Che tempo fa? Cosa mi metto oggi?

Copertina

Copertina – Bottega di un mercante di stoffe. Particolare del sarto che confeziona una calza suolata. Affresco del Castello di Issogne, Valle d’Aosta, seconda metà del sec. XV (da trama-e-ordito.blogspot.com).

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Proemio

COME PALETNOLOGO che si deve avvalere scientificamente della PALINOLOGIA connessa ai carotaggi pollinici dei GEOLOGI per poter ricostruire l’ambiente climatico dei siti oggetto dei miei scavi archeologici, devo stigmatizzare il fatto che tutt’oggi il tema dell’emergenza climatica viene affrontato su basi fuorvianti.
Infatti ne parlano i meteorologi, che ne avrebbero competenza solo per gli avvenimenti dal 1800 in poi, e non i GEOLOGI, che sono i soli veri “storici” del clima.
Così si ignora il fatto “storico” che il clima muta periodicamente ogni 400 anni circa.
Per esempio, dopo L’OPTIMUM CLIMATICO romano-imperiale, nell’Alto Medioevo dal “400 (1625 ca. BP) all’800 (1225 ca. BP) circa si ebbe un raffreddamento (che favorì la Peste di Giustiniano), sostituito da un innalzamento della temperatura nel Pieno Medioevo: esso permise la Rivoluzione agricola del Mille, le coltivazioni in Groenlandia (“Terra Verde”), oggi impossibili, e mostrò ai Vichinghi le viti selvatiche nel Labrador.
A questo picco climatico subentrò, dal 1300 (725 ca. BP) la “Piccola Glaciazione” (Peste del Boccaccio), che si protrasse per i soliti 400 anni fino al 1680  (345 cs. BP) circa, allorché le temperature aumentarono di nuovo ad oggi: ma il 1680 è di ben cento anni precedente alla Rivoluzione Industriale e a qualsivoglia emanazione antropica di CO2!
Purtroppo i CLIMATOLOGI dell’ IPCC (che dettano legge) sono dei meteorologi che possono conoscere le temperature solo dal 1800 in poi, mentre gli UNICI SCIENZIATI IDONEI a tracciare una storia del clima sono i GEOLOGI e i PALEO CLIMATOLOGI che, coi loro carotaggi pollinici, riescono a ricostruire gli ambiti vegetali (e quindi il clima) del passato tramite la palinologia.
Rispetto alla ricostruzione della “Storia del Clima”, la differenza tra geologi e meteorologi è la stessa che intercorre tra storici (del passato) e giornalisti (del presente): per cui, mi chiedo, faremmo noi trattare la storia politica dai giornalisti piuttosto che dagli storici? (Con tutto il dovuto rispetto per la funzione dei giornalisti…).
Per lo stesso motivo, la STORIA del CLIMA va affidata ai GEOLOGI e non ai meteorologi

(Riflessioni di un archeologo sulla climatologia. Stralcio da un testo del Prof. Fausto GNESOTTO dell’Università di Trieste).

La Ragazza di Egtved

Nel 1921, presso il villaggio di Egtved, in Danimarca, venne fortunosamente e casualmente riportata alla luce la tomba, perfettamente conservata, di una giovane dell’Età del Bronzo.
In Italia, l’Età del Bronzo, è compresa fra il 2200 BC (4250 ca. BP) e il 950 BC (2900 BP), mentre per l’Europa è anticipata di un centinaio di anni, fra il 2300 BC (4325 ca. BP) e l’intervallo 950-800 BC (2825 ca. BP).
La Ragazza di Egtved, aveva 16-18 anni intorno al 1375-1275 BC (datazione dendrocronologia), cioè 3400-3300 anni fa, all’inizio dell’Optimum Climatico Miceneo.
Dopo la sua morte fu avvolta in una pelle di bue e deposta in una bara scavata in un tronco di quercia (Figura 14). Il terreno acido del tumulo (Figura 16) ne ha conservato ottimamente i vestiti e persino alcuni tessuti molli.
L’abito era costituito da una blusa di lana a maniche corte, una corta gonna di corde intrecciate, una cintura con un disco di bronzo a spirale e alcuni bracciali (Figura 15). La giovane aveva i capelli biondo-castani, corti, ed il corpo snello. Era alta circa 1,60 m.

