Copertina – L’ex convento delle Clarisse fra 1880 e 1884 (Arch.Priv. e Catalogo delle Epigrafi dello Spezzino).
Prologo
L’ex convento e la chiesa delle monache Clarisse di Santa Cecilia, o quello che ne rimane, sono l’ultimo testimone dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. E qui i bombardieri alleati hanno colpito duro per la presenza dell’Arsenale Militare.
Sono anche testimoni di alterne fortune, vicende e utilizzi. Ma soprattutto sono le mutate destinazioni nel tempo che rendono questi ruderi di grande interesse storico, ma non solo…
Il convento femminile fu edificato a cominciare dalla fine del Cinquecento. Già nei primi anni del Seicento furono sollevate perplessità e dubbi nell’Autorità Ecclesiastica per la localizzazione del convento femminile al Poggio. Si andava a collocare fra il Castello e il convento degli Agostiniani (Figura 1), strutture prettamente maschili. Ma probabilmente questo nascondeva solo un tentativo per trasferirvi l’ospedale di Sant’Andrea che dall’inizio del Quattrocento risiedeva in uno stabile di via Biassa (La Città della Spezia di Andrea RICCI, 1749 – particolare), vicino all’omonima porta (SCARAMUCCIA, 2015).
Nonostante questo il convento divenne una realtà che durò almeno fino all’arrivo di Napoleone. I Francesi lo trasformarono in una scuola pubblica, dopo aver riconvertito quello degli Agostiniani in caserma.
Nel 1880 divenne il manicomio “Giuseppe Mazzini”, sede distaccata dell’Ospedale Sant’Andrea che si trovava ora nell’ex convento dei Frati Minori di San Francesco di Paola. Nel 1884 funzionò anche lazzaretto per far fronte all’epidemia di colera ed infine ospizio (ricovero di mendicità) dai primi del Novecento.
La svolta avvenne nel 1938 quando il Comune della Spezia acquistò, dalla Società Immobiliare Anonima Carrarese, la Collezione Fabbricotti e trasformò la struttura in Museo Archeologico Lunense, sotto la direzione di Ubaldo FORMENTINI (Figura 2). Le collezioni furono in seguito spostate alla Palazzina Crozza, già sede della Biblioteca Civica (Figura 3) e quindi nel nuovo ed attuale allestimento al Museo al Castello San Giorgio.
È proprio il primo spostamento, giustificato dai danni conseguenti ai bombardamenti, che suggerisce alcuni dubbi, alimentati dai ricordi del FORMENTINI (LAZZARI & SCAPAZZONI, 2012) e dal fatto che …ancora qualche decennio fa c’era chi scavava nei resti del Convento alla ricerca di frammenti romani o oggetti rimasti miracolosamente intatti… (FERRARI, 2019).
L’Ente Archeologico Lunense
Il 21 aprile 1933 fu istituito l’Ente Archeologico Lunense. Aveva lo scopo di curare l’istituzione di un Museo Lunense a La Spezia e di tutelare i ruderi della città romana di Luni.
Per costituire il nuovo e ambito Museo a La Spezia occorreva riunire il più ampio materiale possibile. L’immediata considerazione e conseguenza fu prevedere l’acquisizione della ricchissima collezione costruita con dedizione e passione da Carlo (Carlaz) e Carlo Alberto FABBRICOTTI (Figura 4), confluita nel museo del Colombarotto a Carrara (Figura 5). Il Museo Fabbricotti era composto da circa novemila pezzi di cui 1900 tra sculture e frammenti architettonici, 1000 oggetti di bronzo, 3700 monete romane e dell’alto Medioevo, terrecotte, mosaici, oreficerie.
La vendita dell’intera collezione fu concordata per 480.000 lire/1939. Per affrontare la spesa il Comune richiese un mutuo alla Cassa di Risparmio della Spezia di 600.000 lire/1939, che, dopo ulteriori discussioni con gli eredi del Fabbricotti, scese a 550.000 lire/1939. Il prezzo era comprensivo anche della cifra destinata al trasporto ed alla sistemazione provvisoria della raccolta.
