondo la deviazione del vento che si accoccola sulla superficie complice del muro (Figura 13, Figura 14 e Figura 15).

Il …negro e giallo di Portovenere

Il Portoro, …il negro e giallo di Portovenere… (Figura 16) è in realtà un calcare nero a grana fine, in parte dolomitizzato e con caratteristiche venature giallo-rossicce di materiale limonitico e solfuri, impostate lungo giunti stilolitici.
Oggi questo “marmo” è coltivato in forma estremamente ridotta.
Il pregio del Portoro risiede nel tipo di macchia: larga, la più pregiata, mezza macchia e macchia fine con pregio decrescente. Ma dipende anche dal fondo che dev’essere nero per il più pregiato e di minore qualità merceologica quello tendente al  grigio.
Le coltivazioni sono state e sono soprattutto in sotterraneo (Figura 17). Si addentravano in profondità a cominciare dall’affioramento, per proseguire mediante gallerie in traverso banco. Raggiunto lo strato pregiato, veniva seguito in direzione con la tecnica dei pilastri abbandonati. Metodo che comportava notevoli problemi tecnico-operativi legati alla resistenza del calcare, agli sforzi di taglio, alla presenza dell’acqua, etc.
Sul  promontorio occidentale la “macchia larga” è considerata in via di esaurimento. Era presente in affioramento a cominciare dalle isole Palmaria e Tino, fino al Canale di Ria (Le Grazie), ma scompariva lungo le falde del M.Castellana dov’era raggiunto solo tramite gallerie. Fra i siti estrattivi di maggiore importanza erano il monte Santa Croce, il monte Castellana, il Muzzerone, l’isola Palmaria e l’isola del Tino.
Contrariamente a quanto diffuso, anche su riviste prestigiose (FRATINI, et Alii, 2005), il portoro non era utilizzato in epoca romana nella città di Luni. Infatti il lastricato del cardo è stato apprestato con lastre di Pietra del Corvo, reperibile più vicino e molto utilizzata nella città (DEL SOLDATO, 2022). C’è solo una colonna in portoro proviente da Luni, conservata presso il Museo della Spezia, ma è stata prelevata fuori contesto archeologico e quindi non è un’attestazione sicura (DEL SOLDATO e PINTUS, 1985).

Immagine citata nel testo

Figura 17 – Schema di coltivazione di una cava di Portoro in sotterraneo come avveniva in epoca storica (A: tarso, B: corsetto o marmorizzato, C: scalino, D1: blocco a tre macchie, D2: blocco a quattro macchie, E: zoccolo, F: sottozoccolo, G: peli di contro, H: verso, I: contro, L: secondo).
La prima operazione (1) era quella di scavare delle gallerie sottotetto; la galleria di scoperta (2) aveva dimensioni molto ridotte (ad altezza di “uomo in ginocchio”). Lo scavo avveniva usando picco e mazza in modo da ricavare un primo vano di lavoro; scoperta una porzione del banco erano scavati due pozzi verticali detti “anime” (3), distanti fra loro quanto la larghezza del blocco da cavare. Entro ognuno di questi prendeva posto un uomo che lavorava in coppia col compagno di fronte (4) . I tagli erano eseguiti usando una grossa sega di ferro temperato, senza denti, e addizionando il movimento con acqua e sabbia silicea (5). Prima i due laterali (6) quindi quello posteriore (7) ed infine quello inferiore, dando a quest’ultimo una lieve pendenza verso l’esterno. In seguito la segna è stata sostituita dal filo elicoidale, dapprima azionato manualmente e poi mosso da motori e pulegge. Lo stacco definitivo del blocco dal banco era ottenuto inserendo cunei di legno poi bagnati (8), o di ferro e dei palanchini o leve (9), sostituiti da martinetti in epoca recente. Infine il blocco era avviato, a forza di braccia, alla lizza (10). Era un piano inclinato lungo il quale era fatto scivolare lentamente il blocco, trattenendolo mediante robuste corde avvolte attorno ad un tronco incastrato in appositi fori scavati nel banco. Più avanti era frenato mediante i piri incastrati lungo la lizza. In epoca recente questi sistemi sono stati sostituiti da argani a motore.

Il portoro della Crocetta

Diversi indizi attestano che le cave della Crocetta entrarono in coltivazione all’epoca del Morello e, dopo la sua morte, continuarono ad essere sfruttate dal suo socio Giovanni Pincellotto.
Sappiamo anche che nel 1639 certo Vincenzo Signani di Carrara ebbe l’incarico di fare acquisti di marmi vari dall’Architetto Matteo Nigetti, che in quel periodo si occupava della decorazione delle tombe Medicee fiorentine, progettate dal Buontalenti. In particolare l’architetto Nigetti, chiedeva il …nero e giallo di Portovenere di cui Signani era un buon conoscitore; i marmi di Porto Venere furono tutti impiegati nelle tribune della monumentale tomba… (SPAGIARI, 2000 che cita A.S.F., Fabbriche Medicee Filze 104-111).
Ma sopratutto rimangono le testimonianze del lavoro e della cultura materiale legata all’attività di cava in tutti i suoi aspetti (Figura 17). In quest’ottica rientrano soprattutto le testimonianze della lizzatura dei blocchi estratti in cava. Il trasporto a valle dei blocchi avveniva facendoli scivolare su delle traverse di legno disposte lungo piani inclinati, molto regolari, che erano le vie di lizza. Una di queste è ancora presente nell’area della Crocetta (Figura 18). Lo scorrimento doveva essere ovviamente regolato al fine di non far prendere troppa velocità ai blocchi. Questa frenatura avveniva mediante un’imbracatura del blocco che terminava avvolta ai piri cioè a dei pali verticali conficcati saldamente entro dei fori scavati ai margini della via di lizza (Figura 19 e Figura 20). La lizzatura era un lavoro faticoso e pericoloso eseguito da decine di operai.