Il vestito sottolinea il clima dell’epoca. La Ragazza di Egtved è vissuta, infatti, a ridosso dell’Optimum Climatico Miceneo.
Nella tomba, ai piedi della giovane, furono trovati anche i resti cremati di una bambina di circa 5 o 6 anni. Ancora, accanto alla testa della giovane era stata deposta una scatola, realizzata in corteccia di betulla, con oggetti in bronzo di uso quotidiano: spilloni ed uno stilo. Non mancava neppure una bevanda fermentata a base di miele, grano ed erbe, l’antica birra dell’Età del Bronzo.
Infine, un ramo fiorito di achillea millefoglie indica che il funerale fu celebrato in estate.
Secondo i risultati di un’analisi condotta nel 2015 sui capelli e i denti della Ragazza di Egtdev non era nativa della zona, ma aveva fatto, e ripetuto, un lungo viaggio provenendo, probabilmente, dal sud della Germania, dalla Foresta Nera. Resta in dubbio della sua presenza in Danimarca. Sulla base del disco di bronzo con ornamento a spirale che ornava la cintura, sono state fatte diverse ipotesi, ma fino ad oggi senza risconto.

La Donna di Huldremose

Nel 1879, in un cantiere per l’estrazione della torba a Huldremosen (Ramten, Djursland, Danimarca) è stata rinvenuta la sepoltura della Donna di Huldremose. Ancora una volta, il particolare ambiente di sepoltura, una torbiera, e la sua caratteristica anaerobicità, hanno consentito la mummificazione e, quindi la conservazione del corpo, dei capelli e dei vestiti dell’anziana donna (Figura 17).
Il corpo era avvolto in un mantello di pelle di pecora e cosippure, pelli di pecora avvolgevano le gambe.
La sepoltura risale al II secolo BC ed è avvenuta in una fossa scavata direttamente nella torba. Inoltre la donna presentava l’asportazione di un braccio da taglio profondo. Sembrerebbe quasi una sepoltura avvenuta repentinamente ed a seguito di un fatto cruento.
Gli abiti hanno mantenuto, comunque, una buona conservazione.
La Donna di Huldremose indossava una gonna di lana a quadri, o meglio, con schema di tessitura alternato a scacchi, legata in vita da un cinturino in pelle sottile inserito in una cintura intrecciata. Al collo portava una sciarpa fissata sotto un braccio da una sorta di  bottone d’osso di uccello (Figura 18). Ancora, indossava …un mantello realizzato con 11 pelli di agnello di colore marrone scuro, per la maggior parte, e chiaro, nella parte inferiore (… e …) presenta molte tracce d’usura, dovute all’uso prolungato. Sono state contate 22 toppe, una delle quali, sigillata, conteneva un pettine in osso e altri oggetti, probabili amuleti. I lunghi capelli (…) erano legati con una corda di lana, che si avvolgeva anche attorno al collo. Anche un altro filo di lana, da cui pendevano due piccole perle d’ambra, era legato attorno al collo… (BERRUTO, 2024). I colori originali degli abiti erano probabilmente il rosso ed il blu (Figura 19).
A completare l’abbigliamento, e di particolare interesse, … la presenza di indumenti intimi in fibre vegetali, forse ortica o lino,… (BERRITO, 2024).
La sepoltura si colloca fra il 2125 e il 2224 BP quindi all’inizio dell’Optimum Climatico di epoca romana, in una fase di riscaldamento climatico.