La collezione Fabbricotti andò ad arricchire le già numerose raccolte, che comprendevano reperti da San Vito di Marola e quelli recuperati dagli scavi per l’Arsenale (Figura 6), materiali dalla necropoli di Genicciola, alcune tombe a cassetta di Ameglia, le prime statue stele (Figura 7), ecc. Erano tutti materiali che dalla fondazione del Museo Civico, avvenuta nel 1873, avevano trovato sede nella Palazzina Crozza (Figura 3).
Ma la dimensione delle collezioni era divenuta tale che gli spazi ormai non erano sufficienti. A questo punto tornò di attualità una vecchia proposta, quella di spostare collezioni e biblioteca nel convento delle Clarisse. Il trasferimento del Museo Archeologico alle Clarisse si concluse pochi giorni prima lo scoppio della seconda guerra mondiale. All’epoca era Direttore Ubaldo Formentini (Figura 2) cui andò l’onere di curare, difendere e poi restaurare gli infiniti reperti.
L’incognita
L’incognita è proprio il materiale archeologico del nascente museo, parte del quale sarebbe ancora in sito. Probabilmente si tratta dei materiali conservati nel magazzino, ma non solo…
Tuttavia, in una relazione il FORMENTINI scriveva: …Finita la guerra, su richiesta del Comune, il Provveditorato ai LL.PP. della Liguria assegnava nell’esercizio del 1946 £. 10 milioni per la ricostruzione del Museo, secondo un progetto che prevedeva la utilizzazione parziale dell’edificio colpito e specie dell’ala meridionale rimasta in piedi col proprio materiale, in ordine quasi perfetto, essendo stato protetto in sito da sacchi a terra e da puntelli in legname.
Senonché i lavori non furono opportunamente affrettati e sopravvenute circostanze ne impedirono poi l’attuazione. Infatti gravi cedimenti verificatisi nelle gallerie destinate a ricovero antiaereo sottostanti al palazzo consigliarono il Genio Civile alla demolizione anche delle parti dell’edificio del Museo non distrutte dalle esplosioni.
Questo lavoro fu compiuto con somma imprevidenza dal Genio Civile senza darne nessun avviso al Comune né in particolare al sottoscritto e senza tenere presente che tra i muri da demolirsi si trovavano ancora elementi preziosi affissi alle pareti e mosaici pavimentali. La demolizione, iniziatasi improvvisamente, rovesciava su questi elementi cumuli di materiali procurandone in parte la distruzione; a stento si poté, a cura del sottoscritto, procurare il salvataggio di una parte degli oggetti, non senza ulteriori danni, specialmente dei mosaici, che si dovettero sradicare dai pavimenti in difficilissime condizioni… (LAZZARI & SCAPAZZONI, 2012).
Figura 8 – Il complesso convento delle Clarisse e chiesa di Santa Cecilia in un disegno del 1770 circa (Archivio Privato).
Frammenti della storia del convento delle Clarisse
Il luogo è la collina del Castello, la località è il Poggio, fra via XX settembre e via XXVII marzo (Figura 1). Siamo poco sotto il Castello di San Giorgio, vicino alla palazzina sede della storica Accademia G. Capellini.
Il 21 settembre del 1593 inizia la costruzione della struttura monastica femminile che affiancherà le quattro maschili all’epoca già esistenti.
L’edificio originale comprendeva la chiesa a tre navate con facciata ornata da quadriportico e, sul lato destro, un campanile a cupola semisferica. Alla chiesa si collegavano vari locali posti dietro l’abside ed un chiostro a tre bracci. Questo si estendeva su due piani, innalzato di uno durante il secolo successivo (Figura 8).
I tre nuclei principali del fabbricato erano fondati su tre livelli diversi del terreno. In basso, a sinistra dell’entrata della chiesa, si trovava il braccio denominato capannone. Poi la chiesa che occupava il livello intermedio ed infine il cortile interno che si trovava alla quota maggiore.