La vita nella casa dei cavatori

L’edificio oggetto di alienazione e sul quale si è già espressa la Direzione Regionale dei Beni Ambientali è presente su una cartografia datata 1882, conservata presso l’Archivio di Stato della Spezia. Nel tempo ha avuto una destinazione prevalentemente agricola, ma negli anni Trenta del secolo scorso, è stato anche utilizzato come alloggio temporaneo per i cavatori provenienti da Carrara.
Un frammento della storia dell’edificio è ancora vivo nei ricordi di Antonia Silvia TURANO di Porto Venere (COGGIO, 2022a e COGGIO 2022b). E una parte importante di questa storia si accavalla a quella delle locali cave di portoro, quando sortiva anche funzione di casa dei cavatori.
Siamo all’inizio degli anni Trenta del secolo scorso. Un periodo nel quale le cave della zona erano in attività. Quella casa a due piani, alla Crocetta (Figura 2) era abitata stabilmente dalla famiglia di Antonia Silvia TURANO, ma durante la settimana ospitava anche alcuni cavatori di Carrara. I primi risiedevano al piano terra, mentre i secondi avevano una sistemazione al piano superiore.
Nella casa risiedevano i genitori ed i quattro fratelli di Antonia Silvia TURANO, due dei quali nati proprio lì. Lei è nata successivamente.
Negli anni Trenta, dunque, la famiglia TURANO era alla Crocetta. La mamma di Antonia badava all’orto e alle pecore, faceva il formaggio che portava in paese e curava l’oliveto. Il babbo si occupava di ricerca nel campo dei “marmi”.  
Una vita dura e faticosa per i cavatori, ma non meno per le donne, resa ancora più difficile dalla mancanza di impianti idrico, elettrico e di riscaldamento. Così, anche i lavori più semplici che rimanevano da fare la sera, come ad esempio cucire, venivano svolti al lume flebile delle candele.
Quella vita si protrasse, per la famiglia TURANO, fino al 1936 quando discese a vivere nel borgo, dove nacque Antonia Silvia (COGGIO, 2022b).

L’interesse storico del complesso estrattivo e delle sue pertinenze

Negli anni Trenta, le cave locali erano in piena attività. Ma l’8 dicembre 1937, giorno dell’Immacolata Concezione, una grossa frana provocò la morte di cinque operai nella cava della Crocetta. Erano Alfredo MATTEI, Francesco ROCCHI, Amedeo CORSINI, Guido CAMPIGLI e Ido BONINI, tutti di Porto Venere e delle Grazie, che qui vogliamo ricordare (COGGIO, 2022 a). I lavori furono naturalmente sospesi.
Nel 1939 la cava passò nella disponibilità della Società Marmo Portoro che vi lavorò saltuariamente, fino al suo fallimento avvenuto nel 1982. In seguito, la cava, le pertinenze, la casa ed i terreni andarono all’asta e furono aggiudicati al Comune di Porto Venere (COGGIO, 2020b). Tutta l’operazione si svolse fra il 3 ed il 22 febbraio 1982.
Collegato a questi avvenimenti è l’edificio che si trova a valle del muro pantesco (Copertina) e subito a monte del castello Doria. È una pertinenza della cava che manifesta un’evidente interesse di archeologia industriale. All’interno di un capanno in pietra si trovano ancora il motore, probabilmente a vapore, e l’asse di trazione dell’impianto di taglio a filo elicoidale. Testimoni di tecniche classiche e non proprio recenti.
L’elemento più interessante è l’asse di trasmissione mosso da una cinghia collegata al motore (Figura 21). L’asse azionava altre due grandi ruote (Figura 22) che, a loro volta, muovevano un sistema di filo elicoidale, come attesterebbero vecchie pulegge di rimando. I tagli erano eseguiti, invece, mediante le pulegge penetranti Monticolo. Una conferma di tale azione viene dai blocchi ancora presenti sui piazzali.
È difficile datare l’impianto. Mancano elementi certi sulla marca e il tipo del motore, mentre sono presenti numerosi supporti della linea elettrica, testimoni dell’evoluzione tecnologica e del perdurare dell’attività estrattiva. 
La storia di Antonia Silvia TURANO e della vita nella casa dei cavatori risale al periodo 1930 e 1938. Durante il periodo bellico l’edificio ritornò di attualità da parte della famiglia Zembi, che utilizzò alcune vasche scavate nel portoro per ricavarne sale dall’acqua marina. Infine l’impianto di filo elicoidale azionato per via elettrica consente di posticiparne la frequentazione dell’area agli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso.
Rimane la speranza che le considerazioni sulla storia dell’arte mineraria possano concorrere all’interesse storico-culturale, in ottica di valore d’insieme, delle emergenze di archeologia industriale che prendono origine dalla richiesta di Gio: Morello (1610) per estrarre il “marmo” portoro sotto la fortezza di Porto Venere.

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3 pensieri su “Un’altra sopra la fortezza di Portovenere di negro, e giallo e cavando le dette pietre si giova alla fortezza perché si slarga il fosso e saffonda… (6 luglio 1626)

  1. Gianni Franzini dice:

    Una storia locale: monumenti archeologici da proteggere!…🏴󠁧󠁢󠁥󠁮󠁧󠁿🏴󠁧󠁢󠁥󠁮󠁧󠁿🏴󠁧󠁢󠁥󠁮󠁧󠁿 !!

  2. Pingback: Cave Portoro - Marmo Nero Portoro

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