L’Uomo di Bokstein

Nel 1936 viene scoperto il corpo di un uomo di 35-40, molto ben conservato, grazie all’ambiente della torbiera, come testimoniano i lunghi capelli.
Scoperta casuale fatta da due bimbi che si erano recati a raccogliere materiale nella Torbiera presso Varberg (Svezia).
Trovate alcune ossa hanno chiamato il padre che, dopo aver constato la situazione, ha avvertito la polizia. Probabilmente avevano immaginato un delitto, ma certamente non un delitto di interesse archeologico.
L’uomo era stato sicuramente vittima di omicidio. …Il suo cranio presenta gravi fratture e un palo di legno gli fu conficcato nel petto per bloccare il cadavere sul fondo della torbiera… (BRIGGS, 2023; Figura 20) con l’intento di nascondere il delitto. Ma l’ambiente lo ha perfettamente conservato.
Alcuni particolari rendono interessante la scoperta.
L’abbigliamento era costituito da un pesante mantello con cappuccio, da una lunga tunica intessuta, da gambali di lana (al posto dei calzoni), da scarpe e da una cintura di cuoio (Figura 21 e Figura 22). Non erano proprio gli abiti di un contadino medievale, ma di una persona benestante e di certa levatura. Forse questa condizione all’origine di una rapina o di una rivalità conclusasi con l’omicidio. Altra curiosità, le condizioni del corpo, trovato con le mani legate dietro la schiena a suggerire anche una condanna o una punizione.
L’Uomo di BOKSTEIN, oggi conservato nel Museo di Varberg, è stato datato archeologicamente al XIII secolo, cioè fra il 1245 e il 1255, coerente con l’abbigliamento di un uomo di 770-780 anni fa e con l’inizio dell’aumento delle temperature che preluderanno all’Optimum Climatico Medievale. 
 
immagine richiamata nel testo

Figura 23 – La bottega-laboratorio di un sarto medievale. Immagine creata da ChatGPT

Gli abiti in Italia centro-settentrionale nell’Alto medioevo

A proposito di clima e abiti.
Sulla pagina FB_Firenze_e_la_sua_Regione sono stati pubblicati, di recente, alcuni post sull’abbigliamento maschile e femminile, a cominciare dal Medioevo, nell’Italia centro-settentrionale ed a Firenze in particolare. Questa serie in immagini e descrizioni, alle quali sarà fatto esplicito riferimento, è stata stimolo per un confronto fra gli abiti, il loro modo di abbinamento, i tessuti e l’andamento delle temperature medie del tempo nel quale erano in uso.
L’evoluzione del modo di vestire è stata, naturalmente, indotta da motivi disparati: la disponibilità dei materiali (dalle pelli alle differenti fibre), l’abilità di trattarli (concia, filatura, tessitura, etc.), le necessità d’uso, la disponibilità economica, la classe ed il ruolo sociale, il mestiere, la moda… Il tutto condizionato e adattato da situazioni locali, ambientali e climatiche.

Nell’Alto Medioevo, fino al X-XI secolo, l’indumento più diffuso è stato la dalmatica (Figura 1), una lunga tunica unisex a maniche larghe, realizzata in lino e lana grossolana, per i ceti umili, e tessuti più fini per le classi agiate ed i religiosi (Figura 1.1). La dalmatica veniva indossata sempre su altri indumenti: camicie e brache (uomini) o altre vesti (donne e religiosi) ed era abbinata a mantelli e/o veli (Firenze e la sua Regione; 17 novembre 2025). All’epoca il mantello era semplicemente …un grande “mezzo cerchio” di lana, con un semplice taglio per il collo, che uomini, donne e bambini portavano sulle spalle per difendersi da freddo, pioggia e vento (…) fissato con una fibula alla spalla o al centro del petto. Bastava uno spostamento della spilla per cambiare modo di portarlo: completamente avvolto intorno al corpo nelle giornate più rigide, oppure lasciato cadere da un lato per avere il braccio destro libero… (Firenze e la sua Regione, 18 novembre 2025; Figura 2).
Il periodo in discorso, compreso fra 1124 a 925 anni fa, rappresenta il momento di risalita delle temperature da un periodo freddo, verso l’Optimum medievale.
L’evoluzione medievale, se così può definirsi, della dalmatica fu la cotta (Figura 3), ancora, una tunica in lana morbida o lino pesante. Da non confondersi con la cotta metallica delle armature Figura 3.1) simile solo per modello. La cotta è stata l’indumento più utilizzato da uomini, donne e bambini, indossata sopra una camicia, anch’essa di lino. Si può considerare l’antesignana della gonnella.

