Copertina – Mosaico pompeiano che raffigura diverse specie di pesci, molti dei quali costituivano la base per preparare il garum (Museo archeologico nazionale di Napoli)
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Proemio
L’articolo di questa settimana riprende, con minime annotazioni ed integrazioni, un interessante scritto di Giuseppe FERRADA, pubblicato sulla pagina FB di Storia Antica, il 26 aprile 2021.
L’origine del garum
Le notizie sull’origine di questo alimento sono frammentarie, ma studi e ritrovamenti archeologici, forniscono nuove indicazioni.
Con il termine generico di garum oggi si intende un insieme di prodotti di diversa composizione e consistenza: salse e paste, ma sempre a base di pesce. Erano ottenute mediante la fermentazione in salamoia, più economica del sale puro, di pesci interi o parti di essi (A. CARANNANTE), trasformati per l’azione chimica indotta da alcuni enzimi.
Il garum era un alimento con alto valore proteico la cui peculiarità era quella di insaporire i cibi, in particolare carni e verdure.
Era prodotto utilizzando, di volta in volta, diverse specie di pesci (Figura 1) come le alici (Figura 2), i tonni (Figura 3; da cui il garum muria), le murene (Figura 4), gli sgombri (Figura 5; da cui il garum nigrum) ed altri. L’utilizzo di uno o di un’altro pesce, o l’insieme di più qualità di pesci ne determinava il prezzo e la qualità. Ma cosa aveva di speciale questo prodotto di accompagnamento, da essere così apprezzato nel mondo antico? E soprattutto anche prima dell’uso che ne fecero i Romani?
La risposta va ricercata in un particolare componente chimico del garum e cioè il glutammato monosodico. Ora, senza entrare troppo nei particolari, basta aggiungere che questa molecola è la responsabile dell’esaltazione del sapore degli alimenti. Nello specifico questo effetto era particolarmente accentuato nei formaggi stagionati, nei salumi, nei funghi.
Marco Gavio APICIO, in latino Marcus Gavius Apicius (Figura 6), l’autore del De re coquinaria, menziona il garum come condimento, in almeno 20 portate.
In realtà il De re coquinaria fu una trascrizione, di III o forse IV sec. d.C., di una raccolta di ricette a nome di APICIO. Un trattato di ciò che concerneva la cucina o l’arte culinaria posposta in dieci libri, un manuale di cucina con 478 ricette.
Il garum, soluzione di conservazione del pece
Le origini del garum sono condizionate dall’esigenza di riciclare le parti di scarto dell’attività ittica (Figura 7, Figura 8, Figura 9, Figura 10 e Figura 11): interiora, parti grasse, ma anche pesci di dimensioni più piccole, che erano difficili da utilizzare e conservare.
Noi oggi siamo portati a pensare al sale come mezzo primario per la conservazione dei cibi ed in particolare della carne e del pesce. In parte è vero, il sale produce una disidratazione dei tessuti e ne impedisce la putrefazione. Ma per ottenere questo se ne devono usare quantità elevate. Per contro, un risultato analogo lo si può ottenere con la salamoia, che è una soluzione acquosa ma con una forte salinità. Anch’essa è sufficiente a impedire la decomposizione delle carni, ma con costi di lavorazione decisamente inferiori.
Il risultato parlando nello specifico del settore ittico è quello di produrre un liquido, commestibile, di colore ambrato, salato ma ricco di proteine. Ecco in sintesi il garum. A questo, volendo, era poi era associata anche una parte solida, una sorta di pasta, considerata però meno pregiata (la pasta d’acciughe o acciugata toscana?).
Ovviamente la salagione rimaneva il procedimento più usato e negli stabilimenti si produceva insieme il pesce salato e il garum, che però risultava un prodotto secondario.
L’origine del garum in Grecia?
Già i greci utilizzavano una specie ittica di nome garos, da cui proviene il nome della salsa, garon (lat. garum).