Fondamentale, per questa storia che viene da lontano, è la costruzione dell’attuale via XX Settembre avvenuta fra il 1917 e il 1925. L’intervento comportò l’innalzamento del piano di campagna prospiciente il capannone (Figura 9). Di conseguenza il piano terra fu ricoperto ed in seguito venne utilizzato come magazzino seminterrato. Se ne vedono ancora piccole parti delle luci, da via XX Settembre. La conferma viene anche da LAZZARI e SCAPAZZONE (2012): …se si osservano le architravi ancora visibili, poco sopra il marciapiede, lungo via XX Settembre, si ha conferma dell’esistenza di vani interrati posti sotto l’ala nord-ovest, che si aprivano con porte e finestre verso l’orto…
Al piano superiore rimanevano due sale.
Questo sarebbe avvenuto fra la curva di via XX Settembre e l’Accademia Capellini (Figura 10), dove oggi si trova l’ingresso alla cremagliera e dove verrà realizzata la struttura turistico-ricettiva del progetto Evaristi.
Chissà che non sia proprio qui che bisogna cercare le tracce di quanto rimasto dai bombardamenti, dai rinterri e dalle demolizioni del Genio Civile.
Il vincolo
I testimoni materiali del complesso conventuale e della chiesa di Santa Cecilia hanno lasciato una traccia fondamentale della loro travagliata storia e del piccolo mistero che nascondono.
Il riconoscimento ufficiale del loro interesse particolarmente importante ha dato origine al decreto di vincolo emesso il 16 giugno 1995 dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali.
Un’indicazione in più per cercare di comprendere dove possa ancora giacere del materiale archeologico, superstite dal magazzino o dai vari interventi di distruzione, crollo dei resti murari, discarica e rimozione di macerie, nonché ultima destinazione dell’area, può venire dall’originario percorso di visita del museo.
Si accedeva al museo dall’ingresso posto nell’area prospiciente l’Accademia Capellini (Figura 10), dove oggi si apre l’ingresso alla cremagliera. Il percorso iniziava nel capannone (Figura 11). Attraversato il portico di quest’ala continuava nelle due sale interne (Figura 12) e si riallacciava alla chiesa attraverso il secondo braccio del portico adiacente ad essa. Quindi proseguiva nella chiesa (Figura 13), nei locali retrostanti l’abside (Figura 14 e Figura 15) e nel terzo braccio dove si concludeva la visita.
L’esposizione riprendeva quella del Museo del Colombarotto per mantenerne, volutamente nelle intenzioni del FORMENTINI, la passione e lo spirito del suo fondatore Carlo Alberto FABBRICOTTI (Figura 4).
Il nuovo progetto di recupero
Il nuovo progetto prevede la …realizzazione di un volume all’interno delle murature ancora esistenti con vocazione turistico-ricettiva su progetto dell’architetto Roberto Evaristi. Si procederà con la riqualificazione esterna e consolidamento delle murature, ripristino di parti deteriorate e adeguamento di alcune porzioni del lato dell’ex chiesa prospiciente Via XX Settembre, al fine di incrementarne l’altezza attuale e impedire l’accesso incontrollato dell’area… (FERRARI, 2019).
Ma qual’è l’interpretazione alla base del progetto: …Siamo risaliti alla storia di questo edificio – ha spiegato l’architetto Roberto Evaristi – e abbiamo scoperto che quella sulla quale interveniamo è l’ultima costruzione realizzata, a servizio del convento sorto precedentemente. Era una struttura posta in una posizione a margine del quartiere del Poggio, in stretto contatto con gli orti. Ci siamo concentrati sui resti per ricostruire una volumetria che possa fungere da punto di riferimento e da presidio dell’area. Riproporremo un manufatto a un piano con copertura disassata, come era prima della distruzione della guerra (Figura 16), con aperture verso il chiostro interno e sui due timpani. (…) abbiamo scelto l’acciaio corten come materiale per l’edificio principale. Tutto intorno si procederà con la riqualificazione delle aree aperte e il consolidamento degli altri resti… (Th.D.L., 2019)
Il pavimento Formentini
Con la premessa che fossero ancora presenti parti delle collezioni archeologiche dell’ex Museo sono state avviate, durante lo scorso gennaio, alcune indagini sperimentali dirette.