Le donne portavano una cotta lunga fino ai piedi, mentre gli uomini la limitavano al polpaccio. I modelli si differenziavano anche in base alla tipologia delle maniche: larghe e cucite per gli uomini, fermate da legacci passanti in asole per le donne e ampie e svasate per i religiosi, per altro ancora in uso (Figura 3.2).
Fra XII e XIII secolo era sobria e lineare (da cui il saio francescano; Figura 4; o quello penitente di Enrico IV a Canossa (Figura 4.1), poi dal XIV secolo divenne svasata per acconciarla in un gioco di pieghe mediante una cintura in vita.
I ceti più ricchi sceglievano tinte costose come il rosso garanza o il blu guado purissimo, mentre gli artigiani e i contadini indossavano colori naturali, dal bruno al verdognolo… (Firenze e la sua Regione, 16 novembre 2025).
Il periodo compreso fra 925 e 625 anni fa rappresenta un lungo periodo di raffreddamento climatico indicato come Piccola Glaciazione perdurata fino a 200-250 anni fa. Di conseguenza anche l’abbigliamento ha teso a diventare più variegato e con indumenti più pesanti.

Gli abiti in Italia centro-settentrionale dal Duecento

Dalla metà del Duecento al Quattrocento, la cotta veniva abbinata alla guarnacca (Figura 5, Figura 5.1 e Figura 5.2), che fungeva da sopravveste unisex. Un mantello lungo fin sotto il ginocchio o alle caviglie, ampio, con maniche larghe o aperture sotto le braccia, sovente foderata di pelliccia e completa di cappuccio. Col passare del tempo diminuirà in lunghezza e varieranno alcuni particolari del modello, ma sopravviverà a lungo.
Nel mondo urbano toscano la trama sociale si leggeva nelle stoffe: panni di lana robusti per artigiani e popolo; seta e pellicce pregiate per cittadini agiati. La stessa forma — ampia, avvolgente, pratica — mutava valore a seconda di fodera, tessuto e colore
(Firenze e la sua Regione, 15 novembre 2025; Figura 5 e Figura 5.2).
Un capo pesante, indossato sopra la nuova gonnella (Figura 5.1) e altre vesti maschili, adatto a riparare dalle inclemenze di stagioni sempre più rigide.
La gonnella, comparsa fra XIV e XV secolo, è divenuta ben presto il capo femminile principale. Era composta da un corpetto con le maniche, in continuità con la gonna (Figura 6). Ai soliti tessuti, più disponibili nelle campagne (cotone e lana), si aggiunse il taffetà, un tessuto di seta denso e rigido con armatura a tela. Tuttavia, nei ceti più abbienti non mancarono le versioni in velluti o broccati.
Normalmente era portata al di sotto delle sopravvesti, in particolare della pellanda di lana (Figura 7). Per le donne era l’abito della festa (Figura 7.1), mentre per gli uomini rappresentava …soprattutto (un) abito da cittadino agiato. Notai, mercanti ben avviati, maestri di bottega la indossavano nelle occasioni pubbliche, sopra vesti già curate (…) non era pensata per i campi o per la bottega piena di segatura, ma per la strada lastricata, il palazzo comunale, la chiesa importante… (Firenze e la sua Regione, 18 novembre 2025; Figura 7.2).