I Romani. al contrario, utilizzavano svariate specie di pesce per la produzione del loro garum, anche se le qualità più apprezzate di garum si ottenevano dal pesce azzurro: la sardina (Figura 2), la palamita (Figura 12), l’aringa (Figura 13), le alici, il sugarello (Figura 14), lo zerro o spigariello (Figura 24 e Figura 25) ed altri. Tuttavia non si disdegnavano neppure le murene e le anguille (Figura 15).
Si utilizzavano pure interiora e parti grasse che in certi pesci, come i tonni, abbondano. E pare, dai testi di Geoponica, che da quelli fosse ottenuta la qualità più pregiata di garum.

Figura 29 – Plano del sito archeologico di produzione del garum, a Baelo Claudia in Andalusia, Tarifa, Spagna (da wikipedia)
Il garum, da Fenici e Greci a tutto il mediterraneo
Quindi, la nascita della tecnica della salagione e della salamoia nel Mediterraneo orientale, è da collegare alla necessità di conservare grosse quantità di pesce per i lunghi viaggi, indotti all’approvvigionamento o all’esportazione. Difficile rimane comprendere quando effettivamente queste tecniche entrarono in uso. Forse furono i Fenici che lo importarono direttamente dall’Oriente, o dai Greci che avrebbero potuto apprendere queste tecniche lungo le coste del Mar Nero. Il tutto in un periodo intorno all’VIII-VII sec.a.C. In seguito l’espanspansione nel resto del Mediterraneo a partire dalla penisola Iberica, dove non a caso troviamo intorno al V sec.a.C, centri punici per la lavorazione del pesce come Gades (Cadice), ma anche Tarichea (Tarifa) o Cetaria (Getares). Ma non dobbiamo dimenticare anche i centri greci di Corinto e Delos, appunto nell’Ellade.
Roma, indubbiamente subì l’influsso sia del polo greco che di quello punico-fenicio facendo sue le tecniche di lavorazione di questo alimento. E la sempre più crescente richiesta, fece nascere una vera e propria catena di centri di produzione, nelle diverse aree del Mediterraneo che, poco alla volta, finivano sotto il suo influsso. PLINIO il Vecchio, ci indica come centri di produzione oltre alla Betica e la Mauritania, anche Cartagena, Clazomene e Leptis Magna.
A Pompei si trovava l’officina garum scoperta nel 1960-61, localizzata in centro, presso l’anfiteatro (CARANNANTE, 2011). Spesso i luoghi di produzione si trovavano vicino a quelli di pesca o in prossimità di saline. E per la lavorazione del garum erano necessari due o tre mesi di calore del sole, o per quello prodotto artificialmente, da fornaci. In genere si usavano vasche di fermentazione di forma quadrata, ma in alcuni casi anche di forma cilindrica, che venivano poste sulla spiaggia, o scavate nella roccia di qualche promontorio (Figura 17 e Figura 18). Discorso diverso invece per la città, dove esistevano veri e propri edifici adibiti a questo scopo. Una volta raggiunto il livello di macerazione, il garum veniva filtrato attraverso delle ceste. Si ottenevano, così, prodotti di qualità diversa. Uno era il “fiore di garum” (flos gari), in sostanza la prima colatura. Oppure, come il liquanum gari, che era il secondo filtraggio e che conteneva anche parti solide. Infine una terza parte che era quella che si raccoglieva nei filtri chiamata hallec, che stava ad indicare la parte più scadente.
Il tutto poi veniva conservato in anfore (Figura 19, Figura 22 e Figura 23).
Il garum, prelibatezza da potenti
Ovviamente la produzione avveniva sia a livello industriale che domestico, un po’ come accade oggi con le acciughe sotto sale.
Anche allora esistevano qualità e varietà. Una era il garum sociorum prodotto dalla macerazione degli sgombri, considerato una prelibatezza e con costi di conseguenza esorbitanti (circa mille sesterzi per un equivalente di sei litri). Insomma, il garum non era solo un alimento onnipresente nella gastronomia romana, ma un vero e proprio segno di distinzione, uno status symbol da esibire nei banchetti. Proprio come fa PETRONIO (Figura 20), nel suo Satyricon, quando lo menziona in tono trionfale nella famosa cena di TRIMALCIONE (Figura 21).