Dalle cronache si rileva che è stata eseguita una campagna geofisica, mediante georadar, che ha segnalato una prima anomalia. La conseguente verifica diretta ha portato in luce un lastricato che …potrebbe essere databile agli anni ’30 dello scorso secolo (e) che potrebbe essere il pavimento della famosa foto di Ubaldo Formentini, all’interno della sala museale del tempo… (LUGARINI, 2022).
A parte l’interpretazione un po’ affrettata, si deve ricordare che il Comune della Spezia aveva già eseguito alcuni lavori all’atto della destinazione museale del convento.
In particolare nel 1940 fu prevista la realizzazione di una nuova pavimentazione nei locali del convento. L’opera fu realmente eseguita come lo attesta il rinvenimento fatto durante gli scavi del C.R.E.S. del 1989 – 1990. Il pavimento della chiesa si trovava circa 180 cm più elevato rispetto a quello originale che, per altro, era già stato innalzato nel 1885, durante i lavori per la destinazione a ricovero di mendicità.
Conclusioni
Lo scopo di questa storia che viene da lontano è stato semplicemente quello di raccogliere alcuni dati dispersi in varie fonti con l’intento di fornire elementi utili a possibili nuove indagini archeologiche preliminari al previsto recupero e ridestinazione.
Punto fondamentale è dove possono essere rimasti sepolti ed ancora giacenti parte di quei materiali conservati nei magazzini o nelle sale bombardate, crollate, demolite, sedi di discarica, cementazione, smaltimento, etc.
Ora ricordiamo solo che alcuni reperti dispersi nelle varie discariche che occupavano il sito archeologico sono stati recuperati nel tempo. Ma l’elenco dei reperti archeologici della collezione FABBRICOTTI ancora mancanti sono numerosi. Fra questi sono da comprendere sia gli oggetti andati distrutti che quelli presumibilmente sepolti dalle macerie. Un lavoro importante, a questo scopo, fu svolto dagli studiosi del C.R.E.S. insieme ai responsabili del Museo Civico negli anni Ottanta del secolo scorso. L’indagine mise a confronto una relazione redatta da Ubaldo FORMENTINI nel 1949, confluita nella nella guida del Museo redatta nel 1953 da Romolo FORMENTINI, col vecchio inventario delle collezioni e con numerose fotografie.
I reperti dispersi risultarono 734.
Bibliografia
FERRARI, M. (2019, marzo 17). La Spezia chiude la ferita. Il convento delle Clarisse adesso avrà un futuro. La Repubblica. Archivio, Milano, GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.
LAZZARI, F., & SCAPAZZONI, E. (2012). La Spezia nel Seicento. La ricostruzione del Borgo Murato dalla Caratata del 1646. Storia del Monastero delle Clarisse (Vol. unico). La Spezia, Edizioni Giacché.
LUGARINI, F. (2022, gennaio 28). Dagli scavi alle Clarisse, potrebbe essere il “pavimento di Formentini”. Città della Spezia. La Spezia, Liguria news.
PODENZANA, G. (1931). Cenni Storici sul Museo Civico della Spezia. La Spezia, Museo Civico della Spezia.
Redazionale (2019, marzo 12). Ex convento delle Clarisse alla Spezia, approvato progetto per valorizzazione e restauro. BJ – Liguria Businness Journal. La Spezia, Media4puntozero.
SCARAMUCCIA, A. (2015, marzo 15). Il convento delle Clarisse: i suoi usi e la su storia. Città della Spezia, il quotidiano online della Spezia e provincia. La Spezia, Liguria news. Tratto da www.cittadellaspezia.com: https://www.cittadellaspezia.com/2015/03/15/il-convento-delle-clarisse-i-suoi-usi-e-la-sua-storia-178251/
Th.D.L. (2019, marzo 12). Nuova vita per il convento delle Clarisse e la glleria Quintino Sella. Città della Spezia. La Spezia, Liguria News.
sotto le macerie dovrebbe trovarvisi anche un’ascia neolitica recuperata nella valle del Frigido (Massa) alla fine degli anni 30.Dovrebbe essere stata segnalata come ritrovata al Castagnolo presso la frazione di Resceto ma la questione è dibattuta.