Nel guardaroba maschile della seconda metà del Trecento, a Firenze, si diffuse il lucco, altra sopravveste per eccellenza (Figura 8 e Figura 8.1).  …Lunga, ricca di pieghe, in panno (o damasco) nero, rosso o paonazzo, chiusa al collo con ganci o nastri, con ampie aperture laterali per far passare le braccia; d’estate si foderava di taffettà/armesino (talvolta confuso con l’organza, cioè un tessuto sottile, trasparente, lucido e rigido, realizzato con il filato di seta), d’inverno di pelliccia, di vaio (tessuto che ricorda la pelliccia araldica) o di velluto. Nato come abito di nobili, magistrati, dottori e priori, nel corso del secolo diventò uso comune per ogni cittadino adulto… (Firenze e la sua Regione, 13 novembre 2025).
Fra le sopravvesti se ne rammenta una (sia femminile che maschile) riservata a momenti ufficiali: la giornea (Figura 9 e Figura 9.1). In ambito femminile era costituita da …una casacca corta, aperta davanti, con maniche ampie (talvolta solo accennate) e spesso imbottita sulle spalle (…) nelle versioni ricche poteva essere foderata di seta o di pelliccia, ornata da frange e ricami, o portare stemmi… (Firenze e la sua Regione, 14 novembre 2025). Tuttavia, l’utilizzo di questo abito particolare ebbe durata molto breve, limitata alla seconda metà del XV secolo.
Era, ancora, un abbigliamento piuttosto pesante adatto alle medie temperature rigide della Piccola Glaciazione, indossato sopra la gonnella.
Il guardaroba maschile, fra Trecento e metà Quattrocento, comprendeva anch’esso una veste del tipo gonnella, ampia, portata stretta in vita da una cintura (Figura 6). Era diffusa in tutte le classi sociali. Nel popolo costituiva un capo unico, mentre nelle classi superiori era indossata al di sotto di un mantello, o della guarnacca, con cappuccio (Figura 5).
Nel Trecento veniva realizzata in …panno/lanaria, talvolta foderata; con il lusso crescente del tardo Medioevo compaiono raso, velluto e pellicce nelle versioni ricche… (Firenze e la sua Regione, 15 novembre 2025).
Altra veste maschile quattrocentesca fu la giornea (Figura 9), in panno, ma anche  in seta foderata di pelliccia. Era portata sopra il farsetto e le calze lunghe.  In pratica era una mantella che poteva essere portata chiusa o appoggiata sulle spalle (Figura 9) In occasioni particolari veniva arricchita da catene d’oro e medaglioni con araldiche e arme.

La rivoluzione rinascimentale del Farsetto e delle Calze lunghe unite

L’indumento maschile principe del Rinascimento fiorentino fu il farsetto (Figura 10 e Figura 10.1). Era una …giacca corta e leggermente imbottita, sagomata sul busto, chiusa sul davanti… (Firenze e la sua Regione, 13 novembre 2025 ) da indossare sopra la camicia. Oltre che ad esaltare il fisico, stringendola con lacci attraverso asole, costituiva una leggera protezione di sicurezza e, probabilmente, anche termica per la sua aderenza. Veniva completata dalla sovrapposta giornea.
E la grande contemporanea novità dell’abbigliamento maschile  di quel periodo furono le calze unite, (Figura 11). Fu una grande rivoluzione. Abbandonate brache e calzoni ingombranti, si diffusero nell’Italia centro settentrionale secondo un modello analogo ai moderni collant femminili, ma di tessuto molto più pesante.
Quindi, un tessuto pesante ed ancora un indumento molto aderente, caratteristiche che andavano a vantaggio della libertà di movimento, ma anche delle inclemenze della Piccola Glaciazione.
La lana delle calze unite era tinta a colori vivaci. Molto spesso a colori differenti per ciascuna gamba o rappresentanti dei colori e dei motivi (strisce o quadri) del casato o dell’armo (Figura 11.1).