Oltre alle varie qualità dipendenti dal tipo di filtraggio, bisogna ricordare che al garum potevano essere aggiunti aceto, vino e miele.
Un vero e proprio fenomeno della cultura gastronomica romana, tale da essere menzionato anche da DIOCLEZIANO (Figura 26) che nel suo Edictum de pretriis, lo pose tra i prodotti che non dovevano superare un certo prezzo. Ma non mancò, anche chi nel corso della sua lunga storia, ne criticò la sua esistenza, natura e gusto, come SENECA (Figura 27) che in una lettera a Lucilio, definì il garum …una costosa poltiglia di pesci guasti (….) che rischiava di bruciare le viscere per il suo marciume. Per contro c’era chi, come COLUMELLA (Figura 28) lo riteneva efficace per combattere la pestifera labes, una infezione che conduceva le cavalle alla morte in pochi giorni.
PLINIO il vecchio nel suo “Naturalis Historia” lo citava come presidio medico …e col garum si guariscono le ustioni recenti, purché colui che lo versa non dica garum. È utile contro i morsi dei cani e soprattutto contro quelli del coccodrillo, e per le ferite che si diffondano o quelle infettate. È ancora magnificamente utile anche per le ferite e i dolori della bocca e delle orecchie”. Quindi un disinfettante ed antinfiammatorio. parzialmente antidolorifico. Infine, Quinto Gargilio MARZIALE, noto per l’opera “De hortis”, indica le qualità di pesce da utilizzare e le procedure da seguire per la sua realizzazione. Ma MARZIALE negli “Epigrammata”, ne fa cenno in diverse occasioni anche in maniera negativa, quando ad esempio critica l’uso del garum di aringhe nelle pietanze.
Insomma giudizi a volte contrastanti, ma proprio per questo ci fanno comprendere come tale prodotto fosse una presenza costante sulla tavola dei cittadini dell’Urbe, almeno di quelli di un certo ceto sociale.
Il garum kosher… una comunità ebraica a Pompei
Alcuni indizi.
Reperti molto particolari, rinvenuti a Pompei ed a Pozzuoli (NONGBRI, 2023), sono le giare con impresse le iscrizioni garum castum o garum muria (Figura 22). L’anfora di Pozzuoli è in ceramica grezza, con fondo piatto e databile al I-II sec. d.C.. Fa parte dei tanti reperti donati al British Museum nel 1856 da Sir William TEMPLE. L’iscrizione sull’anfora (Figura 23) GARCAST indica che si trattava di garum castimoniarum (kosher), destinato al mercato ebraico (NONGBRI, 2023).
L’interpretazione di NONGBRI (2023) riprende un controverso passaggio di PLINIO il Vecchio secondo il quale a Pompei fosse disponibile uno speciale tipo di garum che poteva considerarsi rispondente ai dettami della legge kosher (CURTIS, 2012).
Secondo la legge kosher era fatto divieto agli ebrei di consumare la maggior parte del garum. Quanto meno quel garum nella cui produzione erano entrati crostacei o pesci senza squame. La presenza di un garum castum (puro) o garum muria suggerisce l’esistenza di una produzione e di un mercato differenziati per la speciale varietà di garum kosher. Di conseguenza questo particolare garum avrebbe potuto essere consumato anche dagli ebrei, se non proprio prodotto per loro. In realtà erano prodotti garum di purezza e composizione differenti, ma non risultano differenziati nelle confezioni come nel caso del garum castum.
La motivazione poteva essere essenzialmente indotta dalla presenza di una comunità ebraica di una certa importanza (CURTIS, 2012).
Pompei antica, città metropolitana di Napoli, Italia
Getaria, Gipuzkoa, Spagna
Tarifa, provincia di Cadice, Spagna
Cadice, provincia di Cadice, Spagna
Bibliografia
CARCOPINO J. (1993). La vita quotidiana a Roma. Laterza