Le calze si allacciavano al farsetto con i punti (lacci passati in occhielli), così da tenere in tiro la gamba e definire la silhouette “nuova” del corpo maschile. (…) La gamba diventa messaggio: appartenenza, festa, rango...(Firenze e la sua Regione, 14 novembre 2025).
Infine, è da ricordare un altro capo molto in voga nell’Italia centro settentrionale fra il 1520 e il 1600: la zimarra (Figura 12 e Figura 12.1).
La zimarra (era) una sopravveste lunga e ampia, di origine spagnola (…), capospalla “di riguardo”, spesso con maniche larghe e talvolta foderata di pelliccia (…) in età successiva il termine passerà anche a indicare la veste da camera maschile e, per estensione, un soprabito lungo un po’ dimesso… (Firenze e la sua Regione, 14 novembre 2025).
Siamo nel periodo compreso fra 505 e 425 anni fa, quando la Piccola Glaciazione raggiunse il punto di esasperazione, prima della lenta risalita delle temperature medie.
Tuttavia, ancora per molti lustri il freddo ha caratterizzato la tipologia degli abiti, degli accessori e dei tessuti. Uno per tutti il Tabarro (Figura 13). …Il mantello dell’Italia contadina e dei piccoli borghi, una grande ruota di panno di lana che avvolgeva il corpo come un guscio. In Toscana, tra Ottocento e primo Novecento, lo si vedeva spesso nelle mattine d’inverno lungo le strade bianche: una macchia scura che si muoveva lenta, fra nebbia e brina… (Firenze e la sua Regione, 16 novembre 2025). Ma anche il mantello a ruota del Notaio o quello di Don Camillo (Figura 13.2) a BrescelloForse l’evoluzione ultima del primo mantello semicircolare e dei vari tipi di mantelli che hanno punteggiato il tempo e le mode. In più, il Tabarro è stato un accessorio estremamente funzionale al freddo da divenire una tradizione fortemente radicata, fino da esserene ancora presente il ricordo nelle alte uniformi di alcuni corpi dell’Esercito Italiano, come i Carabinieri (Figura 13.1), o la Polizia di Stato.

Brescello, provincia di Reggio Emilia, Italia Firenze, città metropolitana di Firenze, Italia

Varberg, contea di Halland, Svezia

Ramten, Ørum, Jutland centrale, Danimarca

Huldremosevej, 8586 Ørum, Danimarca

Karlsruhe, Baden-Württemberg, Germania

Friburgo in Brisgovia, Baden-Württemberg, Germania

Egtved, Danimarca meridionale, Danimarca

Bibliografia

BERRUTO, G. (2024, luglio). Le mummie di palude del Nord Europa. Tratto il giorno novembre 19, 2025 da www.okelum.it: http://www.okelum.it/le-mummie-di-palude-del-nord-europa
BOCCACCIO, G. (1985). La Peste di Firenze (DECAMERON). (G. BOCCACCIO, A cura di Laterza, Bari-Roma) Tratto il giorno novembre 18, 2025 da laspada.altervista.org: https://laspada.altervista.org/wp-content/uploads/2016/04/Decameron-la-peste-di-Firenze.pdf
BRIGGS, A. (2023, agosto 22). Il volto di una vittima di omicidio risalente a 700 anni fa. Tratto il giorno novembre 19, 2025 da www.nationalgeographic.it: https://www.nationalgeographic.it/il-volto-di-una-vittima-di-omicidio-risalente-a-700-anni-fa
CRISTINI, M. (2021, febbraio). La Peste di Giustiniano (541-544 d.C.): la prima pandemia del Medioevo. Nuova Secondaria, XXXVIII (6), 42-44.
GINESOTTO, F. (2025, agosto 26). COME PALETNOLOGO che si deve avvalere scientificamente della PALINOLOGIA … Tratto il giorno novembre 18, 2025 da www.facebook.com – Klima e Scienza: https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=pfbid02G3zP9CfQHyqDhJViMiimZcPHGgTLnU1f2xmrN3jHEyhXrxTsBp9EZsvwbEi2D42hl&id=61561190461001

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